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 2013  luglio 28 Domenica calendario

CARO DIARIO, LA MIA FEDERICA ORA NUOTA DA

SOLA –
Faccio quello che non ho mai fatto, lascio Federica, e per la prima volta mi metto a navigare su Internet, compro un biglietto aereo low cost e uno per entrare in piscina. Tutto di nascosto. Arrivo a Barcellona e mia moglie Cinzia mi chiama: «Federica è disperata, piange, ha la febbre». Prendo un taxi, mi presento alla reception dell’albergo, lascio il documento, salgo al piano, chiamo Federica al telefono: «Papà, brucio, sto male». Stai tranquilla e apri la porta: «Come la porta?». Sì, dai, sono qui. Era rossa, scottava. Siamo andati in piscina in taxi e lei in batteria ha nuotato una staffetta stupenda. Non ha gareggiato in finale, ma Cristina Chiuso dichiara : «Ci è mancata Federica, la più veloce». Detto da lei, è una consacrazione. E sì diario, proprio dieci anni fa, mi sono accorto che mia figlia dentro era di ferro. Decisa e determinata.
La sera dell’inaugurazione dei Giochi di Atene nel 2004 piango come un matto. Novella Calligaris ai microfoni della tv ha appena detto: «Mi aspetto molto dalla più piccola». In un attimo penso all’Italia, a questo strano Paese che nello sport non ti regala mai niente, a Federica che si cambia e mangia gli spaghetti in macchina mentre si sposta dalla scuola alla piscina, alle sue sveglie alle cinque di mattina. Le parole di Novella per me sono una rivelazione: allora è vero, ho una figlia che sta nuotando nel mondo.
Atene 2004: noi l’argento di Federica l’abbiamo mancato. Si può essere un papà più sciagurato? Avevamo preso i biglietti per i cento metri, perché lei aveva fatto tre record italiani, e così siamo arrivati il giorno dopo, quando già aveva la medaglia al collo dei 200 stile. Da Spinea ad Atene a sedici anni, la più giovane italiana a vincere un titolo olimpico. Quando l’ho vista sul grande schermo mi ha fatto effetto, ero commosso alla disperazione. Vai figlia mia, ti meriti tutto. Ma lei fa polemica, si lamenta che non c’è il suo allenatore, Max Di Mito. Così il benvenuto è un rimbrotto della federazione che ci invita a fare pressioni su Federica. Ma noi che c’entriamo?
Tenere testa al suo carattere non è facile: la piccola in un mondo di grandi non si tira indietro. È già tosta. Quando si trasferisce a Milano per seguire Di Mito non mi dà scelta: vado via con lui. Dio che male: sto perdendo una figlia. Non posso dirle no, a contraddirla mi faccio un nemico in casa. Faccio subito i conti: i nostri riti, le nostre colazioni, tutto finito. Io e Cinzia stiamo al gioco, cerchiamo di proteggere questa minorenne che cambia famiglia e città. A Settimo Milanese però le cose non funzionano. Per me è una pagina nera. Ho fallito come genitore, ho permesso la devastazione di mia figlia. Fede, ti chiedo scusa. Ancora oggi non me lo perdono. Non è contenta lì, tante promesse non mantenute, la spalla che le fa male, la vogliono operare. Le dico di tenere duro, di non inventarsi scuse. Invece ha ragione lei. Ai Mondiali di Montreal 2005 la vediamo in tv vincere l’argento, ma è stravolta in viso: grassa, gonfia, piena di brufoli. Al telefono si lamenta: è tutto sulle mie spalle. Il ct Castagnetti mi spiega: «Con Di Mito non funziona più, è un rapporto al capolinea, ma non riusciamo a staccarli». Dopo Shanghai, Mondiali in vasca corta, non ce la fa ad alzare il braccio, troppo male, sembra finita. Cerchiamo anche una psicologa. Io lavoro come barman all’hotel Gritti Palace a Venezia, servo cocktail, arriva Castagnetti. Uno, due Bellini. Alberto è con la moglie e mi dice: «Buoni gli aperitivi, ma sono qui per avere il permesso di allenare Federica a Verona». Di lui non sono mai stato geloso, ha protetto Federica, non ci ha mai esclusi. Anzi spiegava: «Cambio il suo stile, la faccio nuotare da uomo». Così mia figlia rinasce, il tatuaggio dell’araba fenice sul collo