VARIE 31/7/2013, 31 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - LA CASSAZIONE E BERLUSCONI. ATTESA PER LA SENTENZA
REPUBBLICA.IT
ROMA - E’ attesa per domani pomeriggio la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, che vede tra gli imputati Silvio Berlusconi, condannato in appello a 4 anni di reclusione per frode fiscale e a 5 di interdizione dai pubblici uffici. La sezione feriale si riunirà domani alle 12.
Nella seconda giornata la parola è passata alle difese, a cui è toccato ribattere alla requisitoria del sostituto procuratore Antonello Mura. Il rappresentante dell’accusa dopo aver definito Berlusconi "l’ideatore del meccanismo delle frode fiscali", aveva chiesto il rigetto dei ricorsi delle difese degli imputati (e quindi la conferma delle condanne). Da ricalcolare invece l’interdizione dai pubblici uffici, che secondo la Procura generale della Cassazione deve essere ridotta da 5 a 3 anni.
GHEDINI: "MANCA PROVA PARTECIPAZIONE" - La replica nel pomeriggio è toccata a Niccolò Ghedini. "Manca nel tessuto della sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio", ha detto uno dei due legali del Cavaliere, nella sua arringa. "Il procuratore generale - ha affermato Ghedini - ha detto che per Berlusconi ci sarebbero state attività ulteriori oltre alla fatturazione. Quindi mi sarei aspettato dal pg delle integrazioni rispetto alle motivazioni della Corte di Appello, in cui non c’è nulla a riguardo. Integrazioni che non ci sono state perché non ci sono attività ulteriori oltre la fatturazione". Secondo Ghedini, la vicenda dei diritti Mediaset è un processo nel quale "non c’è stata data possibilità di difenderci" e che ormai è diventato "il mio incubo notturno".
COPPI: "APPELLO MOSSO DA PREGIUDIZIO" - Dopo Ghedini è stata la volta di Franco Coppi. "Nessuna prova è stata raccolta su ingerenze di Berlusconi nella gestione di Mediaset dal ’95 ad oggi". "Tutta la sentenza d’appello - ha sottolineato Coppi - muove da un pregiudizio". "Il pregiudizio - ha spiegato il legale - è che ci sia un meccanismo truffaldino ideato negli anni ’80; che sia stato ideato da Berlusconi. Ecco perchè - ha concluso Coppi - non sono state ammesse le prove con cui la difesa avrebbe potuto ribaltare quel pregiudizio".
Di qui la richiesta della difesa. "Chiedo che la sentenza venga annullata - ha detto Coppi - perché il fatto così come prospettato in mancanza di una violazione di una specifica norma antielusiva non è reato, è penalmente irrilevante".
GLI ALTRI IMPUTATI - Questa mattina sono intervenuti, invece, i legali degli altri imputati. Luca Mucci, difensore di Lorenzano, ha fatto sapere che il suo assistito sta viaggiando verso L’italia per "eventualmente costituirsi". Ha preso poi la parola l’avvocato di Frank Agrama, Roberto Pisano. E’ presente una "chiara contraddittorietà" - ha detto il legale - tra la sentenza d’appello e gli atti presenti nel processo. Mentre per l’ex dipendente Mediaset Gabriella Galetto hanno parlato il professor Nicola Mazza Cuva e Filippo Dinacci.
GLI SCENARI - Due i possibili scenari alla luce della requisitoria della procura generale. Nel caso in cui la Cassazione decidesse di rimodulare ’motu proprio’ la pena accessoria, l’interdizione dai pubblici uffici scatterebbe subito dopo il via libera parlamentare. L’ultima parola spetta infatti alla Giunta per le elezioni e per l’immunità e poi all’Aula di Palazzo Madama. Se arrivasse, il Cavaliere decadrebbe dal ruolo di parlamentare e potrebbe tornare a ricandidarsi o a ricoprire una carica pubblica solo dopo il 2016, trascorsi i tre anni dell’interdizione. Applicazione immediata, invece, della pena di 4 anni (3 anni coperti dall’indulto, un anno con le opzioni degli arresti domiciliari o dei servizi sociali).
