Ettore Livini, la Repubblica 29/7/2013, 29 luglio 2013
IL PRIMO HAMBURGER STAMINALE
Tremano McDonald’s e Burger King. Mentre nelle stalle di tutto il mondo mucche e vitelli toccano ferro e tengono il fiato sospeso. Sulla tavola di un ristorante londinese (luogo e ora sono ancora segreti) debutterà la prossima settimana un manicaretto destinato, forse, a cambiare per sempre la loro esistenza: il primo hamburger “staminale” della storia. Lo chef —
senza cappello ma con camice e mascherina asettica — è Mark Post, fisiologo all’Università di Maastricht. In padella finirà il suo piccolo capolavoro scientifico: 140 grammi di carne hitech del tutto simili ai modelli da fast-food. Salvo un piccolo particolare: sono stati prodotti non macellando una bestia, ma coltivando “in vitro” 3mila cellule satellitari prelevate dal collo di un bovino. Il prezzo, per ora è proibitivo: 300mila euro, cifra con cui ci si potrebbero comprare 100mila Big Mac. Ma gli scienziati sono convinti che, dopo la prima degustazione pubblica sul Tamigi, entro dieci anni si arriverà alla commercializzazione al supermercato del superhamburger sintetico. Salvando la vita a milioni di animali (ogni singola bestia produrrebbe un milione di volte di carne in più) e soprattutto eliminando il rischio che un mondo sempre più carnivoro — nel 2050 per la Fao raddoppieremo il consumo di bistecche & Co. — finisca per fare harakiri esaurendo le sue risorse naturali.
La strada comunque, scientificamente parlando, è ancora lunga. E rimane pure qualche nodo da sciogliere. Il primo è arricchire di nutrienti e di gusto il menù di Post. L’hamburger servito la settimana prossima (ad assaggiarlo dovrebbe essere l’anonimo finanziatore dell’esperimento, rimasto fino ad oggi sconosciuto) è nato assemblando oltre tremila pezzi di carne rossa grandi come chicchi di riso, nati ognuno da una singola cellula “coltivata” in siero fetale bovino. Si tratta quindi di fibre muscolari rigenerate e non di vere e proprie nuove cellule.
Il problema è completarne il profilo alimentare aggiungendo un po’ di grassi e lavorando poi per migliorare il gusto. «Ma sono cose che a questo stadio del nostro lavoro si possono fare senza troppa difficoltà» ha ammesso Post. A quel punto l’ultimo ostacolo sarebbe solo l’autorizzazione degli enti di controllo del settore.
«È chiaro comunque che il livello di sofisticazione raggiunto a Maastricht ci consente già di autorizzare eventuali esperimenti più avanzati a livello industriale», ha confermato una portavoce della Food Standard Authority.
L’avvento della bistecca sintetica (anche se per produrla bisogna sempre partire da un animale che faccia da “donatore”) è stato salutato dagli applausi degli ambientalisti e persino da alcune timide aperture
di credito dei vegetariani. La People for Ethical treatment of Animals (Peta) — charity che ha stanziato un milione di premio al primo che riuscirà a produrre commercialmente carne artificiale — ha definito il superhamburger di Maastricht un gran passo avanti «per ridurre la crudeltà verso gli animali e l’impatto ambientale necessario per allevarli». Le cifre in effetti fanno impressione. Il 30% dell’acqua che consumiamo al mondo e il 70% del mais e del frumento che coltiviamo vengono utilizzati per sostenere bovini, ovini e suini. Che tra l’altro producono il 39% del metano che scarichiamo nell’atmosfera. Post ha calcolato che l’uso estensivo della sua invenzione porterebbe a un risparmio del 45% dell’energia, tra l’82% e il 96% dell’acqua e del 99% dell’uso di terreni rispetto alla carne tradizionale. Per sapere se avrà lo stesso sapore, invece, bisogna a questo punto aspettare solo una settimana.