Ferdinando Ferroni, La Stampa 31/7/2013, 31 luglio 2013
Pontecorvo, genio e idealista che si fece sfuggire il Nobel– Nella sua biografia di Bruno Pontecorvo la giornalista Miriam Mafai racconta che all’inizio del suo lavoro, su una spiaggia di Fregene, il fisico le chiede se è più importante, nella vita, aver preso le decisioni giuste o essere stato una persona per bene
Pontecorvo, genio e idealista che si fece sfuggire il Nobel– Nella sua biografia di Bruno Pontecorvo la giornalista Miriam Mafai racconta che all’inizio del suo lavoro, su una spiaggia di Fregene, il fisico le chiede se è più importante, nella vita, aver preso le decisioni giuste o essere stato una persona per bene. «Non si potrebbe avere tutt’e due?», ribatte la Mafai. «Non sempre è possibile – risponde Pontecorvo -. Io credo di aver commesso molti errori ma di essere stato una persona per bene». A 100 anni dalla nascita (il prossimo 22 agosto) Pontecorvo, scomparso il 24 settembre 1993, viene giustamente ricordato per l’inestricabile intreccio tra storia, scienza, politica e la sua straordinaria personalità: allievo di Fermi, giovanissimo membro del gruppo di via Panisperna, quindi a Parigi, ebreo cosmopolita in fuga dal nazismo, scienziato in Usa, Canada e in Inghilterra e poi, dopo una sparizione misteriosa, in Urss, in piena Guerra Fredda. Nella sua biografia lui dice di aver commesso «molti errori». Per esempio l’adesione a una visione religiosa del comunismo, scambiato per scienza, e due terzi della sua vita passati per scelta in Unione Sovietica, tra divieti assurdi e scarse risorse tecnologiche per gli esperimenti. «Ma sono stato una persona per bene», aggiunge. Certo e, innanzitutto, uno scienziato di primordine, sicuramente tra i grandi del XX secolo. Con tre intuizioni straordinarie per la fisica: l’idea che le interazioni deboli (quelle da cui dipende, per esempio, il funzionamento delle stelle) sono parte fondante dell’Universo; l’aver immaginato un metodo per rivelare gli allora introvabili neutrini e questo metodo (basato sulla trasmutazione di cloro in argon) verrà poi usato dal premio Nobel Raymond Davis per rivelare i neutrini solari; l’aver concepito l’ipotesi che il neutrino associato ai mesoni mu sia diverso da quello associato agli elettroni. Sulla sua lapide nel «Cimitero degli inglesi», a Roma, è stato scritto, in simboli forse incomprensibili al visitatore occasionale, proprio la formula che disegna questa diversità. Nello studio dei neutrini, in particolare, Pontecorvo è stato per quasi mezzo secolo una sorta di «nume profetico», un maestro da consultare, se possibile, e da ascoltare attentamente. Gli esperimenti, ancora in questi giorni, gli stanno dando ragione. E’ difficile, nei tanti libri e articoli che lo citano, trovare qualcuno che non si riferisca a lui come a una persona dolce, appassionata, generosa. Sua madre aveva scambiato l’espressione buona dei suoi occhi per una limitazione dell’intelligenza. Chi l’ha conosciuto da adulto se lo ricorda come uno sportivo, una persona dedita a migliorare la vita degli allievi più bravi, un uomo dotato di sottile ironia. Lo scienziato russo Semen Gershtein ricorda quella volta che una giornalista gli chiese: «I neutrini saranno di qualche beneficio per l’umanità?» e lui di rimando: «Perché saranno? Lo sono già per qualcuno» e si riferiva a se stesso. Io sono un fisico e vorrei tornare su due aspetti che mi sembrano essenziali di questo grande italiano. Il primo: dopo Fermi ha avuto la fortuna di lavorare a Parigi con Joliot e le sue conoscenze l’hanno poi portato a inventare negli Stati Uniti una tecnica inedita per cercare il petrolio, usando le particelle principe di via Panisperna, i neutroni. Uno scienziato dal profondo senso pratico, tanto che in Canada parteciperà alla messa in opera di un reattore nucleare ad acqua pesante. E qui arriviamo al secondo punto. Consapevole o no, Pontecorvo, una volta arrivato nella città della scienza di Dubna, in Urss, non avrà mai a disposizione gli strumenti tecnologici per fare esperimenti che confermino le sue intuizioni. Se fosse vissuto in Occidente avrebbe partecipato e probabilmente diretto i due test che poi valsero il premio Nobel agli autori: il primo alla Homestake Gold Mine, South Dakota, negli Anni 50 e 60, realizzato da Raymond Davis, e il secondo a Brookhaven, negli Anni 60, effettuato da Leon Lederman, Melvin Schwartz e Jack Steinberger. Nel Paese dove aveva scelto di vivere questo non era possibile. E non gli fu possibile, per anni, nemmeno confrontarsi con gli altri fisici in convegni al di fuori della «cortina di ferro». Come dice quella vecchia barzelletta: «L’Urss era il paradiso, difficile entrare, impossibile uscirne». A settembre si terranno due convegni «a staffetta» su Pontecorvo. Il primo a Roma, all’Università La Sapienza, l’11 e il 12, e si concluderà con una serata in onore della famiglia. La seconda conferenza (assieme a una mostra) si terrà dal 18 al 20 settembre all’Università di Pisa. E verrà ricordato anche a Trieste, al congresso della Società Italiana di Fisica.