Nel caso in cui la Suprema Corte dovesse decidere di accogliere la richiesta del pg sulla rideterminazione dell’interdizione, affidando però il compito all’appello di Milano, si allungherebbero i tempi e Berlusconi potrebbe continuare a svolgere il suo ruolo da parlamentare fino alla nuova decisione. Non cambia la situazione per quanto riguarda la pena dei 4 anni.
LE ALTRE IPOTESI - I giudici della sezione feriale potrebbero, poi, confermare o annullare in toto la condanna d’appello. Ulteriore decisione possibile, infine, è quella di un appello bis, nel caso la Suprema Corte dovesse accogliere qualche rilievo tecnico, tra i 47 sollevati dalla difesa del Cavaliere.
FEDERICO GEREMICCA SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Magari è solo l’ennesimo effetto collaterale di un dibattito interno oltremodo avvelenato: ma nella ridda di polemiche e commenti intorno alla posizione che il Pd dovrebbe tenere in caso di conferma della condanna di Silvio Berlusconi, c’è un silenzio che colpisce. È quello di Matteo Renzi, oggi il leader più popolare – e domani forse il segretario – del Partito democratico. Che pensa della vicenda? Cosa crede che il suo partito debba fare? E anzi: cosa farebbe lui nei panni di Guglielmo Epifani?
Dall’interno del Pd si sono levate, in questi giorni, diverse voci: quella di chi ritiene che non si possa restare alleati di governo con un leader definitivamente condannato, quella di chi replica che la situazione giudiziaria del Cavaliere era nota e quindi è ipocrita fingere di cadere dalle nuvole, quella – infine – di chi sostiene che l’atteggiamento dei democratici debba dipendere ed esser proporzionato alla «qualità» della reazione del Pdl. Già, ma che pensa – e perché non parla – il leader che tra quattro o cinque mesi potrebbe essere alla guida del partito e deciderne tattica e strategia?
Da un paio di settimane – come è noto – Matteo Renzi è in silenzio stampa, e ancora ieri ha argomentato questa scelta con qualcuno dei suoi che lo sollecitava a riprendere la battaglia: «Vivo questo momento con grande distacco... Mi hanno accusato di pugnalare alle spalle Letta, proprio io che ho detto sempre lealmente le cose in faccia. Se mai decideranno di fare il Congresso, fissandone regole e data, dirò quel che penso su tutto: dal governo a Berlusconi. Ma fino a quel momento, tolgo loro l’alibi per attaccarmi: sto zitto e lavoro per Firenze».
È una scelta, una linea: discutibile, naturalmente. Perché – è chiaro – una cosa è una moratoria alle dichiarazioni intorno agli F35 e alla legge elettorale, oppure sul finanziamento ai partiti o le regole per le primarie, mentre altro – tutt’altro – sono la curiosità e perfino il diritto degli iscritti e degli elettori democratici a sapere che linea avrebbe assunto – in un tornante politico così delicato – un Pd a «trazione renziana». Avrebbe chiesto a Letta di interrompere la sua esperienza di governo, in caso di condanna confermata a Berlusconi? Oppure avrebbe tirato dritto per la strada decisa in aprile?
Impossibile saperlo. E al di là del momentaneo vantaggio che Renzi potrebbe trarre dal tacere (non alimentare polemiche e non farsi nuovi nemici, né a destra né a sinistra...) il suo silenzio sottrae al dibattito un importante elemento di conoscenza e orientamento: pur se è vero che su Berlusconi e i suoi guai il pensiero del sindaco di Firenze è sufficientemente noto. Infatti, ha più volte spiegato che avrebbe votato contro l’ineleggibilità del Cavaliere, perché le leggi non si possono applicare a intermittenza o secondo la convenienza. E più in generale, ben prima dell’inizio del suo polemico silenzio stampa, spiegava: «Io ho sempre sognato di battere Berlusconi alle elezioni, e ho sempre detto di volerlo mandare in pensione non in galera».
