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 2013  luglio 31 Mercoledì calendario

LA FOLLIA DI UN PAESE CHE REGALA BEBE’ AI VINCITORI DEL QUIZ

Avviene in Pakistan, Pae­se avvezzo a terrorismo e a violenza, ma questa storia è ancora peggiore dei soli­ti morti, perché ci racconta co­me il genere umano, nella fame e nell’ignoranza, possa toccare il fondo conside­rando carne da teleschermo le sue stesse creature, e prima ancora di questo, come possa letteralmente buttarle nella spazzatura. È la storia di una ri­sposta idiota e disgustosa a una condizione disperata. In Pakistan un famoso anchorman di nome Aamir Liaquat Hussain, buon musulmano re­ligioso e anche sex symbol, ge­stisce uno show tipo OK il prez­zo è giusto. In questi giorni di Ramadan va in onda sette ore al giorno, e il premio messo in palio è un neonato.
Un premio speciale per gior­ni speciali. Vinci, e vai a casa con un pesciolino rosso, par­don, un bambino piccolo. Hussain spiega che si tratta co­munque di «bimbi abbandonati che sono condannati a crescere per strada per poi es­sere magari arruolati dai terro­risti e concludere la loro esi­stenza come attentatori ka­mikaze. Noi offriamo loro un’ alternativa, che c’è di sbaglia­to?». I neonati aggiunge, sono spesso ritrovati fra la spazzatu­ra già morsicati dai cani. Tutto vero. Nel mondo i bambini per strada sono 250 milioni, il 61 per cento in Asia, il 32 in Africa. Finiscono soldati a sei anni, prostituti, vittime di pe­dofili, ladri e terroristi. Ma il fatto è che Hussain, lungi dal fornire un’alternativa a que­sta situazione, vi si adegua: nel Terzo mondo solo pochi eroi, invece di arrangiarsi a sopravvivere, combattono. Hus­sain vende i bambini, li prosti­tuisce per l’audience, gettandoli fra le braccia di sconosciuti avventori. Ov­vero: la socie­tà cui appar­tiene rovescia sulle strade un milione e 200mila creature, li vedi aggirarsi alla ricerca di ri­fiuti nei mucchi di spazzatura, li incontri mentre lavorano 15 ore al giorno spingendo a mano carret­ti stracarichi o mentre si prostituisco­no oppure quando cer­cano di vendere merce di con­trabbando. Li vedi con gli oc­chi mangiati dalle mosche o buttati per terra malati di Ai­ds, e ti rispondono che da anni non sanno dove sia la mam­ma. La risposta di darli via in tv con fragore di tamburi (oltre­tutto a dei signori che per quel che ne sappiamo hanno rispo­sto a un quiz, e magari li sfrutteranno a loro volta) è una ri­sposta altrettanto carica di di­sprezzo, di mancanza di ri­spetto per queste creature trat­tate come oggetti.
Hussain non ha colpa dell’immenso disastro di cui si ren­de complice. Ma la sua scoper­ta operazione mediatica è uno sprezzante, ennesimo sac­chetto di plastica, una botti­glia di Coca-Cola vuota, un mucchio di spazzatura abban­donato, bucce putride nel pa­norama sgarrupato e polvero­so del Terzo mondo. Un gesto di disprezzo e di disperazione nello stesso tempo. È una tes­sera di un mosaico che in que­sti decenni non siamo riusciti a guardare con quell’affetto fraterno che consente di porre delle condizioni, di essere se­veri nello stabilire delle priori­tà quando porgiamo aiuto.
Qualche giorno fa la lettera di un capo talebano, il cui gruppo aveva aggredito la pic­cola Malala solo perché voleva andare a scuola, osava spie­garle perché aveva deciso, scientemente e con dispiace­re, di spararle in testa e di bru­ciarle la scuola. Un gesto di simpatia umana come quello di Hussain verso i bambini che dà in regalo. Il talebano quasi prometteva a Malala di sparare ancora se non avesse optato per una scuola islami­ca per ragazze, invece di insi­stere per l’istruzione genera­le. E intanto, gli americani hanno deciso di trattare con i talebani. Una lettera del gene­re dovrebbe dissuaderli da quel gesto irresponsabile. Il talk show di Hussain, che non è un talebano ma profitta di una situazione spaventosa, dovrebbe indurre gli europei a telefonare al governo pakistano e a chiedergli che inten­zioni ha verso i suoi bambini, se vuole seguitare a esserci amico.
Fiamma Nirenstein