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 2013  luglio 29 Lunedì calendario

LA REGINA NERA

Una orrenda megera, grassa, vestita di nero, agitata come una furia e con un ghigno di odio sul volto: nell’episodio rinascimentale del film-kolossal di D. W. Griffith, Intolerance, Caterina dei Medici appare così. È lei che costringe il figlio, il debole re Carlo IX, a dare il via al massacro di protestanti passato alla storia come la Notte di San Bartolomeo (tra il 23 e il 24 agosto del 1572). Con quel film del 1916, la vedova di Enrico II nonché bisnipote di Lorenzo il Magnifico entrava nella galleria dei grandi personaggi dello schermo. Da allora, cinema e poi tv non hanno più smesso di portarla in scena, dalla Josephine Crowell di Griffith fino a Virna Lisi (La Reine Margot di Patrice Chéreau, 1994) e a Marie-Christine Barrault nello sceneggiato Saint-Germain, ou la Négotiation del 2003, per un totale di 15 apparizioni.
La Caterina dello schermo, modellata sulla letteratura a lei dedicata (massime fra tutti il ciclo dei Valois di Alexandre Dumas padre), è quella della leggenda nera che dalla fatale none del 1572 si porta addosso: donna sanguinaria, esperta in ogni genere di malefici, avvelenatrice, superstiziosa, tirannica e intollerante, maestra di raggiri e imbrogli. Contro la Vedova nera che dalla scomparsa del marito, Enrico II, nel fatale torneo del 1569, fino alla sua morte, avvenuta a 70 anni nel 1589, ha tenuto in mano il potere in Francia, si sono mossi un po’ tutti, protestanti, illuministi, liberali, spesso facendo leva su tre stereotipi: era una donna, una straniera, una fiorentina. Come donna era naturalmente disposta alla bugia, alla malvagità e all’inganno; come straniera, era una barbara che credeva alle superstizioni e alla magia; come fiorentina si ispirava alle amorali regole del Principe di Niccolò Machiavelli.
Solo in un secondo tempo la storiografia ha cercato di riconsiderare la figura di Caterina al di fuori di leggende e stereotipi. Primo fra tutti in quest’opera di revisionismo, Honoré de Balzac già negli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento si era schierato in difesa di una sovrana calunniata e, a suo parere, a torto infamata. Raccogliendo nel 1842 tre racconti con una introduzione intitolata “Catherine des Médicis expliquée” (il volume, con il titolo Sur Catherine de Médicis, sarà ristampato due anni dopo negli Études philosophiques dell’edizione Fumé della Comédie Humaine), Balzac si proponeva di restituire alla Regina i suoi meriti. “Caterina dei Medici ha salvato la corona di Francia; ha mantenuto l’autorità reale in mezzo a circostanze nelle quali molti grandi principi avrebbero fallito. Trovandosi di fronte uomini faziosi e ambiziosi (...) ha dovuto dar prova di rarissime qualità e dei doni più preziosi di un uomo di Stato, seppure esposta allo scherno della stampa calvinista. (...) Per chi scava la storia del XVI secolo in Francia, la figura di Caterina dei Medici appare come quella di un gran re”.
Fortemente negativo nei confronti dei calvinisti (“con le loro demolizioni hanno inferto all’arte ferite altrettanto gravi di quelle inflitte al corpo politico”), Balzac pubblica la sua difesa negli anni in cui Dumas padre scrive La regina Margot, dove appunto Caterina è ritratta come un mostro che non esita ad avvelenare i suoi figli. E ugualmente sinistra è la figura della regina quale usciva dalle lezioni del grande storico Jules Michelet. Insomma, assassina spieiata o coraggiosa conservatrice dello Stato?
LA NOTTE DI SAN BARTOLOMEO del 1572, fra il 23 e il 24 agosto, è passata alla storia per il massacro degli ugonotti (così in Francia si chiamavano i calvinisti), perpetrato a Parigi. La caccia al protestante i morti, si calcola, furono circa tremila in realtà dura un’intera settimana, prima di espandersi ad altre città del resto della Francia. Tradizionalmente ostile ai riformati, Parigi ha ospitato in gran numero signori e nobili ugonotti, accorsi per il matrimonio del correligionario Enrico di Borbone-Navarra con la figlia di Caterina, Marguerite detta Margot.
