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 2013  luglio 30 Martedì calendario

TREMONTI: «QUELLA LETTERA DELLA BCE FU UN GOLPE»

Siamo vi­cini al se­condo anniversario della lettera Bce. Quella che il 5 agosto 2011, chieden­do al governo Berlusconi un rigore finanzia­rio mai visto prima, ne innescò la caduta. Il Giornale ha pensa­to di celebrarla parlandone con Giulio Tremonti, allora mini­stro dell’Economia. Che ha so­lo chiesto di anticipare «perché il 5 sarà in Usa per un ciclo di seminari».
Professore, Lorenzo Bini Smaghi, ex membro della Bce, ha precisato al «Corrie­re» che la lettera chiedeva ri­forme, non gli aggiustamen­ti di bilancio che hanno poi messo in ginocchio il Paese.
Come la mettiamo?
«Bini Smaghi va assolto per 2 ra­gioni. Perché non ha commesso il fatto: come noto non era “centra­le” ma marginale nell’economia politica della Banca centrale europea; poi per non avere compreso il fatto: la prova sta che nel suo re­cente intervento parla di tutto tranne che dell’essenziale: il dik­tat sul debito pubblico».
Diktat?
«Veda lei: la Bce non solo impo­ne­va l’anticipo del pareggio di bi­lancio dal 2014 al ’13, ma anche l’obiettivo di “un fabbisogno net­to dell’1% nel 2012”. La Troika in confronto si è poi rivelata flessibi­le e lungimirante. Una doppia e contemporanea richiesta di que­sto tipo non è mai stata avanzata, né realizzata nella storia finanzia­ria europea. Ed è curioso che que­sta classe di banchieri centrali, fe­rocemente restrittiva con il pro­prio Paese in agosto, sia poi stata il­limitatamente espansiva con le sue amate banche in dicembre, con il lancio dei piani di liquidità (Ltro, ndr), piani che garantivano alle banche quantità di denaro quasi illimitato, a un costo simbo­lico, con facoltà di gestirli in pro­prio senza darli alle imprese».
Il governo poteva «sdram­matizzare» la lettera e girar­la sulle riforme.
«L’impatto fu subito pubblico. Il 5 agosto era venerdì e già tutti sa­pevano che c’era la lettera, tanto che il premier Berlusconi fu co­stretto a una conferenza stampa drammatica in cui assumeva nuo­vi impegni».
Tutti sapevano?
«In Europa si sapeva. Il mercato lo sapeva. Nei sommi palazzi si sa­peva. Pensare che una lettera di quel tipo restasse segreta rivela una distorta cultura democrati­ca. Se davvero hai la mentali­tà degli arcana imperii devi al­meno evitare che si sappia in giro che c’è una lettera sen­za precedenti nei rapporti eu­ropei. Una vol­ta che l’hai fat­to sapere, pensare che il testo resti segreto era per lo meno puerile. Specie per come era stata scritta, chiedendo che le azioni dettaglia­teed­elencatefosseropreseallalet­tera, “per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro settembre 2011”. Molto democrati­co!».
È stata scritta in Italia?
«No comment. Certo che vi si di­mostrano una vissuta conoscen­za della realtà italiana e molto amor patrio».
Resta il fatto che la lettera chiede anche una «radicale strategia di riforme».
«Le riforme sono tanto impor­tanti quanto difficili, come si è vi­sto con il governo Monti. Ma con la strategia delle riforme non si fa un immediato pareggio di bilan­cio! Come puoi fare riforme e svi­lu­ppo se parallelamente devi condurre una selvaggia manovra di bilancio».
E i tagli di spesa?
«Ma la strategia del governo era già sui tagli. Avevamo previsto due deleghe, una previdenziale (sugli eccessi del welfare) e una fi­scale (per le troppe agevolazioni). A un certo punto tutto precipita nel caos politico e la lettera della Bce è il “colpo di manovella” di un colpo di Stato. Ovviamente non quello di Curzio Malaparte, ma un golpe nella forma dolce della governance “post democratica”e “post moderna”».
Il regista?
«È presto per fare il catalogo de­gli interessi e interessati esterni e delle quinte colonne interne. Ser­ve ancora tempo».
Intanto come se ne esce? Cambiando le regole euro­pee o tornando alla lira? «L’accusa che viene mossa al­l’Europa è di impedire la crescita con i vincoli sul deficit, sul debito e sulla Bce. Fuori dalla propagan­da, in realtà sono falsi argomenti e falsi bersagli. Su deficit e debito prendersela con la Commissione Ue e con la Germania è come arrabbiarsi con il termometro quan­do si ha la febbre. I limiti al deficit spending, virtuoso o meno, vengo­no dal mercato: oltre una certa so­glia non ti comprano più i titoli. E sul fatto che la Bce non stampa moneta, come fa invece la Fed, no­to che il bilancio Bce è uguale a quello della Fed, e che ha fatto la stessa cosa: non poteva prestare ai governi, ha prestato alle ban­che che poi hanno prestato ai go­verni. Quanto all’euro, quando Berlusconi sosteneva che il cam­bio con la lira ci aveva penalizzato diceva una cosa giusta. Ma forse l’Italia scontava quello che si sape­va, e cioè che per entrare nell’euro aveva fatto i derivati. Comunque anche ora esportiamo bene e im­portiamo pagando in moneta for­te. Uscire non conviene, avrebbe costi enormi. E poi servirebbe uno Stato forte!».
Smontato ogni falso antieu­ropeismo, qual è la ricetta?
«In Europa se c’è un problema non è l’eccesso “fiscale” di respon­sabilità, ma il deficit di solidarietà: servono gli Eurobond. Era la linea del governo Berlusconi. Già dal semestre di presidenza italiana del 2003. Allora in forma diversa per­ché non c’era la crisi. Poi nel 2008-2010. Era un disegno politi­co lungimirante. Oggi siamo al­l’opposto. Abbiamoausteritàsen­za solidarietà. È difficile capirlo. E votarlo».
E il governo Letta. Lo abbia­mo lasciato per ultimo. Ma cosa può fare?
«Non so, chieda a Letta. L’am­biente che lo circonda ricorda quello del Tiranno di Siracusa, Dionisio. Tutti pregavano per la sua morte tranne una vecchia. Che faceva il contrario. Interroga­ta, disse che pregava per lui non perché fosse buono, ma perché quello dopo poteva essere ancora più cattivo. Mitemente parlando, si intende».
Marcello Zacché