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 2013  luglio 28 Domenica calendario

LA SOLITUDINE DELLO SCRITTORE

Che cosa sta succedendo nell’editoria? Soprattutto, che cosa succede nel rapporto tra gli scrittori e gli editori? Nel giro di poche settimane alcuni segnali di inquietudine ci dicono che relazioni apparentemente consolidate per l’eternità diventano precarie o comunque tornano in discussione. Non si era mai visto un grande editore chiedere la restituzione dell’anticipo a un suo autore. Un milione e 700 mila dollari è una cifra altissima, ma il fatto che Penguin chieda indietro i soldi allo scrittore indiano Vikram Seth (famoso per Il ragazzo giusto), che non ha ancora consegnato il manoscritto del suo nuovo libro, è un inedito assoluto. A proposito di anticipi: Martin Amis si è dichiarato pentito di aver accettato 500 mila sterline, a suo tempo, per L’informazione, il che lo costrinse a cambiare agente, passando da Pat Kavanagh, moglie dell’amico Julian Barnes, a Andrew Wylie, detto lo Squalo. Per non dire del caso J.K. Rowling, che dopo la delusione del romanzo non harrypotteriano ha deciso di pubblicare con pseudonimo (Robert Galbraith) il nuovo The Cuckoo’s Calling: il falso nome le ha fatto guadagnare tante belle recensioni, ma le ha inflitto la bocciatura del mercato (1.500 copie), pronto a ricredersi non appena svelato l’inganno.
Sono vicende che intrecciano le ragioni indubbie della crisi economica con questioni più profonde, che hanno a che fare con la solitudine e il disorientamento (ma forse anche la furbizia: chi lo dice che il caso Rowling non sia stato programmato?) degli scrittori in un momento di trasformazioni epocali. Trasformazioni contraddittorie, che mentre prevedono l’accesso incondizionato indotto dal self publishing, rendendo potenzialmente infinita la possibilità di pubblicare, accrescono la precarietà di rapporti collaudati nel tempo e indeboliscono la cura individuale tipica dell’editoria tradizionale. Viene messa in crisi la funzione mediatrice e selettiva del lavoro culturale. Il vantaggio prospettico di Carmine Donzelli è dato dal fatto di essere fuori dalla mischia dei grandi numeri, trattandosi di un editore dalla lunga esperienza, ma (per sua fortuna?) collocato in una zona del mercato alquanto marginale (saggistica di cultura), che non prevede grandi investimenti finanziari preliminari. Donzelli parla, insomma, più da osservatore disinteressato che da parte in causa: «Le autorialità talmente eccelse da potersi gestire in proprio saranno, nel mondo, non più di un centinaio. Io credo che il self publishing potrà riguardare quei pochi autori capaci di vendere se stessi senza l’intermediazione dell’editore; oppure la pletora infinita dei dilettanti allo sbaraglio, che scrivono tantissimo senza leggere e che si illudono di poter saltare, con una presa diretta sconsiderata, il meccanismo che presiede alla costruzione del libro. Nella maggior parte dei casi, però, l’autorialità è sì il frutto del genio individuale, ma non può prescindere da altri elementi più condivisi che fanno riferimento a un editore».
Dunque il senso di solitudine dello scrittore laureato non ha ragion d’essere? «La tecnologia produce innovazioni che indubbiamente modificheranno la struttura del mercato e la filiera del commercio, ma non potranno cambiare la componente essenziale dell’editore: la funzione di filtro, la capacità di selezione, la certificazione della qualità. Gli editori seri ne sono consapevoli, e lo sconcerto degli autori nasce dal vedere che questa consapevolezza viene meno. Specie quando la fola del self publishing è enfatizzata dallo stesso editore, che così favorisce la caduta di selezione, di criticità e di qualità». Mancanza di fiducia nel servizio e nella collaborazione dell’editore che punta ai grandi numeri e scarica i nomi che non possono garantire risultati immediati: «Certo. Il bravo editore non è uno stampatore, e non è neppure quello che vende un milione di copie, ma quello che sa valutare congruamente l’esito di un libro senza illudere l’autore: quello che pensa di vendere tremila copie e ne vende tremila, giustificando così la remunerazione dei propri costi. Se offro indicazioni incerte al mio autore e al mio lettore, faccio male il mio mestiere. E questo, specialmente in Italia, succede spessissimo, non solo nel campo dell’editoria...». Cioè? «Una specie di self publishing si sta realizzando in tutte le forme intellettuali: non solo editori e scrittori in via diretta, ma giornalisti, ricercatori, critici che pensano di saltare le forche caudine della selettività. Andando avanti di questo passo, viene meno l’intero sistema dell’organizzazione culturale, che è fatta di circuiti di selezione, di presidi e di certificabilità. Certo, il self publishing si impone anche perché la valutazione della qualità è una fatica, richiede energie e tempo... La rivoluzione del web è accentuata dalla caduta del senso di responsabilità: è questo che mette in crisi gli autori seri».