Celebrate le nozze il 18 agosto (Enrico e i gentiluomini protestanti escono dalla cattedrale per non assistere alla messa, cosa che il popolo di Parigi vede come un’offesa alla religione), i festeggiamenti continuano in un clima di grande tensione. I capi del Partito cattolico oltranzista, i Guisa, aristocratici di Lorena, ritengono quel matrimonio, voluto da Caterina come un atto di pacificazione, un patto scellerato con l’eresia. Enrico di Guisa, inoltre, ha giurato di vendicare la morte del padre ordinata, secondo lui, dal consigliere di Stato, l’ugonotto ammiraglio di Coligny.
È proprio l’attentato contro Coligny, ferito da un colpo di archibugio nella mattina del 22 agosto, a far precipitare gli avvenimenti. Su cui, avvertono gli storici recenti, cronache faziose e memorie di parte hanno praticamente impedito di fare chiarezza. Abbiamo quasi solo voci di complotti e di macchinazioni, come quelle che subito indicano in Caterina la mandante del cecchino che spara contro Coligny (per gelosia, dicono, dell’influenza che l’ammiraglio esercita sul figlio, re Carlo IX), magari d’accordo con i Guisa. Oggi storici meno partigiani ricordano per esempio che Caterina e Carlo IX vanno a visitare Coligny ferito e ufficialmente deplorano l’attentato. E che il re comanda un’inchiesta per stabilire le responsabilità dell’avvenuto.
Poi, però, per la famiglia reale chiusa nel palazzo del Louvre, la situazione comincia a diventare pericolosa e incontrollabile. Qualcuno ha fatto allontanare gli Svizzeri di guardia al palazzo; si sa che i Guisa dispongono di un esercito in grado di assaltare il Louvre. Il colpo finale lo da l’ambasciatore di Spagna che il 23, a fine mattinata, abbandona la corte e rompe le relazioni diplomatiche minacciando la guerra se i Guisa venissero incriminati per l’attentato a Coligny. In preda alla paura, il Re costringe a uscire dal Louvre gli ugonotti che vi si erano rifugiati, a eccezione del cognato Enrico di Navarra e del principe di Condé.
Nella notte, le campane delle chiese di Parigi cominciano a suonare a martello, è l’inizio della carneficina. E mentre milizie borghesi entrano nelle case dei protestanti e seminano la morte, i Guisa penentrano nell’abitazione di Coligny, lo ammazzano e gettano il suo corpo per strada. La testa mozzata verrà inviata al comandante delle truppe spagnole in Fiandra, il Duca d’Alba.
ALEXANDRE DUMAS, romanzando la versione dei fatti che dava tutte le colpe a Caterina, ci consegna un racconto a tinte foschissime: la perfida erede dei Medici aveva organizzato le nozze tra la figlia Margot e l’ugonotto Enrico solo per attirare a Parigi tutti i grandi signori protestanti; è lei che obbliga Carlo IX a dare il via al massacro inventando una congiura ugonotta contro di lui; sempre lei, servendosi di loschi alchimisti italiani, elimina col veleno gli avversari i modi sono molto fantasiosi, un paio di guanti imbevuti di veleno, oppure le pagine empoisonnées di un libro e alla fine uccide (secondo Dumas, per errore; memorabile la scena di Paolo Poli a teatro nei panni della madre assassina) pure il figlio Carlo IX, il cui corpo scosso da febbri tremende trasuda sangue. (Farà in tempo, comunque, il moribondo a svelare alla sorella Margot tutte le nefandezze commesse dalla madre).
Seguace di Dumas, autore di feuilletons a tinte forti, il giornalista anarchico Michel Zévaco nel ciclo dei Pardaillan, una famiglia di protestanti che attraversa gli anni delle Guerre di religione, prosegue nella diffusione della leggenda nera di Caterina: la Regina sarebbe pure responsabile dell’avvelenamento di Jeanne d’AIbret, madre di Enrico di Navarra. Ma oltre due secoli prima di loro, nel 1593, già Christopher Marlowe con la sua tragedia The Massacre at Paris aveva già provveduto a dipingere la Regina vedova come una criminale assetata di potere. La fonte di questi ritratti al vetriolo si ritrova, secondo l’opinione di molti storici, nei numerosi pamphiet protestanti che definiscono Caterina una vampira assetata di sangue, una strega (così nel poema Les Tragiques di Agrippa d’Aubigné) che si circondava di perfidi Italiens, e soprattutto una seguace del diabolico Machiavelli.
