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 2013  agosto 02 Venerdì calendario

CARTOONIST IN FUGA

A volte arrivano in coppia. Succede, nel cinema, che due progetti simili prendano forma nello stesso periodo e che nelle sale si trovino a competere due film-fotocopia. In questo caso però le differenze saltano agli occhi: anche se tutti e due parlano del mondo delle corse, e anche se è strano che escano a poche settimane l’uno dall’altro, è impossibile confondere "Turbo" (in uscita il 19 agosto) e "Rush" (il 19 settembre), la storia della chiocciola che sogna di vincere Indianapolis e quella della rivalità tra Niki Lauda e James Hunt. "Turbo" stupisce e conquista con effetti speciali travolgenti. Che sono firmati, si scopre nei titoli di coda, da un italiano, Alessandro "Alex" Ongaro, capofila di una generazione di cartoonist nostrani che stanno facendo fortuna all’estero.
Ongaro, esperto di effetti speciali, dopo aver lavorato agli effetti digitali di vari film (tra cui "Vajont", 2001), approda in America nel 2004. In poco meno di dieci anni passa dai mostri di "Constantine" (2005) all’animazione DreamWorks, dove lavora da "Madagascar" (2005) in poi. Dopo "Turbo", di cui è capo del dipartimento effetti visivi, è al lavoro su "Kung Fu Panda 3" (uscita prevista Natale 2015).
Silvia Pompei, animatrice bolognese, vive a Los Angeles da oltre vent’anni. Dopo aver lavorato in "Chi ha incastrato Roger Rabbit" (1988), raggiunge il ruolo di animatrice in "I Simpson - Il film" (2007), ed entra in pianta stabile nello staff di Matt Groening: da allora lavora a tutte le serie animate televisive dei Simpson a partire dalla diciannovesima stagione. Oggi è impegnata nella venticinquesima.
Marco Cinello, romano, dopo aver lavorato a Londra in "Fievel goes West" (1986), colleziona esperienze negli studi di tutto il mondo, fino ad approdare a Los Angeles, dove vive da venti anni. Oggi è "lay-out supervisor" del sequel del film "SpongeBob Squarepants", in uscita nel 2014: lo stesso ruolo che aveva ricoperto nel primo, del 2004.
Mitja, animatore triestino che di cognome fa Rabar, si fa conoscere per il lavoro alla parigina Mac Guff (vedi box), lì lavora a "Cattivissimo Me" e "Lorax", poi si trasferisce a Los Angeles e passa alla Disney come animatore di "Ralph Spaccatutto" (2012). Attualmente è impegnato su "Frozen - il regno di ghiaccio", film Disney del Natale 2013.
Quattro storie di talenti esemplari, quattro cartoonist che, come tanti altri colleghi italiani (da Enrico Casarosa della Pixar che, con il poetico corto animato "La Luna", è arrivato fino alla nomination degli Oscar 2012 a Cinzia Angelini, animatrice degli "stunt" digitali dell’Uomo Ragno in "Spider-Man 2" e di cartoon come i "Robinson" e "Bolt"), hanno abbandonato il nostro paese. Cervelli in fuga che hanno ottenuto nei kolossal animati statunitensi un peso analogo a quello dei celebrati Dante Ferretti, Vittorio Storaro e Milena Canonero nel cinema "dal vero", ma rimangono quasi sconosciuti nel nostro paese. Eppure l’Italia ha dato all’animazione maestri come Bruno Bozzetto, Giulio Gianini e Lele Luzzati, Manfredo Manfredi, Osvaldo Cavandoli, che hanno rastrellato premi in ogni parte del mondo. La scorsa estate John Lasseter in persona ha voluto celebrare Bozzetto alla Pixar, in una master class dove i creatori di "Toy Story", "Nemo" e "Gli Incredibili" pendevano dalle labbra del papà di "Allegro non troppo". Eppure questa gloriosa tradizione che tanto ha dato al cartooning mondiale, sembra oggi sopravvivere solo nei nostri talenti costretti a emigrare.
Ci si può chiedere se la causa di una simile emorragia di creatività sia della crisi economica o della tradizionale miopia produttiva italica, di chi non se la sente di investire in cartoon la cui realizzazione, nel migliore dei casi, richiede un paio d’anni di spese vive, prima di poter sperare di guadagnare un euro. Certo non aiuta il fatto che nel nostro paese predomini l’ottuso pregiudizio secondo il quale "con la cultura non si mangia": e l’annunciato taglio del 50 per cento del tax credit cinematografico da parte del governo Letta (che pure aveva promesso di dimettersi, piuttosto che tagliare ulteriormente i fondi alla cultura), fa presagire che le cose non possano che peggiorare.
