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 2013  luglio 26 Venerdì calendario

SILVIO RIMEMBRI ANCOR CHI TI FREGO’ LO «ZIBALDONE»

Ha ragione Pietro Ci­tati, scrivendo, ieri sul Corriere della Sera, che «mancava al­la cultura di ogni paese una fi­gura essenziale: Leopardi». Mancava soprattutto lo Zibal­done in lingua inglese, un’ope­ra fondamentale del pensiero occidentale che adesso, dopo cinque anni di duro lavoro, esce finalmente negli Stati Uni­ti e in Inghilterra. Citati i nomi di chi ha reso possibile un simi­le progetto li cita uno per uno: il professor Franco D’Intino, Michel Caesar, il Centro Studi Leopardiani, il ministero degli Esteri, l’editore americano Far­rar, Straus and Giroux. Che in­sieme sono una massa di ipo­criti, salvo Citati, forse solo di­sinformato, perché la vera sto­ria è un’altra, talmente emble­matica del malcostume italia­no che Leopardi l’avrebbe cita­ta come modello negativo nel suo discorso sui costumi degli italiani.
Ve la racconto io, anche per­ché c’entro in prima persona. A maggio 2007 fui contattato proprio dal professor Franco D’Intino, stava portando avan­ti la traduzione dello Zibaldone e aveva bisogno di soldi. Gli chiesi quanti soldi, rispose cen­tomila euro. Non glieli dava né il ministero degli Esteri, né il Centro Studi Leopardiani, e quest’ultimo anzi, aveva pres­soché bloccato tutto il lavoro. Non glieli dava neppure la Far­rar, Straus and Giroux, anzi Jo­nathan Galassi pretendeva non solo che fosse pagata la tra­duzione ma perfino le spese di stampa. Stavano andando avanti con le collette online, spiccioli. A quest’ora sarebbe­ro ancora a pagina dieci.
All’epoca facevo solo lo scrit­tore, e non scrivevo in esclusiva su nessun giornale, però mi venne un’idea e la proposi a D’Intino: perché non faccia­mo una campagna per chiede­re a un imprenditore, un De Be­nedetti, un Montezemolo, un Armani, di finanziare proprio questa colossale impresa di prestigio culturale internazio­nale? Girai l’idea all’Espresso, dal quale proprio in quei giorni avevo ricevuto una proposta di collaborazione. Ma dopo settimane di riunioni risposero no, per Daniela Hamaui non era «abbastanza pop», testuali pa­role. D’Intino sempre più de­presso, io gli dissi di non perde­re le speranze, qualcosa mi sa­rei inventato.
Quindi provai con Libero, di­retto da Vittorio Feltri, parlandone con il capocultura Ales­sandro Gnocchi, e mi dettero subito carta bianca: fai quan­ti pezzi vuoi, è una cosa trop­po importante, se vuoi an­diamo avanti anche per un mese. Alla faccia della destra ignorante, pensai.
Tra parentesi nacque in quel momento la mia collaborazione in esclusiva con Libero e poi con il Giornale, con la stes­sa carta bianca.
Non fu una campagna lunga, durò appena un appello, in cui esposi la situazione. Non pas­sarono due giorni e con mia grande sorpresa mi telefonò Gianni Letta, e non da Palazzo Chigi bensì da Recanati, dove era andato per verificare il pro­getto. Mi informò che Silvio Berlusconi era intenzionato a finanziare la traduzione dello Zibaldone, senza se e senza ma. «Quanti soldi servono?». «Centomila euro». «Bene».
Trascorsero altri tre gior­ni e Letta mi richia­mò, chiedendomi su quale conto dovesse far pervenire il bo­nifico di Berlu­sconi, e al contem­po D’Intino mi pregò di non mandare il denaro al Centro Studi Recanati, sareb­be finito chissà dove. Detti quindi a Letta il numero di con­to del Leopardi Centre, racco­mandandomi di tenere fuori il Centro Studi di Recanati, e do­po u­na settimana arrivò il boni­fico di Silvio Berlusconi a D’In­tino, i centomila euro richiesti. Tutto l’italico, vomitevole schifo ha inizio da quel mo­mento. Neppure il tempo di fe­steggiare e D’Intino mi telefo­nò in lacrime: il Centro Studi Recanati, e perfino l’Universi­tà La Sapienza, lo stavano iso­lando perché aveva accettato i soldi di Berlusconi. Obiettai che era assurdo, ma lui conti­nuava a frignare, la sua carrie­ra rischiava di finire. Addirittu­ra? Allora, a malincuore per Le­opardi, gli consigliai di non prenderli. Invece i soldi se li tenne, e l’équipe si mise al lavo­ro. Tuttavia il nome di Berlu­sconi continuò a non compari­re nel sito del Leopardi Cen­tre, neppure a distanza di an­ni, solo una vaga dicitura: fi­nanziamenti privati. Richia­mai D’Intino per avere spie­gazioni. Per mio principio, Berlusconi aveva finanziato a fondo perduto e senza nes­suna richiesta o clausola, gli bastava andassero avanti. La risposta di D’Intino fu surrea­le: avevano perso la pas­sword. Sebbene il sito conti­nuasse a essere aggiornato.
Ora finalmente esce lo Zibal­done, e salta fuori che proprio chi ha ostacolato l’impresa se ne prende il merito e viene cita­to da Citati. Il sottoscritto, tra l’altro, non è stato neppure in­formato della pubblicazione, immagino neppure Berlusco­ni. Non essendo Giacomo un’olgettina non interessa a nessuno, non sarà abbastanza pop. Anzi, le olgettine sono un modello etico di gratitudine e lealtà in un’Italia di ingrati approfittatori. Di certo se Leopardi fos­se vivo spute­rebbe in faccia a tutti.