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 2013  luglio 29 Lunedì calendario

IL COMUNICATORE DI DIO

Ersilio Tonini, 99 anni, cardinale arcivescovo emerito di Ravenna e Cervia, per tutti «il comunicatore di Dio», se ne è andato nella notte fra sabato e domenica sull’unico letto nel quale avrebbe desiderato morire. Quello di una piccola stanza dell’Opera Santa Teresa di Ravenna, l’istituto dove nel 1975, tra lo sconcerto dei suoi cittadini, decise di andare ad abitare. Era appena stato nominato arcivescovo di Ravenna e Cervia dopo l’incarico a Macerata. Gli sarebbe spettato l’appartamento nello splendido palazzo arcivescovile, il più antico episcopio dopo Roma. Invece, a sorpresa, decise di non abitarvi e anzi di lasciare l’interno appartamento a un nucleo di tossicodipendenti in cerca di salvezza. Insomma, 28 anni prima di Jorge Mario Bergoglio che ha scelto di disertare l’appartamento pontificio per una stanza nel convitto Santa Marta, Tonini si rifugiò in due semplici stanze all’interno di un ricovero per malati terminali e cerebrolesi, scegliendo gli ultimi come propri compagni di viaggio, i malati come suoi familiari.
Ancora ieri, intorno alla bara di legno chiaro nella quale è stato adagiato, si aggiravano alcuni ospiti dell’istituto, a guardare senza saper pronunciare parole quell’esile figura avvolta dall’abito cardinalizio, una croce di ferro al petto, un anello dono di Paolo VI (il pontefice che lo volle vescovo) al dito. Tonini amava stare con gli ultimi perché l’accoglienza ce l’aveva nel dna. Voleva bene a tutti, ai grandi come ai piccoli, ai potenti come ai miserrimi. «Qual è il suo motto episcopale? », gli chiesero un giorno. «Non lo ricordo», rispose lui. «L’unico motto nel quale mi ritrovo è: “È bello volersi bene”». Parole che ha sussurrato ancora a chi gli stava vicino poco prima di morire: «Ha pregato a ha detto: “Voletevi bene, io devo tornare dal Padre mio”», racconta suor Virginia che lo ha assistito fino all’ultimo.
I titoli, anche quello di cardinale, li riteneva nulla di fronte all’amore. Tanto che quando il cardinale Angelo Sodano, nel 1994, lo convocò a Roma per comunicargli che Giovanni Paolo II avrebbe presto indetto un concistoro, egli pensò che l’allora segretario di stato volesse suggerirgli qualcosa da dire per la consueta diretta tv a cui sarebbe stato invitato. «In verità Wojtyla vuole crearla cardinale», gli disse Sodano. Già ottantenne, Tonini reagì quasi stizzito tanto che Sodano dovette chiedergli non senza stupore: «Mica penserà di non accettare?».
Figlio di umili salariati agricoli, terzo di cinque figli, entrò undicenne in seminario a Piacenza. Ordinato prete a 22 anni, aveva la comunicazione nel sangue. Dopo un periodo d’insegnamento (latino e greco) assunse la direzione del settimanale diocesano “Il nuovo giornale”, in un momento segnato da forti contrasti sociali e dalla lotta di classe. Da lì fu un crescendo, fino all’incarico più importante: Paolo VI lo volle nel 1978 presidente del Consiglio di amministrazione della Nei, la società che allora era editrice del quotidiano “Avvenire”. Una passione, quella per i media, che è uscita fuori pure lo scorso 20 luglio. Per il suo compleanno una troupe televisiva è andata a intervistarlo al Santa Teresa. Sonnacchioso, appena ha visto la telecamera si è rianimato. E ha detto: «Se il giornalismo smette di essere profezia non è niente».
Tonini era profetico anche nelle omelie. Il 13 marzo del 1987, nei cantieri navali del Porto di Ravenna, si verificò uno dei più tragici incidenti sul lavoro della storia recente del Paese: 13 operai morirono asfissiati nella pancia della nave gasiera “Elisabetta Montanari”, di proprietà della Mecnavi. L’omelia di Tonini ai funerali colpì Enzo Biagi che volle subito portare «questo giovane pretino» in tv. Fu l’inizio di una grande amicizia. Nel 1991 Tonini partecipò alla trasmissione di Biagi “I dieci comandamenti”. E, in difesa dell’amico giornalista, fu ancora l’ormai cardinale a tuonare in occasione del cosiddetto editto bulgaro pronunciato da Silvio Berlusconi, che segnò l’allontanamento dalla Rai di Luttazzi, Santoro e dello stesso Biagi. Intervenendo nella trasmissione “Annozero”, Tonini disse: «Lo hanno ucciso. È stato un ostracismo. Biagi dava fastidio, non era utile ed è stato cacciato. La Rai si è derubata, c’era un tranello, una motivazione che non era degna. Ero suo amico e sono anche un uomo che conosce un po’ la realtà. Biagi non è stato solo un uomo della tv, ma anche una persona che ha combattuto per la giustizia e la libertà, un uomo di una schiettezza piena. Non si possono trattare gli uomini come pezzi da giocare».
Dice Paolo Gambi, scrittore, biografo di Tonini che con il cardinale ha scritto “La ragione della speranza”, che «Tonini dialogava con tutti ma non metteva mai in discussione ciò in cui credeva ». Di qui, forse, anche le sue posizioni più contro corrente. Come quando in occasione dei funerali di Piergiorgio Welby disse: «Approvare i funerali di Welby sarebbe stato come dire che la Chiesa accetta l’eutanasia di cui Welby stesso era divenuto il simbolo. Per questo non è stato possibile autorizzarne la celebrazione in chiesa, mentre nel caso dell’avvocato Corso Bovio questa implicazione non c’è stata ».