Si può, allineando queste dichiarazioni, immaginare in che trincea Renzi-segretario calerebbe il «suo» Pd, in caso di condanna confermata per il Cavaliere? Molto probabilmente non aprirebbe la crisi di governo, ma voterebbe per la sua decadenza da senatore. Oppure no, tutto il contrario: via dal patto col «Caimano» e di corsa verso altre soluzioni o, forse, addirittura verso nuove elezioni... Difficile dire. E così, l’iscritto-elettore democratico resta col dubbio, azzarda ipotesi, propone scommesse. Noi diremmo: assurdo, ci vuole chiarezza. E invece, magari, il silenzio e l’attenzione che quel «mutismo» oggi determina, sono un altro piccolo colpo di un leader che si conferma imbattibile sul terreno della comunicazione...
COLONNELLO SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Il colpo di scena, probabilmente solo il primo di questa lunga maratona finale in Cassazione, arriva a cinque minuti dall’inizio dei Tg della sera. Quando il Pg Antonello Mura, dopo cinque ore di requisitoria, scandisce lentamente le sue conclusioni: «Voglia annullarsi la sentenza impugnata nei confronti del ricorrente Silvio Berlusconi...limitatamente all’entità della pena accessoria dell’interruzione dai pubblici uffici. Con la rideterminazione della stessa nella misura di anni 3...». Ovvero: si mantenga ferma la condanna penale a 4 anni di Silvio Berlusconi ma si riveda l’interdizione dai pubblici uffici, passando da 5 a 3 anni. Una richiesta, apparentemente avulsa dalle conclusioni cui - in legittimità, merito e diritto - giunge lo stesso Pg che smonta una per una le 94 motivazioni di ricorso delle difese, di cui 47 solo quelle di Berlusconi. E che definisce «logica, conseguente ed esente da vizi» nonché «idonea a superare il vaglio di legittimità» la sentenza della Corte d’Appello di Milano. Ma poi aggiunge, un’ultima, determinante postilla. C’è un’incongruenza, dice, tra l’interdizione fino a tre anni per le pene che non superino questo tempo e il salto a 5 anni, per un solo anno di condanna in più. «Non c’è graduazione della pena accessoria», spiega. E allora, suggerisce, può essere la stessa Corte di Cassazione a rideterminarla, abbassandola. Oppure, rimandandola in Appello. L’onestà della richiesta, valutata alla luce del conflitto tra due articoli del codice (12 e 29), è fuori discussione perché la domanda è: cosa cambia se Berlusconi viene interdetto 3 anni anziché 5? Poco o nulla, nei termini di decadenza dal seggio senatoriale; poco o nulla in quelli di condanna penale, visto che con il rinvio eventuale a una nuova corte d’appello, la prescrizione dei capi d’imputazione non verrebbe toccata lasciando invariata la pena a quattro anni di reclusione. E il processo, che si prescrive nel settembre 2014, farebbe in tempo a concludersi.
Ma è il segnale che forse, in qualche modo, si vuole trovare una via d’uscita. Sebbene, per come la vedono gli avvocati del Cavaliere e i suoi supporter politici, non sarebbe questa la strada sufficiente per garantire una serena vecchiaia a Berlusconi con un seggio in Senato. Infatti il professor Franco Coppi scuote la testa: «Ho idea che domani (oggi, ndr) useremo argomentazioni completamente nuove. Puntiamo all’assoluzione completa».
