Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  luglio 29 Lunedì calendario

«Mi chiamo Andre Agassi. Sono sposato con Stefanie Graf. Abbiamo due figli e viviamo a Las Vegas»

«Mi chiamo Andre Agassi. Sono sposato con Stefanie Graf. Abbiamo due figli e viviamo a Las Vegas». Alla riga numero 19 della prima pagina di «Open», la straordinaria biografia scritta con J.R. Moehringer (ma quanto altro ci sarebbe stato da raccontare...), l’autore, spiazzandoci, va dritto al cuore: «Il tennis mi ha dato tutto ciò che di più prezioso ho nella vita». Otto titoli del Grande Slam (su tutte le superfici)? L’oro all’Olimpiade 1996? Centouno settimane in vetta alla classifica mondiale? Trentuno milioni di dollari guadagnati in soli premi? Macché: «Mia moglie». Questa è un’affermazione, va detto, che nello spogliatoio dei grandi tornei, tra quelle malelingue dei tennisti, e nelle sale stampa degli Slam, tra quei moralisti dei reporter, ancora oggi, rivangata, suscita risatine e alzate di sopracciglia. Perché quando Andre Agassi e Steffi Graf furono pizzicati per la prima volta insieme in pubblico come una coppia, nel gennaio 2000 a Melbourne, si vociferava che una relazione stabile e, soprattutto, eterosessuale, fosse l’ultimo pensiero dei due fuoriclasse dei courts. La storia (contemporanea), però, racconta di dodici anni di matrimonio vissuti lontano dai riflettori e due figli: che sia amore o un calesse, insomma, unione d’anime o contratto d’interessi (i due gestiscono un patrimonio immobiliare faraonico, oltre che due distinte fondazioni benefiche), le vite parallele di Andre Kirk Agassi e Stefanie Maria Graf, 30 Slam sotto lo stesso tetto, rappresentano il legame più longevo del pianeta tennis. Nati a un Continente, un Oceano e 318 giorni di distanza, cresciuti a pane e tennis, lui a Las Vegas e lei a Mannheim (Baden-Württemberg), da due padri-padroni, Mike e Peter, Andre e Steffi sono gemelli astrali saldati dalle schiaccianti aspettative parentali e scampati al divanetto del dottor Freud grazie alla comune via di fuga dall’ipotesi di parricidio: una carriera da giganti nello sport più adatto a chi ha propensione a perdersi nei labirinti della mente. Il tennis, vissuto com’era da entrambi come un’asfissiante fantasma paterno, ha dato loro l’illusione della felicità, e i dollari (tanti) di certo oggi aiutano a elaborare meglio il lutto di quei genitori necessariamente ripudiati prima di essere accettati e, forse, a metabolizzare il passato nel presente della bella villa del Nevada, l’humus in cui la joint venture emotiva/professionale, premiata ditta di dritti, rovesci e turbamenti profondi, affonda solide radici. «Tanto per essere chiari: penso che tu sia affascinante e nutro un enorme rispetto per quelli che sembrano essere i tuoi valori. Vorrei portati a pranzo, o a cena, o offrirti un caffè o fare una passeggiata, non importa: vorrei solo avere l’opportunità di conoscerti meglio». È l’estate ’99, subito dopo aver vinto la stessa edizione del Roland Garros (l’ultimo grande trionfo della Graf, che a fine anno annuncerà il ritiro). Agassi manda un bigliettino a Steffi attraverso il preparatore atletico Gil Reyes (figura-chiave nel presepe agassiano) e corona un inseguimento partito da lontano. Il biografo arricchisce l’agiografia di particolari premonitori: avvicinandosi la data delle nozze, la prima moglie di Andre, l’attrice Brooke Shields, aveva appeso al frigo la foto della donna dal fisico perfetto cui sognava di somigliare sull’altare. «La fisso, sbalordito. Ma questa è…? Già, mi dice Brooke, serafica: è Steffi Graf». L’attrazione è fatale e la sventurata risponde subito. «Al primo appuntamento Andre mi chiese se mi sarebbe piaciuto avere figli…». Il 26 ottobre 2001, quattro giorni dopo un matrimonio celebrato in forma privatissima alla sola presenza delle madri, Betty e Heidi, nasce Jaden Gil (prematuro di 6 settimane), seguito, esattamente due anni più tardi, da Jazz Elle. Alla fine di vent’anni di amore e odio con il tennis, Agassi finalmente trova pace: abbraccia i sentimenti più nobili e si accomoda nel ruolo di bravo papà, quello che desiderava e che non ha mai avuto, corroborato dalla comunione d’intenti con Steffi, anch’essa impegnata a marcare una differenza con le origini, e da una maturità conquistata con dolore. Il resto sono aneddoti che hanno fatto la fortuna di un libro da record, ancora in classifica in Italia a tre anni dalla pubblicazione. Il piccolo Andre maltrattato dalla macchina spara-palle, ribattezzata «il Drago». La chioma decolorata da tamarro che avevamo scambiato per un look anticonformista e ribelle, e invece era un toupet. La positività insabbiata per non incrinare l’immagine del totem che, negli anni Novanta, teneva in piedi insieme a Pete Sampras, l’alter ego tanto buonino, il business globale del tennis. Più tutto il resto. «Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, a palleggiare la mattina, il pomeriggio, perché non ho scelta». Detesta il tennis ma adora Steffi, troppo simile a lui per rappresentare una minaccia, per qualsiasi legittimo (e rispettabile) motivo abbia deciso di amarla, riamato.