Stefano Zurlo, il Giornale 29/7/2013, 29 luglio 2013
ADDIO A TONINI, PRETE MEDIATICO «INVENTATO» IN TV DA ENZO BIAGI
La sua carriera era cominciata il giorno in cui era andato in pensione, nel 1990. Anzi, l’anno dopo quando l’amico Enzo Biagi lo chiamò in tv per spiegare I dieci comandamenti. Giovanni Paolo II si affacciava alla modernità, ma non tutto filava liscio. Per alcuni il mondo cattolico, pur immerso nel fonte battesimale del Concilio, era sempre quello del Sillabo e delle sottane lunghe dei preti. Ci voleva lui, Ersilio Tonini, ormai arcivescovo emerito di Ravenna, per provare a coniugare fede e modernità e per portare il Vangelo all’altezza della vita quotidiana di tutti i giorni. Non che la Chiesa non si fosse svecchiata - basta pensare all’esperienza straordinaria dei movimenti - ma la tv, con la sua carica seduttiva, pareva una parete di sesto grado per i predicatori che volevano portare l’uomo alle sorgenti dell’eterno.
Tonini ci riuscì in pieno passando per la cruna dell’ago dell’effimero e diventando una faccia che gli italiani seguivano e in cui si ritrovavano. Aveva un tratto di grande semplicità miscelata con la simpatia del carattere emiliano che aveva ereditato dai genitori: contadini del Piacentino. Ma vantava anche una cultura profonda: ricordo che una mattina, in occasione di un’intervista, mi disse di essere rimasto colpito da un articolo che aveva appena letto, naturalmente in originale, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, forse il più prestigioso quotidiano di lingua tedesca. Lui riusciva a semplificare, o meglio a ridurre all’essenziale, il messaggio di Nostro Signore. Niente orpelli, niente sovrastrutture, ma la forza dell’amore che entra nel mondo e lo cambia. Con le sue parole, solo apparentemente semplici, sapeva trovare la strada dei cuori e così per molti anni, in una società sempre più laicizzata, fu uno dei pochi cantori del messaggio di Cristo. Certo, l’intervista a Tonini poteva anche essere paradossalmente la prova che ormai il pensiero cristiano era ed è confinato in un angolo, dentro un ghetto sempre più marginale, ma lui si prestava senza troppi calcoli a raccontare la Buona Novella.
Partì dai comandamenti, poi si mise a parlare un po’ di tutto: le Beatitudini, la morale, l’amore per gli ultimi. Non era un rivoluzionario, almeno sul piano dell’etica, anzi era ultraortodosso: difendeva il matrimonio e la famiglia, attaccava l’aborto e le unioni gay. Insomma, era perfettamente in linea con il magistero. E la sua autorevolezza aumentò se possibile nel ’94 quando Giovanni Paolo II, il Papa che giocava con un bastone davanti alle folle del Terzo Mondo e danzava davanti alle telecamere, lo nominò cardinale.
Era il cardinale più anziano, Ersilio Tonini, morto l’altra notte a 99 anni appena compiuti. Viveva a Ravenna, all’Opera Santa Teresa, e negli ultimi tempi le sue condizioni di salute erano peggiorate anche se non soffriva di alcuna malattia particolare. «Voletevi bene, io devo tornare dal Padre», ha mormorato prima di spegnersi.
Un messaggio limpido. Nel segno di un umanesimo che aveva qualcosa in comune con il socialismo tanto radicato nella sua regione. E questo tratto sociale della sua biografia non deve sfuggire. Nel ’69, da vescovo di Macerata, aveva appoggiato la riforma agraria consegnando le terre della diocesi ai contadini che in fondo gli ricordavano l’infanzia. E nel ’75 aveva lasciato il suo appartamento di arcivescovo ad una comunità di tossicodipendenti. Scelte, si direbbe oggi, alla Bergoglio, ma Tonini già allora era un uomo capace di captare i sussulti della modernità. Poi tutto fu assorbito nel vortice mediatico. Tonini, sempre informato e documentatissimo, affrontava qualunque argomento: dagli omicidi commessi per via di un cane che abbaiava a Del Piero costretto in panchina fino ai guai dell’Inter. Più che un volto era diventato un’icona, un po’ inflazionata.
Attraverso Biagi aveva incontrato Indro Montanelli e dopo la sua morte disse: «Non so se si sia convertito all’ultimo, ma era ossessionato dalla ricerca di Dio». Quando invece fu Biagi ad andarsene, nel 2007, lui, di solito così affabile e sereno, si scagliò indirettamente contro Berlusconi collegandosi con lo studio televisivo di Michele Santoro: «L’hanno ucciso - gridò - dava fastidio, non era utile ed è stato cacciato». Poi era tornato alla sua predicazione catodica. Concreta, alta nel cielo e insieme terra terra. Come il profilo del cattolicesimo. Chi lo ascoltava poteva rimanere della propria idea, ma una cosa capiva: il cristianesimo è lo stupore di fronte al miracolo della vita. E questa genuinità tridimensionale rimarrà in almeno due generazioni di telespettatori.