«Il punto nodale» tra i 47 ricorsi di Berlusconi lo individua verso le due del pomeriggio il giudice relatore Franco Amedeo, riassumendo l’intera vicenda: «La configurabilità del reato presentato alla Corte». Che ovviamente il Pg Mura tenta di parare, spiegando che la ventilata derubricazione del reato da frode fiscale alla semplice accusa di false fatturazioni, non è una strada praticabile in quest’aula. Primo perché sarebbe paradossale che il dominus di Mediaset e inventore del sistema di ricarico sui diritti televisivi da far girare nelle numerose società del comparto estero, venisse alla fine considerato alla stregua di un semplice pataccaro di false fatture. Secondo perché se venisse riconosciuto solo questo reato il processo sarebbe da considerarsi bello che prescritto da tempo. «È opinione di questo Pg che nessuno dei motivi di ricorso abbiano fondamento alcuno», taglia corto, si fa per dire, il pg Mura. Men che meno questo. Berlusconi, dice il rappresentante dell’accusa, si occupa «dell’avvio, dell’evoluzione e del perfezionamento» del sistema che consentiva di far figurare nella dichiarazione dei redditi costi esorbitanti per i diritti cinematografici, quando invece lievitavano solo grazie alle «fittizie intermediazioni» della sua galassia estera off shore. Per questo va considerato responsabile a pieno titolo di tutti i reati ascrittigli. Il presidente Antonio Esposito ascolta con attenzione. L’udienza è rinviata a questa mattina per le repliche delle difese. E non è escluso che il professor Coppi esponga la sua strategia soltanto domani. Tre giorni in Cassazione per un processo è un tempo che non ha forse precedenti. E infatti, prima che l’udienza Mediaset-Berlusconi abbia avvio, in mattinata i giudici affrontano ben 7 cause, dal mancato pagamento di alimenti, all’abuso edilizio. E in 40 minuti risolvono tutto con sentenza. «La legge è uguale per tutti» recita sopra lo scranno del presidente il monito meno sincero d’Italia.
MARIA CORBI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
l sostituto procuratore generale Antonello Mura respinge uno a uno i motivi di appello della difesa di Berlusconi. Franco Coppi e Nicolò Ghedini, ascoltano attenti, qualche scuotimento di testa, ma niente di più. Non è certo una sorpresa. E quando Mura chiede l’annullamento della sentenza nella parte che fissa la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, chiedendo alla Corte di abbassarla da cinque a tre anni, solo un cenno di interesse. Nessun entusiasmo. «E’ un errore palese della sentenza», spiega Coppi. «Non poteva fare altro». Esce di corsa alle 8 di sera dall’aula dopo una giornata nel caldo dell’aula della prima sezione penale senza aria condizionata. Un solo commento alla lunga requisitoria del Pg: «Ammiro lo sforzo generoso, sportivo del procuratore generale che ha difeso una sentenza indifendibile. Non ha intaccato l’impianto critico che abbiamo costruito nei motivi di ricorso. La Procura ha fatto migliaia e migliaia di richieste di rigetto, domani li contesteremo».
Una udienza lunghissima iniziata con la relazione introduttiva del consigliere Amedeo Franco che per 3 ore esamina uno a uno i motivi del ricorso delle difesa. «Una relazione completa», commenta Coppi. Poche parole, come suo costume, che fanno trasparire una moderata soddisfazione. Franco si è soffermato molto, con sfumature che potrebbero leggersi come favorevoli alla difesa, sulla società maltese Ims che secondo l’accusa era fittizia e serviva solo per aumentare il costo dei diritti tv mentre per la difesa operava realmente con lo scopo di rendere meno onerose fiscalmente le operazioni alle major americane, venditrici dei diritti. Ma anche sulla questione di Berlusconi socio occulto del produttore egiziano Frank Agrama. Oltre che sulle questioni di diritto aggiunte (solo accennate, invece, dal procuratore generale) che sollevano la questione subordinata della applicazione di un diverso articolo della legge 74 del 2000 riguardante i reati tributari, ossia articolo 2 (dichiarazione infedele) e non articolo 4 (dichiarazione fraudolenta) come nella sentenza di condanna.
«Una relazione completa che ho molto apprezzato, un lavorone, che HA messo in luce tutte le pieghe della vicenda, adesso possiamo cominciare la discussione su un terreno già preparato», ha commentato Coppi prima di scappare a pranzo inseguito da un esercito di fotografi e giornalisti. Mentre Ghedini tornava a casa per cambiarsi la camicia e informare al telefono senza orecchie indiscrete Berlusconi. La richiesta del sostituto procuratore generale Mura, se accolta, potrebbe portare per il cavaliere un po’ di respiro nel caso la Corte decidesse di affidare a un giudice di rinvio la rimodulazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Fino ad allora Berlusconi non potrebbe essere fatto decadere dalla carica di senatore. Ma ovviamente la difesa punta più in alto.