Certificazione, filtro, mediazione, responsabilità. Sembrano parole novecentesche. Non bisognerebbe prendere coscienza di questa evidenza? E guardare oltre? Non c’è editore più novecentesco di Neri Pozza. Basta leggere i carteggi del fondatore con i suoi autori: Gadda, Montale, Luzi, Buzzati... Tempi in cui gli scrittori si lamentavano, ma in cui la convivenza era quasi more uxorio. Oggi il direttore editoriale Giuseppe Russo ha aperto il catalogo ai grandi nomi mondiali, Tracy Chevalier, Amitav Gosh, Daniel Mendelsohn e tanti altri: «Gli autori che soffrono di più sono quelli legati ai grandi marchi internazionali, che puntano maggiormente sull’intrattenimento commerciale. La crisi economica pone problemi ai mega anticipi, di cui bisogna rendere conto nei bilanci: le star della narrativa, abituate ad anticipi spaventosi, sono quelle che risentono dei cambiamenti». Dentro case più piccole sarebbero magari al riparo, ma non troverebbero le strutture adeguate: «Negli Stati Uniti e in Inghilterra tornano di moda le librerie indipendenti di quartiere o di tendenza, mentre le catene librarie sono in grave crisi. Con l’avvento di Amazon, che in dodici ore ti procura di tutto, le catene librarie non hanno un gran senso. Per questo tornano le piccole librerie specializzate, che propongono anche forme di socialità, circoli di discussione e di lettura e che offrono una qualità decisamente alta e già selezionata». Intanto, però, spopolano le Sfumature, nate come self publishing: «Le Sfumature sono una delle pochissime operazioni di successo tra le migliaia uscite dal self publishing, le altre non hanno raggiunto neanche livelli minimi: è giusto che per questi libri ci siano le piattaforme digitali, per le quali il progetto è una questione irrilevante, che garantiscono all’autore il 30 per cento di royalties e che danno la possibilità di muoversi immediatamente sul mercato globale. È chiaro che i grandi editori cartacei che vogliono imitare questi sistemi sono sconfitti in partenza».
Da qui il disorientamento dei loro autori? Chissà se l’annunciato abbandono di Philip Roth e Alice Munro è suggerito anche dal non riconoscersi più in questo sistema. «Il rapporto con gli agenti e con gli editor — dice Russo — viene saltato a piè pari nel self publishing e si sta indebolendo anche nell’editoria generalista e commerciale. Sarà questa ad andare in crisi, portandosi dietro le inquietudini dei suoi autori, che non si ritrovano più». Paradossalmente dunque, nel mondo globalizzato, saranno le librerie indipendenti e i marchi editoriali molto caratterizzati a dare conforto agli autori letterari in crisi di identità e ai lettori più esigenti? «Sono fette di pubblico minoritario che si rivolgeranno a un’editoria di progetto, quella che negli ultimi dieci anni sembrava in crisi, che si preoccupa della costruzione di una lista, della coerenza del brand, della cura del testo, dell’identità culturale e grafica. Anche l’industria discografica sta tornando indietro, dopo gli anni delle follie commerciali». Insomma, ci saranno due mercati distinti: quello megacommerciale e quello di nicchia e di qualità, mentre oggi i due piani sono sempre più confusi, anzi, coesistono spesso sotto lo stesso tetto. «Sì, si verificherà una controtendenza rispetto all’indistinto del web: conteranno molto anche le nuove forme di socialità viva, come i club del libro, che già sono attivi».