Lasciamo la parola alla difesa, a Balzac: “Caterina, obbligata a combattere un’eresia pronta a divorare la monarchia, senza amici, ben vedendo il tradimento nell’animo dei capi del Partito cattolico e l’aspirazione alla repubblica del Partito calvinista, ha usato l’arma più pericolosa, ma la più efficace nella politica, l’astuzia. Così, di volta in volta, si appoggiò al partito che voleva la rovina dei Valois, ossia i Borboni che miravano a prendere la corona e i riformati, i radicali di allora, che sognavano una repubblica impossibile. Fino a che visse, i Valois hanno conservato il trono. Ragion per cui, il grande storico Jacques-Auguste de Thou, quando seppe della sua morte, esclamò: “Non è morta solo una donna, è morta la regalità!”.
Veramente Caterina è vissuta in tempi bui. Nei lunghi anni della sua vedovanza, durante i quali non abbandona mai il colore nero delle vesti, la Francia è teatro di otto guerre di religione, segnate da spaventosi massacri. Madre di tre re Francesco II, che muore nel 1560, Carlo IX morto nel 1574, Enrico III, ucciso da un fanatico cattolico nel 1589, poco dopo la morte di Caterina la discendente di Lorenzo il Magnifico si trova costretta a esercitare il potere che i figli, soprattutto i primi due, per età e per carattere non sapevano gestire.
A questa prova di tenacia e di forza, però, Caterina era stata preparata da una vita difficile e piena di avversità. Nata a Firenze nel 1519 da Lorenzo duca d’Urbino (nipote del Magnifico) e Madeleine de la Tour d’Auvergne, perde i genitori a pochi mesi di vita. A soli dieci anni, nel 1529, dopo la seconda cacciata dei Medici da Firenze, è prigioniera dei repubblicani sotto la minaccia di sevizie e violenze. Dopo la restaurazione dei Medici, va a Roma e qui il prozio Giuliano, papa Clemente VII, organizza per lei il matrimonio con Enrico, figlio cadetto del re di Francia Francesco I. Per le nozze, celebrate a Marsiglia il 28 ottobre 1533 (il Re e il Papa, si racconta, constatarono l’effettiva consumazione del matrimonio), Caterina porta in dote un patrimonio, fra danari e gioielli, pari a 130mila scudi d’argento. Ma alla morte, l’anno dopo, del papa, il nuovo pontefice Paolo III blocca il pagamento della dote. Nel 1536, l’erede al trono di Francia, Francesco, muore, ed Enrico diventa il delfino, destinato a succedere al padre che morirà nel 1547. Anni duri per Caterina, che non fa figli (il primo, Francesco, nascerà solo nel 1544, undici anni dopo il matrimonio), che è disprezzata dai cortigiani per il suo francese stentato e la mancata corresponsione della dote. In più, Enrico ha un’amante, Diane de Poitiers, di dieci anni più grande, affascinante amica di intellettuali e pittori che la ritraggono come Diana cacciatrice. Il Re non nasconde la sua relazione, colma la donna di regali (a lei dona il castello di Chenonceau, che però Caterina si riprenderà dopo la morte del marito) e ne porta i colori, il nero e il bianco (li porterà anche nel torneo del 1559). Caterina non può far altro che rassegnarsi. Teme, non avendo figli, di essere ripudiata. Paradossalmente sarà proprio Diane a perorare la sua causa. La situazione non muta dopo l’ascesa al trono di Enrico, anche se le nozze non sono più sterili: in dodici anni, fra il 1544 e il 1556, nascono dieci figli di cui sette sopravvivono.