«Vado in giro con le corna, sono superstizioso e non faccio previsioni», ha spiegato Coppi, «ma è chiaro che puntiamo all’annullamento radicale» della condanna a Silvio Berlusconi. Certo è che una vittoria per il cavaliere sarebbe anche l’annullamento con rinvio nel qual caso uno dei due episodi oggetto di reato si prescriverebbe. E il giudice del rinvio dovrebbe abbassare la pena.
«Per noi il reato non c’è proprio», ha però chiarito Coppi, «e la sostanza non cambia se il reato configurato fosse falsa fatturazione invece che frode fiscale». «Quella della configurabilita’ del reato - dice - è una subordinata».
Oggi parleranno le difese degli imputati, per ultima quella di Silvio Berlusconi, inizierà Ghedini, poi, ultimo, Franco Coppi (che potrebbe slittare a domani). Domani o venerdì la sentenza.
SORGI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Nella prima giornata del processo contro Berlusconi in Cassazione i fumi della battaglia della vigilia si sono fatalmente diradati, di fronte alla secca liturgia del collegio che deve giudicare l’expremier, ma soprattutto alla requisitoria del sostituto procuratore generale Antonello Mura, che ha esordito proprio con un accenno alle “passioni” che avevano accompagnato l’attesa dell’inizio dell’udienza e la sentenza, che arriverà stasera o anche domattina, secondo la durata della camera di consiglio dei giudici della Suprema Corte.
Mura ha però introdotto una novità che potrebbe ripercuotersi sul giudizio finale della Corte: la riduzione della pena accessoria di cinque anni di interdizione, che “non sono giustificabili” e la Cassazione dovrebbe autonomamente ridimensionare. E’ bastato questo a motivare un certo ottimismo nel fronte berlusconiano: e d’altra parte, se la pubblica accusa chiede una sia pur simbolica riduzione di pena, il collegio giudicante dovrà valutarla con grande attenzione. Mura ha poi ripercorso lo schema accusatorio confermando che le prove addotte dai giudici di appello per dimostrare le responsabilità di Berlusconi sono concrete e ha insistito, sia sulla “continuità” del reato, sia sulla mancata testimonianza di Frank Agrama, il terminale dei rapporti internazionali di Mediaset per assicurarsi i diritti cinematografici. La replica del prof. Coppi, la cui arringa contiene ben 88 motivi di invalidità delle sentenze dei giudici di Milano, è stata altrettanto asciutta: “Puntiamo all’annullamento”, cioè alla vittoria piena. La sordina chiesta dai legali del Cavaliere all’inquieto gruppo dirigente del Pdl, che vive questi giorni come se il partito nel suo insieme fosse imputato, non ha impedito che qui e là qualcuna delle amazzoni, come la Santanchè e la Biancofiore, tornassero alla carica minacciando reazioni durissime del centrodestra in caso di condanna. la sensazione è che, malgrado Berlusconi, che tace ed è blindato da lunedì pomeriggio a Palazzo Grazioli con i suoi familiari, continui a far arrivare assIcurazioni che non farà cadere il governo anche nel caso peggiore, la scelta di non chiedere rinvii e puntare a ottenere subito il verdetto sia legata anche a una valutazione dei tempi che consentirebbe, sia pure in extremis, di puntare ad elezioni anticipate in autunno. Una decisione in un senso o nell’altro, però, sarà presa solo dopo la sentenza. Anche nel Pd è continuato il confronto a distanza tra i governativi, che insistono (lo ha ripetuto ieri Boccia, vicinissimo a Letta) nel tentativo di sterilizzare le conseguenze di un’eventuale condanna, e i radicali che si preparano a reagire alla guerriglia annunciata dai falchi del Pdl.
FELTRI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Sembrano surgelati, senza offesa. Surgelati all’aria condizionata di Montecitorio, inchiodati in un’attesa che blocca tutto. Incapaci di dire - e forse di pensare, almeno in qualche caso - nulla che non sia di circostanza. Sono rigorosamente allineati, oggi, i parlamentari berlusconiani. Annagrazia Calabria, per esempio, scavalla in Transatlantico con sorriso di beffa: «Aspettiamo con senso dello Stato e rispetto delle istituzioni». Per non dire di Laura Ravetto: tira fuori due occhi folleggianti e fugge con passo rapsodico perché non ha informazioni da dare né considerazioni da fare. Né sentimenti da comunicare? «No!». Soprattutto, vietato parlare dei magistrati. Non esistono, oggi, toghe rosse né complotti comunisti. Se ne riparla, semmai, domani o anche dopodomani alla lettura della sentenza.