Il direttore della narrativa (italiana e straniera) Mondadori è Antonio Franchini. Ottimo scrittore (pubblicato per lo più da Marsilio), oltre che editor di lunghissimo corso: «Non sono un futurologo, ma sono certo che il rapporto con lo scrittore continuerà a fondarsi sulla fiducia e sulla stima. Anche in una prospettiva fortemente digitalizzata, il rapporto intimo e personale non potrà venir meno». Ma il self publishing su cui puntano i grandi gruppi, a cominciare dalla Mondadori, sembra basarsi su premesse diverse: «Il self publishing è un bacino di ricerca di autori: prima leggevi i manoscritti che arrivavano in casa editrice, adesso valuti quelli che arrivano per via digitale, che sono molti molti di più, ovviamente». Bisogna vedere secondo quali criteri vengono valutati: «È vero che gli editori cercano libri che vendano, ma sanno anche che non c’è mai una ricetta giusta, per cui conviene puntare sugli autori, tra cui magari verranno fuori quelli di successo. Tutti sanno che la ricerca del bestseller è sterile, perché chi lo cerca non lo trova».

Come si giustificano i segnali di inquietudine di scrittori già affermati? «Avvertono che è un momento di cambiamenti epocali: può succedere di tutto e nessuno, tanto meno gli autori, sa esattamente come sarà l’editoria tra dieci anni. Bisogna però ricordarsi che il cambiamento riguarda la comunicazione culturale in genere: critica, giornalismo, ricerca, dibattito... Il numero degli autori si è moltiplicato. Dico sempre che gli scrittori napoletani negli anni Ottanta erano non più di dieci, mentre oggi saranno una trentina, se non cinquanta. Per forza la durata di un libro diventa più breve. È un altro mondo nel bene e nel male, dove gli scrittori sono molto più numerosi e le tirature molto più alte. Un mondo dove il dibattito sulla letteratura è vivo al di fuori dei luoghi canonici e dove è più facile, attraverso Internet, individuare nicchie di pubblico, territori ristretti di cultori e appassionati. Un sistema che permette a ogni libro di trovare il suo lettore ideale». Non si può negare però che il lavoro di selezione una volta era fatto con scrupolo maggiore: «La selezione ci sarà sempre, ma oggi è molto più difficile che in passato. E una volta il sistema non era certo perfetto: negli anni Sessanta un manoscritto, prima di essere rifiutato, poteva avere tre letture autorevoli interne. Questo succedeva non perché quell’editoria fosse fatta di geni, ma semplicemente perché le proposte erano infinitamente inferiori. E non sempre le motivazioni erano giuste. Ora, io mi chiedo: è meglio che un romanzo venga rifiutato per ragioni sbagliate o è meglio che non venga letto?». Domanda filosofica... Il paradosso è che la quantità delle proposte richiederebbe un filtro ancora più rigoroso.
Del resto, a questa funzione sembra avere abdicato anche la critica, a cui un tempo gli scrittori affidavano le loro ansie maggiori, mentre oggi guardano soprattutto alla loro posizione in classifica: «Alfonso Berardinelli dice che si pubblicano troppi romanzi. È vero che i titoli sono tanti, ma il fatto è che siamo molti di più e siamo più alfabetizzati che in passato... Agli editor si richiedono maggior tempo ed energia, ma anche i critici dovrebbero lavorare di più per riconoscere la qualità. Impossibile? Secondo me un cardiochirurgo fa un mestiere più faticoso di un critico che voglia davvero sondare la produzione di oggi. L’importante è che ognuno faccia il proprio mestiere: lo scrittore si deve preoccupare di scrivere e di creare, di decifrare con la scrittura il mondo contemporaneo». Purché sia smart, raccomanda il marketing: «Già, tempo fa abbiamo seguito un corso di aggiornamento in cui l’oratore diceva che bisogna essere smart... Ascoltandolo, il mio amico Antonio Riccardi, che è poeta oltre che editor, ha detto: ma questi sono dei versi! E ne ha scritto una poesia intitolata Le strenne si vendono al sole». Ecco l’incipit: «Mescola e rimescola le regole/ del nostro luminoso futur/ dobbiamo essere smart/ conoscere la metrica dei consumi/ amare il nostro cliente». Morale di Franchini: «Anche il mondo del management, passando attraverso la letteratura, può essere stravolto». Vuoi vedere che alla fine la letteratura vince sempre?
Paolo Di Stefano