Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 28 Domenica calendario

IL GOVERNO VUOLE QUOTARSI IN BORSA

Prove tecniche di priva­tizzazioni. Al ministero dell’Economia, ma soprattutto a Palazzo Chigi, il tema è ogget­to di analisi, discussioni, ap­profondimenti pressoché quo­tidiani. Enrico Letta ha chiesto idee a tutti i suoi esperti. Ha toc­cato con mano l’interesse che ha suscitato a Londra appena ha affrontato l’argomento. E non vuole allentare la presa. Ha promesso al Financial Ti­mes un road show sulle priva­tizzazioni e sul debito in autun­no. E lo vuole fare. In prima per­sona.
Così, per non essere «scaval­cati» nelle soluzioni dagli sherpa della presidenza del Consi­glio, al ministero dell’Econo­mia è un fiorire di idee, propo­ste, schemi operativi.
L’ultimo ad essere preso in seria considerazione riguarda gli immobili. A Fabrizio Sacco­manni la società creata dal pre­cedente governo non ha mai convinto fino in fondo. Così, in Via XX Settembre si sta facen­do largo un’altra ipotesi; già tratteggiata in passato. Quella di far confluire la proprietà di tutti gli immobili pubblici de­stinati alla dimissione in un ap­posito fondo immobiliare. Questo fondo, poi, dovrebbe essere quotato in Borsa, con una quota di azioni dedicata agli investitori istituzionali (fondi sovrani, fondi d’investi­mento, grandi banche). Ed il ricavato di questa Ipo destinato al Fondo ammortamento tito­li: il serbatoio che il Tesoro uti­lizza per ridurre le emissioni di titoli pubblici.
Secondo i rumors raccolti nei corridoi di via XX Settem­bre, i tecnici avrebbero anche ipotizzato che questo nuovo fondo immobiliare potrebbe avere un rating superiore a quello riconosciuto da Stan­dard and Poor’s alla Repubbli­ca italiana. Secondo stime giu­dicate «realistiche», anziché avere la tripla «B», il Fondo po­trebbe anche strappare la «A».
Ancora tutto da definire l’ammontare atteso dall’operazione, mentre i più ottimisti stimano che possa partire ad inizio 2014. Resta un dato da chiarire: quali immobili con­fluiranno nel Fondo.
Un’altra ipotesi che trova credito sia a Palazzo Chigi sia all’Economia è l’utilizzo come «collaterali» delle quote in ma­no al Tesoro (direttamente o tramite Cassa depositi e presti­ti) di società come Eni, Enel e Finmeccanica. Si tratta della proposta accennata indiretta­mente da Saccomanni a Mo­sca; e poi precisata da una nota del ministero.
Lo schema esiste e sarebbe stato già analizzato in diverse riunioni distinte, sia alla presi­denza del Consiglio sia all’Economia. È un po’ più complica­to dell’altro; anche perché ha bisogno di interventi normati­vi non secondari a tutela di aziende che lo Stato considera «strategiche», in virtù della norma che attribuisce poteri al presidente del Consiglio.
Il meccanismo all’esame prevede che queste quote del­le aziende venga valutato co­me «collaterale» - cioè, come una garanzia data in pegno- in cambio di flussi finanziari. Questi flussi - e qui è necessa­ria una norma - devono anch’essi confluire nel Fondo am­mortamento titoli, così da fre­nare il ricorso al mercato (alle emissioni di titoli pubblici) per finanziare il debito pubbli­co.
Quanti di questi interventi sopravviveranno ed entreran­no nella legge di Stabilità è an­cora presto per dirlo. La concorrenza fra gli sherpa di Palaz­zo Chigi e quelli dell’Econo­mia sta producendo un’offerta di fantasia sulle privatizzazio­ni e sulla gestione del debito che non si vedeva dai tempi di Mario Draghi.