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 2013  luglio 27 Sabato calendario

UN GENIO MADE IN CHINA


T-shirt con logo della Coca-Cola, viso imberbe, occhi a mandorla dietro le piccole lenti: Zhao Bowen pare un ragazzo cinese qualunque. Ama suonare la tastiera e leggere fantascienza. Ma la sua vera infatuazione è la genetica: gli è venuta a 13 anni, dopo quella avuta per la fisica, a nove. A 15 marinava la scuola per frequentare i laboratori dell’Accademia di Agricoltura di Pechino, dove puliva provette e in cambio lo lasciavano partecipare agli esperimenti, fra cui uno sul genoma del cetriolo. Un esordio umile ma precocissimo: non ancora maggiorenne figurò tra gli autori di uno studio apparso su Nature. E oggi, che di anni ne ha 21, è il direttore di una ricerca che potrebbe svelarci perché al mondo esistono prodigi come lui.
«L’origine genetica dell’intelligenza resta ancora oscura», spiega Zhao negli edifici di un’ex tipografia di Shenzhen che ospitano la sede della società Bgi, leader mondiale nel sequenziamento genetico. Mentre inizia a raccontarci come il suo progetto punti a svelare il segreto dell’ereditabilità delle nostre abilità cognitive, al piano di sotto 136 costosissime macchine stanno decifrando oltre 2000 campioni di DNA. E non sono campioni qualsiasi: appartengono a cervelli fuori dal comune, con un quoziente intellettivo sopra i 145 punti (la media è intorno ai 100).
Inizialmente Zhao aveva provato a raccogliere i campioni fra i "nerd" del suo liceo, un istituto d’élite dove si accede per merito e che lui ha abbandonato prima di terminare gli studi per entrare nella Bgi. «Ma i genitori erano sospettosi sui prelievi del sangue», ricorda il giovane genetista. «C’era bisogno di partner». Così oggi i campioni di DNA analizzati, in forma anonima, provengono da cervelloni di mezzo mondo, in gran parte occidentali. Oltre la metà è stata raccolta dal professor Robert Plomin del King’s College di Londra. Poi ci sono quelli dei partecipanti alle Olimpiadi cinesi di matematica. E quelli di parecchie persone che hanno aderito all’annuncio via web della Bgi.
«La scienza ha scoperto le mutazioni che possono abbassare di molto l’intelligenza», prosegue Zhao. «Ma i geni responsabili di un suo aumento non sono ancora stati individuati».
Lui spera di scoprirli comparando i genomi dei "geniacci" con quelli di altri individui. Pare un esperimento elementare: invece la sfida scientifica è ardita. Anche perché, in studi simili, «la forza statistica dei dati è cruciale». Prendete in considerazione l’altezza. Come l’intelligenza, è influenzata da una pletora di geni, ognuno con il suo piccolo contributo in grado di regalarci o sottrarci millimetri. Ebbene, la scienza ha trovato risultati significativi solo alla soglia dei 10mila DNA studiati, scoprendo così che i geni che determinano quanto siamo alti sono oltre mille. L’intelligenza potrebbe essere dovuta da un’infinità di geni in più. In altre parole, se può bastarne uno per causare un ritardo mentale, un gene non basta per avere un genio. Sinora lo studio più ampio in materia è stato condotto su 5000 persone prese a caso tra la popolazione. Nella ricerca della Bgi, «la più robusta mai architettata», l’individuazione dei fattori legati all’intelletto dovrebbe essere facilitata proprio dalla comparazione con i DNA delle persone particolarmente dotate. «Le mutazioni potrebbero essere anche 10mila: se ne scoprissimo 10 sarebbe già formidabile».
Le conclusioni di Zhao e dei dieci ricercatori del suo team (biologi, genetisti, statistici) non arriveranno prima dell’autunno. Ma è già possibile immaginarne i possibili risvolti. Prodigiosi e controversi allo stesso tempo. Da un lato, potrebbero aiutare a identificare i bambini con problemi di apprendimento, intervenendo tempestivamente con programmi di sostegno. Dall’altro, attraverso lo screening degli embrioni, una coppia potrebbe selezionare il più "smart". In tre parole: eugenetica del cervello. Uno scenario che, replicato su larga scala, di generazione in generazione, potrebbe potenzialmente innalzare di qualche punto il Qi di un intero popolo.
«Per ora è fantascienza!»: il ragazzo che qualcuno ha chiamato il "Bill Gates cinese" scuote la testa, senza abbandonare la sua mite imperturbabilità. «Il nostro compito si limita a rilevare informazioni su fatti già esistenti», chiarisce da scienziato quale è. E cerca di convincerci che per avere dei figli assai svegli già esistono strade sicure. Come dedicarsi alla loro educazione, lavorando cioè su quel 40% d’intelligenza data da fattori ambientali. O cercare un partner dal Qi molto alto. Eppure, concede che forse la genialità non è studiata molto perché in Occidente è un tema delicato. Nella Cina, laica ed efficientista, non è così. Tanto che il governo di Shenzhen finanzia il 50% del progetto, costato, dal 2011, 1,2 milioni di euro.
Rispetto all’eventualità dei geni in provetta, esiste però una preoccupazione più immediata. Cioè che lo studio non riveli alcun arcano sull’intelligenza. «Non penso che accadrà, ma questa possibilità esiste. Nelle scienze, però, anche un non risultato è un risultato», chiosa il direttore-prodigio che, ironicamente, ignora il suo Qi, perché lui il test non lo può fare: ha sottoposto ai suoi "campioni" così tanti questionari che li conosce a memoria tutti. «Sarebbe come barare. Ma sarei molto curioso di scoprirlo».