lo dimostra. Federica però resta la stessa, mi chiama da Eindhoven, Europei 2008, ancora una volta disperata: «Sono stata squalificata per una falsa partenza». Smettila, le dico, riprenditi. Il giorno dopo toglie il record mondiale dei 400 a Laure Manaudou. Ma Castagnetti è arrabbiato nero, ha scoperto la simpatia tra Fede e Luca Marin, i ragazzi si comportano bene, però lui non vuole storie. Mia moglie si è già accorta che Fede è presa, questi ragazzi noi li conosciamo già da bambini, Cinzia ha cucinato spesso per loro, c’è anche la francese, Fede inizia a essere un po’ gelosa di lei. Ai Giochi di Pechino nel 2008 c’è la delusione nei 400. Stavolta non strepita, è calma, ci tranquillizza: «Non preoccupatevi, ho sbagliato gara». C’è la gioia e il riscatto nei 200 con il primato del mondo. Chi dorme più? Me la vedo lì nel momento in cui è nata, in veneto si dice scafa, quando fai la faccia da pianto. Ma in realtà vuol dire: ce l’ho fatta, e tira un pugno all’acqua. Immagina, diario: ora è tutto un altro mondo. E poi c’è Roma 2009. Quanti pianti con Castagnetti. E a novembre sento ancora l’urlo di Federica al telefono: «Alberto è morto». Tremo: ho riperso mia figlia. Arriviamo subito, le dico. Mi sorprende la sua risposta: «State lì, ci vediamo domani». Voleva immergersi nel lutto. La mattina dopo alle otto siamo in piscina a Verona. Diario, non so se hai mai visto una piscina all’alba: puzza di cloro, di silenzio, di strana atmosfera. Ci mettiamo da una parte, non vogliamo disturbare. I ragazzi sono lì: leggono il giornale e piangono. Fede, Luca, Roberta, Cesare, Emiliano. Poi si alzano, si mettono le cuffie, si buttano in acqua, e nuotano lentamente. Cinque minuti da brividi. È il loro addio al vecchio maestro. Solo dopo riabbraccio mia figlia, sento che barcolla, sono spaventato. Dico grazie a Stefano Morini che in quel momento è stato vicinissimo ai ragazzi.
2011: il trasferimento a Parigi con l’allenatore Lucas fa scoppiare la coppia. Quotidianità troppo dura, sei mesi di monastero: sveglie alle 5, rientro alle 10 di sera. Nuotare, dormire, anche al sabato. E la domenica con il carrellino a fare la spesa al supermercato. La sento in crisi, andiamo a trovarla per il fine settimana. Ma ci vergogniamo, le stiamo rubando il riposo, così con una scusa andiamo all’aeroporto tre ore prima. Dormi, figlia mia, ma che razza di vita è?
Diario, lo so che vuoi sapere dei Mondiali di Shanghai, di quelle settimane pazze di sussurri e grida che hanno travolto l’Italia. Mia figlia descritta come una divoratrice di uomini: tre in 23 anni ne fanno una seduttrice professionista? La storia tra Federica e Luca, un’amicizia allargata, nata sulla condivisione, si è consumata. Sbagliati i tempi, è brutto dirlo così, ma lì Federica si toglie un peso. Di ritorno viene con noi al mare a Jesolo, ma è impossibile, ci sono 27 fotografi in spiaggia, Magnini arriva dopo, Fede lo tiene a distanza, ci tiene che prima sistemi e chiarisca la sua situazione a Pesaro. Un paparazzo si avvicina: «Se tua figlia gli dà un bacio ti pago 40 mila euro». Disgusto totale.
Londra 2012. Non c’è molta illusione sulle medaglie. Troppi cambiamenti, troppa gente che fa troppe cose. Federica vuole fermare la macchina. Basta appuntamenti all’alba, ansia da risultato, dare le spalle a tutto. Respirare, vuole vivere senza cronometro, lei ci terrà sempre a toccare avanti, è il suo modo di stare in acqua. E accanto vuole qualcuno di cui fidarsi. È il suo compleanno da sirena questo ai Mondiali di Barcellona. 2003-2013: dieci anni di grandezza. E io nel frattempo sono diventato un papà soldatino mentre lei è un generale che non sbaglia mosse. Anche se l’anno scorso ero così arrabbiato che le ho scritto una lettera terribile, l’ha letta solo Cinzia, e guai se gliela mostra. Caro diario, ora ti chiudo, aspetto la prossima botta al cuore . Figlia mia, divertiti. Gli occhi di papà non ti lasciano.