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 2013  luglio 23 Martedì calendario

L’ITALIA IN CRISI SI IMPASTICCA PSICOFARMACI ANCHE AI BIMBI

Se si analizzano le diverse teorie internazionali su co­me la recessione influen­za le abitudini degli abitanti di un Paese in crisi, si rischia di per­dersi in un mara­sma totale. Si finisce per soffocare, fra teorie di eco­nomisti e manua­li pieni zeppi di profezie più o me­no referenziate, ma senza dubbio soggettive. Un da­to però è certo: l’Italia è sempre più dipendente dagli psicofarma­ci e l’età media dei pazienti che fanno uso di que­ste medicine si sta allargando sempre più, inve­stendo con pre­potenza la fascia degli under 25. Il Censis conferma che negli ultimi sei anni il consu­mo di psicofar­maci nel nostro Paese è aumen­tato del 16,2%.
Secondo uno studio della Lon­don School of Economics and Political Science pubblicato dal Daily Mail, in tutta Europa, ma specialmente in Italia e in Islan­da è aumentato a dismisura il consumo di antidepressivi. Non siamo ai livelli dell’Islanda, dove il 9%della popolazione del­l’i­sola ingerisce almeno una pa­stiglia al giorno, ma è la crescita costante nei consumi ad allar­mare particolarmente. Il Prozac risulta salito in tutta Europa del­l’incredibile percentuale del 20% ogni anno tra il 1995 e il 2009. In particolare nel nostro Paese gli antidepressivi risulta­no al primo posto tra i farmaci a prescrizione per il sistema nervoso centrale (Snc).
E secondo l’Aifa (l’agenzia ita­liana del farmaco) gli psicofarmaci sono diventati addirittura il quarto gruppo di farmaci più acquistati dagli italiani (78,7 do­si giornaliere ogni 1000 abitan­ti) e il quinto gruppo per spesa pubblica sul totale dei farmaci prescritti. Sarà difficile superare le pillole per il cuore, che sono quelle più consumate (469,6 do­si giornaliere ogni 1.000 abitan­ti), ma è complicato prevedere di quanto aumenteranno preci­samente le prescrizioni mediche di antidepressivi. In com­penso è assodato che il consu­mo di psicofarmaci da parte del­le donne italiane è pressoché doppio rispetto a quello degli uo­mini e che le regio­ni italiane do­ve la prescrizione di antidepres­sivi è più diffusa sono ormai da diversi anni Toscana e Liguria, mentre quelle dove se ne prescri­vono meno sono Campania, Ba­silicata e Puglia. In fondo siamo nei Piigs (Por­togallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) ossia «maiali» in ingle­se, ma con una i di troppo, que­gli Stati ritenuti più deboli eco­nomicamente e che rischiano di uscire dalla zona euro. In po­che parole facciamo parte di quegli Stati dove si dovrebbe vi­vere peggio. Noi rispondiamo con l’aumento degli antidepres­sivi, mentre i nostri «compagni di reparto» si trovano di fronte a problemi diversi e nella mag­gior parte dei casi ancor più gros­si. In Portogallo la crisi fa aumen­tare gli omicidi, tanto da dedica­re al tema l’intera prima pagina del quotidiano portoghese Jor­nal de Notìcias, il più letto dopo Correio da Manhã (edizione del 16 luglio). In Grecia negli ultimi due anni si è registrato un dram­matico aumento delle morti per suicidio e omicidio, in Spagna sono aumentati a dismisura i fur­ti (secondo l’Economist la Spa­gna è al secondo posto nel mon­do come numero di furti, 1.188 ogni 100mila abitanti. Solo in Belgio ne avvengono di più: il re­cord belga è di addirittura 1.762 furti ogni 100mila abitanti). L’Ir­la­nda nell’ultimo periodo ha re­gistrato il quarto più alto tasso di suicidi d’Europa fra i giovani. Noi rispondiamo con una diffu­si­one costante degli psicofarma­ci.
D’altronde per noi italiani è un fatto culturale guardare agli Stati Uniti ed esclamare: «Fra dieci anni noi saremo così!». In effetti se l’avessimo fatto nel 2003 sul tema antidepressivi, ci avremmo preso in pieno! E una recente inchiesta del New York Times conferma l’inarrestabile marcia americana di antide­pressivi, così come l’aumento delle prescrizioni di Ritalin per i bambini affetti da Adhd (deficit di attenzione). È incredibile pen­sare che il Ritalin, un’autentica anfetamina legalizzata disponi­bile da poco anche in Italia, sia la pastiglia giornaliera per milioni di bambini americani e per il 20% degli universitari america­ni. Se diamo credito alla teoria dei dieci anni, fra dieci anni gli universitari italiani li chiamere­mo «generazione anfetamina»?