Tommaso Besozzi, L’Europeo n.1/2 2/2010, 30 luglio 2013
I TIFOSI ITALIANI? FAN TREMARE GLI AUSTRIACI
Tommaso Besozzi, L’Europeo 1946 – N. 48
PER LA PARTITA ITALIA-AUSTRIA HANNO aperto i cancelli dello stadio alle dieci del mattino, cioè con quattro ore e mezza di anticipo. Ma c’era già una notevole folla in attesa. Le avanguardie dei 60mila che hanno assistito all’incontro si erano messe in cammino molto prima. Alle otto i tranvai in partenza dalla stazione centrale di Milano, da Porta Nuova e dal piazzale della Nord apparivano gremiti. Alle nove cominciò l’assalto alle vetture tranviarie della linea 55, che porta direttamente a San Siro. Poi arrivarono gli automezzi: i grossi, comodi torpedoni di Torino, di Bergamo, di Genova, di Verona; le corriere modeste, dalla vernice scrostata, che venivano da Pizzighettone, da Castano o da Soresina. Arrivò anche qualche autocarro scoperto, con un carico di gente intirizzita. Non pochi. Le scalinate dei posti popolari si andarono rapidamente riempiendo; ma anche nei “numerati di curva” e nella tribuna coperta si videro arrivare gruppi numerosi di spettatori, molto tempo prima dell’inizio. Giovedì scorso la polizia aveva fatto irruzione in una tipografia nella quale si stavano stampando biglietti d’ingresso falsi. Era stato detto che l’operazione poliziesca, condotta tempestivamente, aveva impedito ai falsali di spacciare i biglietti già pronti. Ma c’era un diffuso sospetto che la cosa non fosse andata così bene e anche chi aveva un posto numerato preferiva occuparlo per tempo a scanso di equivoci. I giornali dal canto loro avevano reso più acuto questo senso di diffidenza, si rivolgevano al senso di disciplina degli spettatori, parlando di sbarramenti, di misure di polizia comunque sufficienti a mantener l’ordine. Tutti discorsi che inducevano ad aspettarsi il tumulto. Il tumulto, invece, non ci fu.
I 60MILA RIUSCIRONO A PASSARE ATTRAVERSO i varchi senza eccessive impazienze: non ci furono tentativi di travolgere i cordoni. E la ragione sta appunto in quel dubbio che aveva indotto la grande maggioranza a prender posto nello stadio con un notevole anticipo: dalle dieci del mattino in poi c’era l’ingorgo e il disordine dell’ultimo minuto. La ressa più grande fu, forse, attorno ai venditori di caldarroste. Gli stessi bagarini passeggiavano malinconici e solitari mostrando i foglietti rossi e verdi dei numerati. Contrariamente al solito, gli affari più magri li hanno fatti proprio nelle ultime ore. Nelle giornate di venerdì e di sabato un posto di tribuna poteva costare dalle 2mila alle 5mila lire. (A Lugano si arrivò a pagare, per un ingresso ai primi posti, cento franchi svizzeri, quasi 20mila lire).
Ma la domenica, il bagarinaggio ebbe un tracollo. Tutti i conducenti di taxi nelle prime ore del pomeriggio dicevano di essere fuori servizio; per convincerli a una corsa supplementare volevano fino a 2mila lire. Prima di mezzogiorno, dunque, le gradinate popolari erano completamente affollate; nei posti in curva e sotto la tribuna attendevano parecchie migliaia di persone. La giornata era fredda; minacciava di piovere. La musica diffusa dagli altoparlanti non riuscì a rompere la noia di quell’attesa. L’attesa cominciò allora a farsi impaziente. Ma non ci fu gazzarra, come a certe partite. Faceva freddo. La gente se ne stava con il bavero alzato, pestando i piedi; raramente e malvolentieri levava le mani di tasca per lanciare un fischio. Mancò persino il solito ironico applauso quando gli inservienti del comune uscirono per dar l’ultimo tocco di rastrello alla segatura sparsa al centro del campo. Non ci furono cartelli o sventolio di bandiere. Le trovate bizzarre furono poche e non ebbero molto successo. Anche quel tale che accese un gran fuoco di bengala rossi alla sommità della scalinata popolare sprecò i suoi quattrini. La gente aveva freddo e scrutava il cielo sempre più grigio. È mancato, dunque, l’altro spettacolo: quello che solitamente recita la folla. Quando è uscito l’arbitro svizzero, il suo modo un po’ goffo di correre sui tacchi, le punte dei piedi divaricate, ha avuto pochi commenti. I giocatori austriaci al primo affacciarsi sul campo, sortendo dal sottopassaggio degli spogliatoi, sembravano spauriti. Qualcuno si domandò se, per caso, non si attendessero qualche scarica di mitra invece dell’applauso. Non era molto lontano dal vero.
CHI LI ACCOMPAGNÒ DALLA FRONTIERA A Milano ha raccontato che, la notte, durante il viaggio in torpedone, nessuno di essi dormì. Sussultavano a ogni frenata. Tra le poche parole di italiano che tutti conoscevano, c’erano “rapinatore” e “mitra”. Ogni cinque minuti chiedevano di essere rassicurati. Pare che in Austria la nostra situazione sia dipinta a colori molto più cupi del vero. Erano convinti che a ogni angolo di strada, dietro ogni siepe, fosse appostata una banda di grassatori. Tuttavia il primo cavalleresco applauso li rinfrancò. Cominciò la partita. Al principio gli spettatori dicevano “fantastico!”, alludendo al gioco degli ospiti; ma dopo mezzora gli austriaci crollarono. Anche il gioco degli italiani non riuscì a soddisfare nessuno. L’interesse per la partita si andò smorzando. Ci furono, sì, applausi e fischi e grida d’incitamento, ma non erano quelli che ci si poteva attendere da una folla di 60mila. Si arrivò al punto che (essendo le sorti della partita ancora sospese per quel 3 a 2 che poteva trasformarsi in pareggio) l’arbitro protrasse di quattro minuti il termine della seconda ripresa (gli si era fermato l’orologio); tutti se ne accorsero, eppure le proteste furono deboli e sporadiche. Anche la passione sportiva era gelata. Il ritorno dei 60mila fu piuttosto malinconico. Una buona metà si diresse a piedi verso il centro. Molti portavano un fiasco vuoto. Era scesa la nebbia. Via Monterosa fu percorsa per più di un’ora da una fiumana silenziosa e lo spettacolo dava un senso di tedio. Era una folla scontenta. Dicevano: «È mancato il bel gioco». Ma forse la ragione era insufficiente. Era mancato un po’ di sole. Con un po’ di sole anche la partita Italia-Austria sarebbe stata tutt’altra cosa.