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 2013  luglio 24 Mercoledì calendario

«QUANDO DIRIGO MI TREMANO ANCORA LE MANI»

Ottantaquattro anni. Cin­quecento colonne sonore. Set­tanta milioni di dischi venduti. Un Oscar e un Leone d’oro alla carriera. Una notorietà planeta­ria. Cos’ha ancora da dimostra­re Ennio Morricone? Eppure c’è un momento - uno solo - in cui uno dei più celebri musici­sti italiani al mondo si sente quasi un debuttante. Quando sale su un podio, alza la bacchet­ta, dà l’attacco all’orchestra…e gli tremano le mani.
Possibile? E le tremeranno anche giovedì sera, alle Ter­me di Caracalla in Roma, per il concerto dedicato alle sue musiche da film?
«Quando sono lassù io mi pre­occupo ogni volta. Posso avere anche centomila persone, alle spalle: non me ne accorgo. Sono troppo concentrato, sono solo. Solo fino agli applausi conclusi­vi. Allora tutto si scioglie. Il mira­colo s’è ripetuto un’altra volta. E posso passare anch’io dalla par­te del pubblico».
Guai fare un’intervista ad Ennio Morricone e citargli gli «spaghetti western».
«Guai. A chi mi chiede di parla­re di “western all’italiana” rispon­do che parleremo un’altra volta. Odio quel termine: lo trovo ridut­tivo, superficiale, provinciale. I film di Sergio Leone sono dei ca­polavori. E basta».
Ma è vero che da bambini eravate stati a scuola assie­me, e che lo scopriste solo quando vi ritrovaste, trent’anni dopo, per la colon­na sonora di Per un pugno di dollari?
«Appena entrato la prima vol­ta a casa mia - era il 1963 - glielo dissi. Non ci credeva. Allora gli mostrai la foto della terza ele­mentare. C’eravamo tutti e due. Nacque subito un feeling. Anche se, quando canticchiava per fa­mi capire cosa voleva, stonava maledettamente. Faceva “ti, ti, ti”…e io non ci capivo nulla».
Fu proprio con le pellicole di Leone che lei applicò - primo al mondo - la teoria che ogni suono può essere musica da film.
«Certo: quand’è il caso. Così nei western di Sergio misi lo scac­ciapensieri siciliano o il “marran­zano” asiatico; ma anche colpi di frusta, di martello, di campane. E poi la voce umana, ma usata co­me uno strumento. Voce che can­ta, che fischia, che si schiarisce la gola, che schiocca la lingua… In una partitura dedicata all’inver­no misi perfino dei colpi di tos­se».
Forse perchè - cito sempre lei - «la musica ha solo sette note. E ormai quasi tutte le combinazioni possibili, fra queste sette note, sono state realizzate»? Vuol dire che non avremo altri Mozart?
«No. Vuol dire che essere origi­nali diventa sempre più difficile. Certo: si possono usare diversa­mente le stesse combinazioni. Ma bisogna saperlo fare. Ecco perchè nei casi di plagio (ad esempio quando Al Bano accusò Michael Jackson di avergli copia­to una canzone) la malafede sal­ta subito agli occhi. Cioè: alle orecchie».
A quale fra questi colleghi in­vidia la sua più celebre colonna sonora? Vaxman per Via col vento, Bernstein per I magnifici sette, Hermann per Psycho, Rota per 8 e mezzo, Williams per Guerre stellari.
«A nessuno. Ma quello che am­miro incondizionatamente è l’Hermann di Psycho. Compone­va e orchestrava tutto da sé. Il pubblico non lo sa: ma molti au­tori di colonne sonore­ - anche fa­mosi - non fanno tutto da soli». E Nino Rota? Gli si rimprove­rava di riutilizzare la stessa musica per film diversi. Lo fe­ce anche col tema di Fortu­nella , che divenne poi quel­lo del Padrino . «Il genio di Rota sapeva dare al­la stes­sa musica caratteri radical­mente diversi. Piuttosto c’è da di­re che il Rota di Fellini non è il Ro­ta più grande. Lui dava a Fellini - che era dotato di una cultura musicale modesta - quel che Fel­lini voleva. Solo una volta Federi­co non potè insegnargli nulla. Nel Casanova. E difatti è lì che Ro­ta è il vero Rota».
C’era un tempo in cui Ennio Morricone, allievo di Goffre­do Petrassi, autore di brani sinfonici, corali e da came­ra, quasi doveva vergognar­si di essere «anche» un com­positore di musica da film.
«Quello snobismo culturale non è ancora finito. Tutta colpa di Croce: secondo lui, per essere grande, la musica non può servi­re altre arti. Mentre invece io pen­so che, quando fra cento, duecen­to anni, vorranno capire com’eravamo, è proprio grazie alla musi­ca da film, che lo scopriranno».