Gianni Rivera, L’Europeo n.1/2 2/2010, 31 luglio 2013
IL GOL PIÙ LUNGO DELLA VITA
Gianni Rivera, L’Europeo 1970 – N. 27
STAVAMO VINCENDO 3 A 2. MA TUTTE LE volte che ci contraevamo in difesa si rischiava troppo. I tedeschi attaccavano in massa. L’avere a disposizione un sempre maggior spazio li esaltava. C’è scappato quel corner. Ha battuto Reinhard Libuda. Il vecchio Uwe Seeler ha spedito da destra a sinistra, non dei tedeschi ma di Enrico Albertosi. Ero indietro anch’io, sulla linea della porta, tra Albertosi e il palo sinistro. Il solito Gerd Müller, non più al guinzaglio di Roberto Rosato, ci ha messo la testa. Albertosi mi ha gridato che il pallone era mio. E io, invece...
Posso pensarci e ripensarci, non la troverò mai la spiegazione. C’è un gran numero di movimenti che si fanno d’istinto in una partita. E il mio istinto deve avermi suggerito che il pallone sarebbe finito fuori. Il pallone è finito in rete: 3 a 3. Albertosi mi guardava con gli occhi di fuori, stravolto. E non stava neppure zitto. Parlava. Inutile che ripeta parola per parola, non è la sede adatta. Sono tornato al centro del campo. Oh, non mi andava proprio come si metteva la partita, male per tutti noi italiani, e per me in particolare. La conoscevo già, la musica. Una tristezza troppo grande da sopportare quella di essere indicato di nuovo come il colpevole. Comunque non potevo farmi illusioni. Il responso non sarebbe stato che uno... La partita è ricominciata. Eppure non mi sentivo stanco, non mi sentivo svuotato di energia, non mi sentivo rassegnato. Abbiamo provato ad attaccare di nuovo. Quando la squadra attacca, tutto funziona. È quando retrocede che, al contrario... Meglio lasciar perdere.
Dunque, avanti. E Roberto Boninsegna salta Willi Schulz che non capiva più nulla. Boninsegna va verso la porta di Sepp Maier. E Gigi Riva si attira addosso i superstiti della retroguardia avversaria. I tedeschi mi paiono più cotti di noi, altroché. Ecco d’improvviso spalancarmisi lo spazio giusto, una fetta di campo meravigliosa sgombra di ostacoli, invitante. So che il passaggio arriverà lì, corro verso l’appuntamento senza forzare, per non arrivare al tiro senza fiato. Quest’occasione non la posso sciupare.
Il passaggio di Boninsegna è perfetto. Sbalorditivo che lui abbia ancora tanta lucidità dopo più di due ore di lotta. Tirerò troppo alto? Troppo a destra? Troppo a sinistra? Troppo in bocca al portiere? Maier di colpo è enorme. Riempie l’intera porta. Finto appena. Maier si sbilancia, tocco di piatto destro. È il gol più lungo della mia vita. Imbambolato, resto a contemplare il pallone che pare non raggiungere mai il bersaglio. Quando l’ho toccato? È un’eternità. Un’eternità che si accumula tra me e quel pallone. Ma poi, finalmente, quel pallone fa agitare mollemente la rete. E l’incubo svanisce. Non ho sbagliato. Siamo 4 a 3. Questo gol significa l’ingresso alla finale. Non m’importa d’altro. Ma non riesco quasi ad alzare le braccia. Riva mi prende per la vita, si china a baciarmi in una violenta figura di tango.
Poi mi franano addosso gli altri... Un gol importante, come no? Proprio la finale con il Brasile non l’ho disputata: mi hanno tolto di squadra almeno sino a quando la sconfitta non è stata sicura. Per carità, non fraintendetemi, non è una ripresa di polemica e non è neppure un lamento. Io sono accusato di non assicurare il filtro a centrocampo, un’affermazione che dev’essere grave e soprattutto deve significare qualcosa. Tutti i gusti son gusti. C’è a chi piace la Nazionale con il filtro e a chi piace la Nazionale senza filtro. Allo stadio Azteca nella finale contro il Brasile è stata preferita la Nazionale con il filtro...