Fatto sta che oggi quel poco che ancora si riesce a produrre nel Belpaese, non tiene il passo della concorrenza. C’è stato, è vero, l’exploit internazionale della serie tv Winx Club della Rainbow di Iginio Straffi. Ma lo stesso Straffi, sul fronte dei lungometraggi, non è riuscito a sfondare: con "Gladiatori di Roma 3D" ha racimolato poco più di 3 milioni di euro, a fronte di cinque anni di lavoro e un budget di circa 40 milioni. Né vanno meglio le cose sul fronte dell’animazione d’autore: il raffinato "Pinocchio" di Enzo D’Alò che, dopo l’anteprima veneziana dello scorso anno e l’unanime successo di critica, ai botteghini non è andato oltre un magro incasso di 1,2 milioni di euro.
Eppure, nella stessa stagione cinematografica, diversi cartoon stranieri hanno sbancato al botteghino. La riedizione in 3D di "Alla ricerca di Nemo" della Pixar/Disney ha totalizzato in Italia 21,8 milioni di euro, nel mondo 393,8 milioni di dollari (da aggiungere ai 921,7 milioni totalizzati finora da un film costato, nel 2003, 94 milioni di dollari). Sempre in Italia e sempre l’anno scorso, la DreamWorks, con "Madagascar 3: Ricercati in Europa" ha incassato 21,8 milioni di euro (il film, costato 145 milioni di dollari, in tutto il mondo ne ha incassati 742). Grande successo italiano anche per la Blue Sky che con "L’Era Glaciale 4" ha portato alla Fox 16,5 milioni di euro (che nel mondo diventano 877,2 milioni di dollari per un film costato "solo" 95 milioni).
Appurato che i budget stanziati dalle major sono per noi inarrivabili, resta il fatto che in Italia sembra ora mancare quel guizzo "internazionale" che rende, ad esempio, lo scoiattolo Scrat dell’"Era Glaciale", i pinguini psicopatici di "Madagascar" e i Minions di "Cattivissimo Me", star internazionali comprensibili ai pubblici di ogni lingua, età, cultura e latitudine. Mancano quei passepartout comici, come un tempo sono stati i nostri Signor Rossi di Bozzetto e La Linea di Cavandoli, che garantiscono il successo globale di un cartoon. Sembra che oggi il "Made in Italy" dell’animazione funzioni solo quando i cartoonist emigrano. «Non credo sia un discorso di italianità, ma di professionalità», commenta Cinello. «I problemi con cui mi scontravo 25 anni fa e che mi hanno spinto a emigrare sono ancora presenti, forse più acuti, vista la mancanza di fondi. C’è una mancanza di professionalità dei produttori con cui ho avuto a che fare, gente che ha un approccio dilettantesco e fa questo lavoro per hobby, il che è inaccettabile».
Un pessimismo condiviso, con diverse gradazioni, da tutti i colleghi che negli Usa trovano anche il tempo di coltivare interessi paralleli all’animazione. Cinello ha pubblicato una graphic novel ("Soul Kiss") e due libri illustrati ("Frankie Stein" e "Batula"), tutti editi dalla Image e firmati con lo sceneggiatore Steven T. Seagle, autore della popolare serie tv "Ben 10": «In Italia non ho trovato uno straccio di editore che li pubblicasse!», ironizza. Silvia Pompei si è cimentata col documentario, dirigendo "Pencils to Pixels" (2004), sul passaggio dalle matite all’animazione digitale e ora sogna un futuro nella didattica: «Negli ultimi anni sono stata chiamata a parlare della mia esperienza, in conferenze e stage di animazione», racconta. «All’Accademia del Cinema Ragazzi di Bari, fondata come oasi creativa nel desolato quartiere San Pio, ad esempio, ho incontrato ragazzi intelligentissimi, ma senza mezzi».
Mitja ha coronato il suo sogno: «Lavorare alla Disney, dove sono l’unico animatore italiano. Per me era il massimo traguardo possibile da raggiungere nella vita. La differenza tra l’America e l’Italia? La nostra mancanza d’umiltà. Se un artista americano non capisce qualcosa non si vergogna a chiedere», spiega. «Ma invidio i miei colleghi spagnoli e francesi che progettano un giorno di tornare a casa. Per un italiano è impossibile. Eppure dieci anni fa, quando sono partito, Italia, Francia e Spagna nell’animazione erano allo stesso livello».
Arrivato al cartooning dopo un rodaggio negli effetti digitali del cinema dal vero, Alex Ongaro confessa: «L’animazione non era il mio interesse primario. Ho iniziato a occuparmi di effetti speciali pensando ai blockbuster e ho lasciato l’Italia quando mi ci sono voluti sette mesi per farmi pagare una fattura. Quando sono arrivato alla DreamWorks, ho capito che l’animazione può dare enormi soddisfazioni». Un esempio? «La sequenza in cui Turbo acquista la supervelocità l’abbiamo realizzata integralmente nel nostro reparto, il che non accade mai. Abbiamo lavorato cinque mesi in tre per 25 secondi di girato, ma un animatore, in media, completa tre secondi a settimana, mentre noi siamo riusciti non solo ad animare ma anche a inserire gli effetti speciali. Sembra una velocità da lumaca, ma è un record!».