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 2013  luglio 29 Lunedì calendario

PIL DELLA FANTASIA

NOI italiani consideriamo la creatività una specie di dotazione genetica, una prerogativa etnica o forse zodiacale; ma poi la trattiamo con la stessa sprezzatura che riserviamo a Pompei, al patrimonio paesaggistico o alle nostre immeritate eccellenze in campi come quello musicale e artistico. A darle prima nome, e poi sostanza e oramai anche valore sono stati gli americani. Non con i bilanci della finanza creativa ma con bilanci finanziari che contemplano la creatività.
Quel che succede è che nel calcolo del Pil statunitense le spese per la ricerca, lo sviluppo e la creazione in campo tecnico, scientifico, artistico e culturale verranno d’ora in poi considerate come investimenti. Una vera e propria svolta culturale: se non è proprio la vecchia utopia dell’immaginazione al potere, quanto meno è il riconoscimento della potenza anche economica della fantasia.
A certe conclusioni arte e cultura, a dire il vero, erano arrivate già da tempo. 1984: sono passati trent’anni fa da quando il teorico del postmoderno François Lyotard ha allestito al Beaubourg una mostra sugli «immateriali».
Dopo ci siamo tutti svezzati a distinguere hardware e software, a fare a meno di carta, vinili, inchiostro, metalli. Così, oggi non c’è più bisogno di grande sottigliezza filosofica per capire che l’immateriale è reale, e a volte cruciale. Per la tradizionale metafora chi è ricco «ha una posizione solida»; ma non si può attribuire non solo «solidità», ma persino «posizione» a quelle ricchezze che si calcolano in pensiero, innovazione, bellezza e proprio per questo non contribuiscono in modo tangibile e computabile ai fatturati, ai dividendi e alle stock option.
Il problema è che quello di creatività è un concetto sin troppo confuso. Nacque proprio negli Usa, negli anni Cinquanta, quando si accorparono le riflessioni di scienziati, inventori, filosofi,
artisti di tutto il mondo e di tutte le epoche, da Mozart ad Einstein, da Aristotele a Picasso per provare a capire il modo in cui la mente umana arriva a progettare nuovi assetti, escogitare nuove soluzioni, ribaltare le tradizioni, in qualsiasi settore. La creatività divenne poi un mito per tutti: copywriter e indiani metropolitani, industriali ed eversori, cuochi e filosofi, scrittori e stilisti, cronisti e blogger. Definire la creatività risulta però impossibile, perché è un mito, e non un principio filosofico. Ma una delle idee di creatività più interessanti la vede proprio come quell’elemento non quantificabile, immateriale, in sé inutile e improduttivo senza il quale, però, non c’è cambiamento ma replica dell’uguale.
Il Pil non è solo roba pesante, cemento, acciaio, container e pallet di merci importate ed esportate: c’è un Pil immateriale, la cui sostanza è fatta di idee, parole, astrazioni e nell’ammetterlo si fa un grande passo avanti. Ma infine si spera che questo passo non inauguri una strada che finisca coll’imporre nuovi balzelli sulle buone idee. La finanza creativa certo ne sarebbe capacissima.