E in effetti che debbono dire, poveretti? Li aiuta la giornata densa. C’è commissione e poi tutti gli emendamenti dell’ecobonus da vagliare: «Ora non posso, si vota...». Poi tornano e fanno gli ottimisti. L’ottimismo è una preghiera nemmeno tanto laica e recitata quasi in coro. Gabriella Giammanco dice di essere ottimista «perché chi ha sentito Silvio Berlusconi lo ha sentito tranquillo e di buon umore. Lui conta che vada tutto bene e ci contiamo anche noi». Renata Polverini lo ha pure sentito di persona, e l’impressione è la medesima: «Sì, l’ho sentito venerdì ed era fiducioso. Noi tutti ci auguriamo che abbia ragione». La rotondità perfetta è di Saverio Romano, ex ministro delle Politiche agricole: «C’è grande speranza, non soltanto per il rapporto di profondo affetto che si è instaurato fra Silvio Berlusconi ed ognuno di noi, non soltanto perché lui è il leader del maggiore partito di centrodestra, ma grande speranza che queste accuse a nostro avviso inconsistenti non oltrepassino il terzo grado di giudizio». Un concetto oltre il quale non si spinge nemmeno Raffaele Fitto: «E’ chiaro, non è una sentenza su una persona ma su una storia politica lunga venti anni. È normale che ci sia ansia, e che ci sia poco da dire».
L’unica un pochino dubbiosa è Mariastella Gelmini: «Certo, siamo preoccupati. Anche Berlusconi alterna momenti di buonumore ad altri più malinconici. È che la ragione ci fa pensare che sarà assolto, ma quando c’è di mezzo lui ogni regola logica perde di consistenza». Ma neanche per lei è il momento di guerreggiare. Non vuole Berlusconi perché non lo vuole l’avvocato Franco Coppi. «E non si devono nemmeno avere pretese: siamo qui, aspettiamo come tutti. C’è un clima sospeso, non è colpa di nessuno», dice la Polverini. «La si sta montando anche più del dovuto», dice Massimo Palmizio, uno dei fondatori venuti fuori da Publitalia. Secondo lui cambierà poco, in ogni caso. Pensa che anche nella peggiore delle ipotesi «Berlusconi resterà il nostro leader, magari fuori dal Parlamento come Beppe Grillo, ma molto meglio di Beppe Grillo. Come mi ha sempre detto Silvio, omnia in bonum , tutto quello che mi succede è per il mio bene». E così, per blindare la giornata (e a parte le foghe amorose di Micaela Biancofiore, che ad Agorà ha detto che «se la Cassazione condanna Berlusconi mi dimetto, è un gesto di solidarietà nei suoi confronti»), si escludono ipotesi sul dopo. «No, proprio non ci abbiamo pensato. Non è il caso», dice Gabriella Giammanco con esibito pacifismo. «Ma sì, assisteremo pure a reazioni scomposte, ma saranno eccezioni», dice Palmizio con ostentata sicurezza. Ma proprio sul finale a traballare è la Polverini: «Sono curiosa di vedere che capiterà se, per esempio domani sera, mentre siamo in aula, arriva sui nostri telefonini la notizia della condanna di Berlusconi. Che facciamo? Restiamo lì a pigiare i tasti?».
LA MATTINA
Vent’anni, vent’anni di persecuzione giudiziaria e ora eccomi qui ad attendere un verdetto definitivo come un criminale. Vi rendete conto? E’ accusato di frode fiscale uno come me che nella vita ha pagato miliardi in tasse. Ma mi raccomando, niente comportamenti scomposti». Ci sono stati diversi momenti difficili e amari nella vita di Berlusconi, ma quelli che sta vivendo in queste ore lui li considera i peggiori. Tensione alle stelle, dita incrociate, umore altalenante, cupo pessimismo tra sprazzi di moderato ottimismo. C’è un lato umano e tutto personale che sta vivendo con tristezza il capo settantasettenne del centrodestra. Il quale non tiene conto solo delle ricadute politiche. Anzi.