Con grande astuzia e con l’aiuto di consiglieri e amici italiani (Gondi, Birague, Strozzi), la Regina comincia a crearsi una posizione più solida dentro la corte. Per il regno sono tempi difficili: con la Pace di Cateau-Cambrésis (aprile 1559) la Francia deve rinunciare al sogno italiano cominciato nel 1494 con la discesa di Carlo VIII; intanto, la Riforma sta conquistando vasti strati dell’aristocrazia, in particolare del Sud e del Sud-ovest. Enrico II adotta il metodo duro, con processi, roghi, esecuzioni, ma la repressione non serve ad arrestare la diffusione del calvinismo. Alla sua morte luglio 1559, per la ferita riportata in un torneo con cui si celebravano i matrimoni di due figlie, Elisabetta con Filippo II di Spagna e Claude con Charles di Lorena gli succede il primogenito Francesco I che muore nel giro di un anno. La corona passa a Carlo IX, di appena dieci anni; Caterina diventa reggente.
Ma subito (1562) si apre la prima guerra di religione, scatenata dal massacro di Wassy perpetrato dagli ultra cattolici Guisa. Caterina teme il loro potere e, appoggiandosi al consigliere Michel de l’Hospital, cerca di accordare nei limiti del possibile libertà di culto agli ugonotti. Ma ogni suo tentativo fallisce, e quasi ogni anno nuovi scontri e massacri si producono. I cattolici sono militarmente più forti, ma nel 1567 sono i protestanti che sembrano avere la meglio, addirittura il principe di Condé prova a sequestrare la famiglia reale per costringerla a schierarsi contro i Guisa e la Spagna. L’impresa non riesce, e Caterina abbandona la sua politica conciliatrice. Non si fida dei Guisa e ancora meno del Re di Spagna, ma da allora sarà sempre meno disposta a fare concessioni ai protestanti. Certo, il matrimonio tra la figlia Margot e Enrico di Navarra è pensato per portare la pace, ma il seguito la Notte di San Bartolomeo produrrà una ferita non rimarginabile.
Quando il secondo figlio muore (1574), sale al trono Enrico III, il suo preferito. Maggiorenne, non ha bisogno della reggenza, e Caterina si vede momentaneamente messa in disparte. Ma il comportamento bizzarro del terzo figlio (si circonda di favoriti, i mignons, gentiluomini provenienti dalla nobiltà di provincia; veste in maniera effeminata, con un orecchino di perla; organizza intorno a sé una guardia armata detta “I Quarantacinque”; preso da crisi religiose, partecipa a processioni e riti di penitenza) lascia interdetta Caterina, che inutilmente cerca di dirigerlo. Non è lei, peraltro, a consigliargli l’uccisione di Enrico di Guisa e del cardinale di Lorena (dicembre 1588), capi della Lega cattolica; quando il figlio glielo racconta (“Oggi finalmente sono re!”), Caterina risponde: "C’est bien taillé, mon fils; maintenant il faut coudre, Bel taglio, figlio mio; ma ora bisogna cucire. Pochi giorni dopo, il 5 gennaio, Caterina muore. Enrico III la seguirà il 5 agosto, a Saint Cloud, mentre si prepara ad assediare Parigi in mano alla Lega, viene ucciso dal frate domenicano Jacques Clément, che vuole vendicare Enrico di Guisa.
Poeta, storico, umanista, Etienne Pasquier compone un epitaffio per Caterina dei Medici in cui la riconosce “armée d’un haut coeur”. Proprio quel cuore nobile e coraggioso le ha permesso di “offrir riparo ai colpi dell’odio del rancore” e di essere stata la sola capace di “chiudere la porta davanti ai nostri tormenti”. Tutto questo in un Paese, la Francia, il cui sole “si era oscurato del tutto” e dove i Grandi del regno pensavano solo ad attizzare i fuochi della guerra civile. Un elogio non scontato da parte di un personaggio che aveva contrastato le pretese dei gesuiti e gli eccessi della Lega cattolica, e che diventerà consigliere del re Enrico IV e del suo programma di tolleranza religiosa sancito dall’Editto di Nantes (1598). Questo omaggio di un contemporaneo ci mostra, insomma, che la vera Caterina non va confusa con la figura diabolica trasmessaci dalla leggenda nera. Delle due regine Medici, dirà Balzac, quella veramente detestabile fu Maria, vedova di Enrico IV e reggente per il futuro re Luigi XIII, che con i suoi stupidi intrighi, i pessimi italiani di cui si circondò (i famigerati Concini), non solo dissipò la grande opera di pacificazione del marito, ma portò la Francia sull’orlo di una lacerazione disastrosa.
