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 2013  luglio 28 Domenica calendario

SE ALL’AMERICA NON INTERESSA PIÙ LA PAX PETROLIFERA IN MEDIORIENTE

«Il Nord America è in prima linea di una trasformazione radicale della produzione di petrolio e gas che interesserà tutte le regioni del mondo» aveva dichiarato nell’autunno scorso il direttore esecutivo dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), Maria van der Hoeven valutando l’impatto della «rivoluzione » rappresentata dallo sfruttamento degli immensi giacimenti americani di shale oil e shale gas.
L’analisi dell’Aie evidenzia il mutamento radicale in atto nel rapporto tra Washington e le fonti di energia che in vent’anni ha visto gli USA passare dal vertice della classifica mondiale dei consumatori di energia e importatori di petrolio al primo posto tra i produttori, anticamera della piena autosufficienza energetica. I primi a subire il «sorpasso» statunitense saranno i russi che nel 2015 scenderanno al secondo posto tra i produttori mondiali di gas ma nel 2017 toccherà ai sauditi perdere il primato tra i produttori di greggio mentre le previsioni indicano che tra il 2020 e il 2030 gli Stati Uniti diventeranno grandi esportatori di petrolio e gas. Già oggi gli USA dipendono dalle importazioni solo per il 20 per cento del loro fabbisogno grazie a una politica di autosufficienza varata già sul finire degli anni ’70 con una lungimiranza che non ha trovato molti seguaci in Europa e certo non in Italia
NUOVE PRIORITÀ
Quanto questo mutamento epocale influirà (e sta già influendo) sulla politica estera di Washington? L’autosufficienza energetica non influirà infatti solo sull’economia americana ma determinerà inevitabilmente un forte influsso sulle priorità strategiche, sul dispiegamento di truppe all’estero e sulla percezione degli interessi nazionali. Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’alleanza tra Stati Uniti ed Europa, pur con crescenti crepe, è sopravvissuta basandosi soprattutto sulla comune necessitò di mantenere la stabilità nelle aree energetiche di Medio Oriente e Nord Africa. Ora che queste aree non sono più così rilevanti per loro, gli Stati Uniti avranno ancora interesse a investire denaro e forze militari per la stabilità di questa regione?
Se da un lato è possibile ipotizzare un progressivo disimpegno americano peraltro, già riscontrabile negli ultimi anni, l’autosufficienza energetica potrebbe favorire una politica isolazionista che limiti ulteriormente il ruolo statunitense di «gendarme del mondo». Più maliziosamente, Washington avrà tutto l’interesse a destabilizzare le aree energetiche dal Medio Oriente al Caucaso, dal Nord Africa all’Asia Centrale con l’obiettivo di mettere in difficoltà i Paesi che dipendono ancora massicciamente da quelle risorse. Europa, Cina, Giappone, India, Taiwan, Corea del Sud, cioè tutti i rivali economici e commerciali degli USA, continueranno ad avere sete di energia. L’AIE prevede che l’Asia continui a sostenere la domanda globale di petrolio destinata a crescere di 7 milioni di barili al giorno entro il 2020 mentre una eventuale nuova crisi petrolifera simile a quella del 1973 avrebbe effetti devastanti per Europa e Asia ma non colpirebbe direttamente l’economia statunitense che anzi, dall’aumento dei prezzi di gas e petrolio avrebbe solo da guadagnare.
CAOS PROVOCATO?
La prospettiva di un’America che da gendarme del mondo diventa «potenza destabilizzatrice » non sembra venir presa in seria considerazione in Europa nonostante i segnali di questa evoluzione siano stati ben evidenti in questi anni di amministrazione Obama. Il disimpegno dall’Iraq ha acutizzato il rischio di guerra civile e collasso del Paese. In Siria l’ambiguo appoggio degli USA alla rivolta, senza però un intervento concreto a fianco dei ribelli, sta provocando il prolungamento del conflitto e una guerra interna agli insorti tra laici e islamisti. La guerra libica del 2011 è stata scatenata dai raids statunitensi ma lasciata gestire agli alleati europei e ora che il Paese è in preda al caos e ai qaedisti Washington pretende che a occuparsene sia l’Italia. Nelle cosiddette «primavere arabe» Obama è stato da più parti criticato, prima per non aver sostenuto i regimi filo occidentali, poi per aver appoggiato i nuovi governi islamisti e ora per non averli sostenuti di fronte alle proteste di piazza e all’iniziativa dei militari egiziani. Anche nei confronti dell’Iran Obama ha alzato la tensione nella crisi sul programma nucleare di Teheran ma senza risolverla. Si è detto che gli Stati Uniti sono privi di una strategia e che la politica di Obama è esitante. Analisi motivate e realistiche ma che andrebbero però ribaltate se si valutasse il caos nelle aree energetiche come obiettivo primario degli USA con l’obiettivo di lasciare molte gatte da pelare ai loro competitors economici, europei in testa. Così come il ritiro dall’Afghanistan lascerà il jihadismo in eredità a russi, cinesi, indiani e alle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, guarda caso traboccanti gas e petrolio.