C’è una dimensione tutta umana e personale che oggi, forse il giorno della sentenza, vuole vivere con i suoi figli (è previsto l’arrivo di Marina). Già, «un fatto centrale della sua vita», dice Marcello Dell’Utri. Un fatto molto personale che ha voluto vivere quasi blindato a Palazzo Grazioli. Niente telefonate, tutto filtrato da Maria Rosaria Rossi che lo segue come un’ombra. Solo la fidanzata Francesca Pascale con lui. Un cordone sanitario per evitare che qualunque sua parola fuori posto possa essere riportata ai giornalisti. Non è un caso forse che a varcare le porte della sua abitazione privata a Roma siano state nel pomeriggio solo alcune colombe, il ministro della Difesa Lupi e il presidente dei senatori Pdl Schifani. Prima di loro sono andati a trovarlo il portavoce Paolo Bonaiuti e il gran visir Gianni Letta, custode stanco del moderatismo berlusconiano.
Falchi e rapaci invece tenuti alla larga per evitare qualunque scivolone, come quel colloquio di venerdì sera con il direttore di «Libero» Belpietro che l’indomani in prima pagina sparò le parole di sfida del Cavaliere ai giudici della Suprema Corte: non fuggo all’estero come fece Craxi, non accetterò di farmi affidare ai servizi sociali, se condannato vado in carcere...
Coppi voleva sbranarlo, il colloquio fu smentito, ma la frittata era fatta. Ecco, un’altra gaffe alla vigilia dell’arringa della difesa sarebbe imperdonabile. Insomma, comunicazioni ridotte perché anche una parola fuori posto potrebbe inficiare la strategia di Coppi. Sono andate solo le colombe Schifani e Lupi, per l’appunto. E non è un caso che sia stato mandato il ministro Lupi a Porta a Porta, un rappresentante di quel governo Letta che il Cavaliere non intende buttare giù.
Lo ha detto e lo ha ripetuto innumerevoli volte in questi giorni Berlusconi. «Ho trovato il presidente Berlusconi ha raccontato Schifani - pacato. Grandissima compostezza, un uomo di Stato che sa quali sono le sue responsabilità nei confronti del Paese, al di là della sua vicenda personale». Certo l’arringa del Pg della Cassazione non fa ben sperare, ma non è considerata determinante per il giudizio della Corte. Questa la valutazione fatta da Berlusconi con Ghedini, che si è tenuto in costante collegamento telefonico con l’ex premier: dal Procuratore non ci poteva aspettare altro. Anche la richiesta di ridurre l’interdizione da 5 a 3 anni non ha sortito grandi entusiasmi.
Insomma, è ancora tutta da giocare la partita al Palazzaccio di Roma. E Berlusconi è diventato fatalista, descritto abbastanza sereno, in pace con se stesso. «Sono innocente e le carte lo dimostrano. Tutto quello che potevo e dovevo fare l’ho fatto». È chiaro che in queste ore nel suo ambiente si vuole dare un’immagine edulcorata dell’ex premier, quella di un uomo politico con la testa sulle spalle, che non spaccherà il mondo se condannato, checché ne dicano i descamisados del Pdl. Dimissioni di massa, palazzi del potere circondati, fiumi di berlusconiani inviperiti per le strade... La verità è che il grande capo non ha dato ancora alcuna indicazione su cosa fare dopo. «Affidiamoci a santo Coppi - dice Fabrizio Cicchitto - se ci avessero pensato prima...».
SEBASTIANO MESSINA SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
IL PESANTE portone di legno dell’aula si apre con solenne lentezza alle 10,50. È qui al secondo piano del Palazzaccio che si celebra il processo dell’anno, quello a Berlusconi. Ma prima di lui, prima del processo che tiene col fiato sospeso la politica, ce ne sono altri sette, che hanno diritto alla stessa attenzione, allo stesso
scrupoloso esame.