Felice Manti, il Giornale 23/7/2013, 23 luglio 2013
E PER GLI IRRIDUCIBILI DEL FUMO PACCHETTI ANONIMI E FOTO CHOC
Come fumeremo in futuro? Facile: andremo dal tabaccaio in incognito, a sussurrare la frase«un pacchetto di...» davanti a un esercente che, furtivamente, aprirà un cassetto segreto e tirerà fuori un’anonima scatolina monocolore grigiastra (lo chiamano plain packaging), senza scritte ma magari con una bella foto di polmone devastato dal cancro, e lo pagheremo almeno il doppio di oggi. Addio pacchetti da 10, addio sigarette slim e quelle aromatizzate, vietato il commercio dei prodotti senza fumo come lo snus, tabacco umido da masticare prodotto e venduto in Svezia in deroga alle norme europee, che è già costato il posto (per presunta concussione) lo scorso 16 ottobre scorso all’ex commissario alla Salute John Dalli. È il triste futuro che aspetta i fumatori italiani quello disegnato delle leggi made in Europe: il fumatore è l’ultima vittima dei moralismi di Bruxelles. La scusa è che i 700mila decessi prematuri l’anno a causa del tabagismo ci costano 100 miliardi. La stretta è stata presentata alla fine del 2012 ed è firmata da Tonio Borg, il maltese successore di Dalli a capo della direzione generale Salute e tutela dei consumatori della Commissione Ue. La legge sostituisce quella del 2001 che ha introdotto le immagini-choc e le avvertenze sui pericoli del fumo. Dunque, basta espositori visibili - come già avviene in Gran Bretagna - addio pacchetti colorati e marchiati («Così il fumatore si sentirà meno cool», scrive l’università britannica di Stirling), e soprattutto niente più tabacco con additivi. Ma così traballa la filiera europea del tabacco, che impiega 1,5 milioni di persone, anche se a rischio sarà soprattutto il tabacco Burley prodotto in Italia (a tutto vantaggio del Virgina), visto che si prevede il divieto di produrre sigarette con tabacco essiccato all’aria e trattato con ingredienti additivi per reintegrare le componenti zuccherine perse. Il ministro della Salute ha già ottenuto di poter usare lo zucchero («Non nuoce alla salute ma permette la lavorazione del nostro tabacco », ha detto Beatrice Lorenzin, Pdl) ma il sistema è in ansia. Soprattutto in Campania dove nel 2011 si è prodotto il 94,8% del Burley italiano: ad andare in fumo sarebbero i 53mila posti della tabacchicoltura che lavorano su 30mila ettari di colture per produrre quasi 100mila tonnellate di foglie ogni anno a una ventina di marchi, ai quali si aggiungono i 5.500 lavoratori nella prima trasformazione, i 740 nella manifattura e i 2.700 nella distribuzione dei prodotti da fumo, che ogni anno regalano allo Stato 13,7 miliardi di euro in accise.
Come se ne esce? Non siamo mica a New York dove per colpa del proibizionismo del sindaco Michael Bloomberg sono tornati i pusher di loosies (sigarette sciolte) di contrabbando. La stretta sul fumo e il plain packaging aumenteranno il mercato nero e ad arricchirsi alle spalle dell’Erario (e di Bruxelles) saranno i produttori di sigarette cinesi, che attraverso Grecia e Balcani infarciscono container di sigarette low cost dentro le quali c’è di tutto (persino peli di topo). Dall’inizio dell’anno solo nel porto di Ancona la GdF ha rinvenuto 9 tonnellate di bionde: stesso discorso a Venezia, Ancona, Gioia Tauro, Brindisi, Bari, Genova, Napoli, Cagliari e Taranto. Nel 2012 sono state sequestrate quasi 300 tonnellate di tabacchi lavorati esteri: il 20% circa è contraffatto, il restante 80% sono cheap white , cioè sigarette prodotte in Russia, Emirati Arabi Uniti ed Ucraina ma fuori mercato in Europa per i rigidi parametri Ue. Per ora i fumatori di contrabbando sono il 4% del totale per 2,8 miliardi di sigarette ma con la stretta la percentuale aumenterebbe vertiginosamente.
Poi c’è il dibattito sul divieto di fumo all’aperto: già oggi in alcuni luoghi come l’Ieo di Umberto Veronesi a Milano è possibile fumare solo fuori dalla struttura. In molte città è vietato il fumo nei parchi e sono tantissimi ormai gli stadi no smoking anche se secondo un parere di costituzionalità dello studio Caravita di Torino vietare il fumo all’aperto sarebbe «incostituzionale» perché violerebbe la libertà personale dei fumatori. Non bastano leggi restrittive e pacchetti poco cool. Chi vuole fumare continuerà farlo, sfruttando circuiti illegali a scapito di salute e conti pubblici. Come ha scritto la III sezione della Corte d’appello del tribunale civile di Roma «il fumatore sceglie liberamente di fumare nella consapevolezza dei pericoli che corre, compreso quello dell’assuefazione e della dipendenza», il proibizionismo non è mai servito a nulla. «Quando si vieta un consumo, in realtà lo si incentiva», dicono i radicali. Difficile dar loro torto.