Così gli storici hanno riletto e confutato i molti capi d’accusa mossi contro Caterina. In primo luogo, il machiavellismo. Caterina dei Medici in realtà non fu per niente una seguace degli insegnamenti politici del Principe. Fu invece sempre convinta sostenitrice di un ideale di pace e conciliazione fra opposte fazioni e schieramenti nemici. Un sogno, un’utopia che aveva ereditato dall’educazione neoplatonica del Rinascimento fiorentino: insomma, fu più seguace di Marsilio Ficino che non del Segretario fiorentino.
Fu, nei limiti del possibile, a favore della tolleranza religiosa, anche se, rispetto agli ultracattolici e ai riformati, ebbe una superiore visione degli equilibri internazionali che condizionavano gli schieramenti contrapposti. Dietro i Guisa, da un lato, si potevano cogliere gli interessi della Spagna di Filippo II, che intendeva annettere la Francia al fronte anti protestante e allontanarla da un’intesa con la “eretica” Elisabetta d’Inghilterra; gli ugonotti volevano fare intervenire la Francia a fianco dei calvinisti in guerra contro gli Spagnoli nelle Fiandre, scatenando un conflitto dalle proporzioni incalcolabili. Caterina cercava di mediare, per esempio con la politica matrimoniale: nel 1559, due sue figlie, Elisabetta e Claudia, sposano rispettivamente Filippo II di Spagna e il duca di Lorena, Carlo, cugino dei Guisa. Tredici anni dopo, Margot sposerà il protestante Enrico di Navarra, anche se gli esiti imprevisti di quel matrimonio (la Notte di San Bartolomeo) vanificarono gli sforzi della Regina.
Anche nella nomina come cancelliere del regno di Michel de l’Hospital, Caterina mostra le sue volontà di conciliazione. Con due editti, 1562 e 1563, accorda una sostanziale libertà di culto ai riformati e poi intraprende un viaggio di 28 mesi attraverso la Francia per dar forza ai suoi progetti di pacificazione nazionale. Purtroppo, il tentativo del Principe di Condé (a Meaux, 1567) di far prigioniera la famiglia reale spingerà Carlo IX e la madre verso il campo opposto. E qui interviene una nuova idea guida nell’operato della Regina, la necessità. La politica è l’arte del possibile e occorre provare ogni mezzo per superare i contrasti: quando però si producono fatti e circostanze eccezionali che mettono in pericolo lo Stato, allora la necessità impone il ricorso a misure estreme. Così, in fondo, trovano una spiegazione anche San Bartolomeo e i ravvicinamenti ai Guisa.
Gli aneddoti e i più foschi dettagli spesso finiscono per apparire solo come ingredienti di una favola sinistra utilizzabile ai fini della propaganda politico-ideologica. L’astrologia – Caterina era appassionata di oroscopi – non era di per sé un reato, del resto nella Firenze del Quattrocento anche Marsilio Ficino credeva nel destino scritto negli astri. Certo, pare che il fiorentino Cosimo Ruggieri, esperto nel predire il futuro e per questo accolto a corte, fosse molto bravo nel fabbricare statuine-feticcio da infilzare per provocare la morte di un nemico, ma sono notizie ovviamente incontrollabili. Quanto a veleni, magie, alchimie, visto lo stato della medicina dell’epoca è possibile scambiare pratiche allora comuni con operazioni nefaste. E rincontro con Nostradamus è stato di recente ridimensionato: veramente Caterina lo incontrò a Salons, nel 1564, ma il veggente non seppe predirle altro che cose buone, neppure che il re Carlo IX sarebbe morto prima di raggiungere i 25 anni.
Più che la magia o il crimine, la sua vera arte fu la politica intesa come continua mediazione nella ricerca di una armonia tra forze contrarie. Di fronte a due famiglie, i Guisa e i Borbone (sono parole dette da Enrico IV) che volevano impadronirsi della corona di Francia, Caterina seppe tener saldo il bene dello Stato. E il primo re Borbone, l’illuminato sovrano della tolleranza, le riconobbe, pure in tempi di così duri contrasti, “la sage conduite d’une femme avisée”, la saggia condotta di una donna accorta.