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 2013  luglio 27 Sabato calendario

LETTA HA 62 MILIARDI SOTTO IL MATERASSO

Fanno capolino dalle analisi Ocse (e dalle rielaborazioni di Confindustria) timidi segnali di ripresa anche per l’Italia. Ci vuole prudenza: si tratta appena della fiammella di una ripresina: piccola, debole ma è sempre meglio che affondare in questa melma di crisi. Certo, bisognerebbe alimentarla questa fiammella,magari iniettando - come chiedono le imprese - quattrini nel sistema economico italiano. Magari cominciando a pagare il dovuto (oltre 90 miliardi i debiti dello Stato alle imprese). Governo e Parlamento si autoassolvono: non possiamo, dobbiamo rispettare i patti europei.
Eppure i quattrini, ben celati, ci sarebbero. O meglio, come accennava di sfuggita il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni da Mosca la scorsa settimana, «è stata fatta scorta». Resta il mistero di perché mai questa scorta finanziaria venga tenuta a dormire sui conti della Banca d’Italia.
Bisogna fare un passo indietro per scovare il “tesoretto del Tesoro”. Nelle scorse settimane proprio via Nazionale aveva certificato che «il debito pubblico a maggio 2013 era aumentato di 33,4 miliardi rispetto al mese precedente», segnando «un nuovo massimo storico», ben 2.074,7 miliardi. Aumento che aveva fatto gridare allo scandalo. Ma con i numeri bisogna fare attenzione e leggerli fino in fondo. Infatti, scorrendo l’analisi si scopre che questo aumento «riflette principalmente l’incremento di 20,4 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro (che hanno raggiunto 62,4 miliardi, contro 35,8 nel mese di maggio del 2012)».
Disponibilità liquide? 62,4 miliardi? Come? Ma se siamo in bolletta, non riusciamo a pagare l’Iva per i prodotti sanitari ai disabili, falciamo tutto il tagliabile e poi scopriamo che ci sono 62,4 miliardi (erano 42 ad aprile e 35,8 nel maggio dello scorso anno) di disponibilità liquide? Primo: cosa sono le “disponibilità liquide”. Nella complessa alchimia del bilancio pubblico c’è un conto (la “disponibilità liquida”, una cassetta di sicurezza virtualmente localizzata a Palazzo Koch), dove lo Stato deposita i soldi a cui può attingere nei momenti di necessità. Nel mese di maggio, la prudente Maria Cannata, responsabile della Gestione del debito per il ministero del Tesoro, approfittando del ribasso dei tassi sui titoli, ha emesso più del necessario per mettere «fieno in cascina».
I timori di un attacco speculativo nei mesi estivi ha convinto Cannata (e Saccomanni), ad emettere più titoli (e incassare i famosi 20 miliardi in più), per evitare di collocare debito se, come si teme, i tassi dovessero tornare alti. Oggi lo spread galleggia intorno ai 270 punti base. Ma se in pieno clima vacanziero qualche squalo della finanza volesse divertirsi con il debito italiano allora avrebbe gioco facile. Il fieno in cascina potrebbe servire proprio a proteggerci da un assalto speculativo. Tanto per capirci: l’aumento di 100 punti dello spread su base annua costano d’interessi circa 3 miliardi l’anno. Pratiche consuete prudenziali e di garanzia già adottate anche dalla prima gestione Tremonti (il dg allora era Mario Draghi) per mettere fieno in cascina. Consapevoli che il nuovo debito c’è (è stato già contratto a maggio) e che gli interessi costano complessivamente 80 miliardi l’anno, appare bizzarro tener fermi oltre 60 in un conto di Bankitalia. Certo, parte di questi quattrini (circa 15 miliardi) servono a garanzia di altri impegni (europei), però ne avanzano sempre 45 che potrebbero rappresentare carburante vitale per alimentare la fiammella della ripresa. Ora che il debito è stato contratto, tanto vale adoperarli questi soldi. Saccomanni - che ha battuto via Nazionale in lungo e largo per circa 40 anni - sa bene di avere questo caricatore finanziario nel cassetto. Lo scorso 19 luglio, da Mosca (vertice sull’occupazione), aveva fatto riferimento al “fieno in cascina” e al possibile utilizzo per saldare una fetta più consistente dei debiti della pubblica amministrazione. Solo l’altro ieri, sempre Saccomanni, aveva ipotizzato di mettere sul piatto, da settembre, non “solo” i 40 miliardi promessi ma anche altri 10. Ben 50 miliardi in tutto. Più pagamenti che darebbero l’abbrivio a questa timida ripresina. La realtà, però, è un’altra. «Sul saldo dei debiti», sintetizza deluso il presidente di Rete imprese Italia, Ivan Malavasi, «siamo solo agli inizi, quelli arrivati effettivamente alle imprese secondo le nostre stime sono 4 miliardi circa». I soldi quindi ci sono, la volontà del “tecnico” Saccomanni è stata dichiarata. Perché aspettare? Per accelerare basterebbe alzare l’asticella delle compensazioni fiscali e tributarie. O si aspettano le elezioni per aprire i forzieri?