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 2013  luglio 29 Lunedì calendario

ADDIO A TONINI, PRETE MEDIATICO «INVENTATO» IN TV DA ENZO BIAGI

La sua carriera era comincia­ta il giorno in cui era andato in pensione, nel 1990. Anzi, l’anno dopo quando l’amico Enzo Bia­gi lo chiamò in tv per spiegare I dieci comandamenti. Giovanni Paolo II si affacciava alla modernità, ma non tutto filava liscio. Per alcuni il mondo cattolico, pur immerso nel fonte battesi­male del Concilio, era sempre quello del Sillabo e delle sottane lunghe dei preti. Ci voleva lui, Er­silio Tonini, ormai arcivescovo emerito di Ravenna, per prova­re a coniugare fede e modernità e per portare il Vangelo all’altez­za della vita quotidiana di tutti i giorni. Non che la Chiesa non si fosse svecchiata - basta pensare all’esperienza straordinaria dei movimenti - ma la tv, con la sua carica seduttiva, pareva una pa­rete di sesto grado per i predica­tori che volevano portare l’uo­mo alle sorgenti dell’eterno.
Tonini ci riuscì in pieno pas­sando per la cruna dell’ago dell’e­ffimero e diventando una fac­cia che gli italiani seguivano e in cui si ritrovavano. Aveva un trat­to di grande semplicità miscela­ta con la simpatia del carattere emiliano che aveva ereditato dai genitori: contadini del Piacentino. Ma vantava anche una cultura profonda: ricordo che una mattina, in occasione di un’intervista, mi disse di essere rimasto colpito da un articolo che aveva appena letto, natural­mente in originale, sulla Frankfurter Allgemeine Zei­tung, forse il più prestigioso quo­tidiano di lingua tedesca. Lui riusciva a semplificare, o me­glio a ridurre all’essenziale, il messaggio di Nostro Signore. Niente orpelli, niente sovra­strutture, ma la forza dell’amo­re che entra nel mondo e lo cam­bia. Con le sue parole, solo appa­rentemente semplici, sapeva trovare la strada dei cuori e così per molti anni, in una società sempre più laicizzata, fu uno dei pochi cantori del messaggio di Cristo. Certo, l’intervista a To­nini poteva anche essere paradossalmente la prova che or­mai il pensiero cristiano era ed è confinato in un angolo, dentro un ghetto sempre più margina­le, ma lui si prestava senza trop­pi calcoli a raccontare la Buona Novella.
Partì dai comandamenti, poi si mise a parlare un po’ di tutto: le Beatitudini, la morale, l’amore per gli ultimi. Non era un rivolu­zionario, almeno sul piano del­l’etica, anzi era ultraortodosso: difendeva il matrimonio e la fa­miglia, attaccava l’aborto e le unioni gay. Insomma, era perfettamente in linea con il magiste­ro. E la sua autorevolezza au­mentò se possibile nel ’94 quando Giovanni Paolo II, il Papa che giocava con un ba­stone davanti alle folle del Terzo Mondo e danzava da­vanti alle telecamere, lo no­minò cardinale.
Era il cardinale più anziano, Er­silio Tonini, morto l’altra notte a 99 anni appena compiuti. Vive­va a Ravenna, all’Opera Santa Te­resa, e negli ultimi tempi le sue condizioni di salute erano peg­giorate anche se non soffriva di alcuna malattia particolare. «Vo­letevi bene, io devo tornare dal Padre», ha mormorato pri­ma di spegnersi.
Un messaggio limpi­do. Nel segno di un umanesimo che ave­va qualcosa in comu­ne con il socialismo tanto radicato nella sua regione. E que­st­o tratto sociale della sua biografia non deve sfuggire. Nel ’69, da vescovo di Macerata, aveva ap­poggiato la riforma agraria consegnando le terre della diocesi ai contadini che in fondo gli ricor­davano l’infanzia. E nel ’75 ave­va lasciato il suo appartamento di arcivescovo ad una comunità di tossicodipendenti. Scelte, si direbbe oggi, alla Bergoglio, ma Tonini già allora era un uomo ca­pace di captare i sussulti della modernità. Poi tutto fu assorbito nel vortice mediatico. Tonini, sempre informato e documenta­tissimo, affrontava qualunque argomento: dagli omicidi com­messi per via di un cane che ab­baiava a Del Piero costretto in panchina fino ai guai dell’Inter. Più che un volto era diventato un’icona, un po’ inflazionata.
Attraverso Biagi aveva incon­trato Indro Montanelli e dopo la sua morte disse: «Non so se si sia convertito all’ultimo, ma era os­sessionato dalla ricerca di Dio». Quando invece fu Biagi ad andar­sene, nel 2007, lui, di solito così affabile e sereno, si scagliò indi­rettamente contro Berlusconi collegandosi con lo studio televi­sivo di Michele Santoro: «L’han­no ucciso - gridò - dava fastidio, non era utile ed è stato cacciato». Poi era tornato alla sua predi­cazione catodica. Concreta, alta nel cielo e insieme terra terra. Come il profilo del cattolicesimo. Chi lo ascoltava poteva rimane­re della propria idea, ma una co­sa capiva: il cristianesimo è lo stu­pore di fronte al miracolo della vi­ta. E questa genuinità tridimen­sionale rimarrà in almeno due generazioni di telespettatori.