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 2013  luglio 26 Venerdì calendario

CONTRORDINE, ANDARE A STUDIARE FUORI D’ITALIA NON È SEMPRE UN BUON AFFARE


Prendere armi e bagagli a 18 anni e sperimentare l’avventura di vivere e studiare in un altro Paese: sempre più adolescenti italiani sognano di iscriversi a un’università straniera. Complici le notizie di facilissimo reperimento via internet, il fatto che alcune facoltà in Italia sono a numero chiuso (come Medicina) ma anche l’idea generale (e incombente) che gli atenei stranieri siano migliori.
D’altronde le cosiddette «agenzie di rating» sulle università, tra cui il temuto indice Qs (Quacquarelli-Symonds), non sono tenere con le nostre università. Ci siamo, ma fatichiamo, schiacciati sia dai Paesi emergenti sia da antiche e solidissime istituzioni europee come Cambridge (che nel Qs è sempre o prima o seconda) o come la Scuola federale svizzera di tecnologia. E anche la storica École Normale Supérieure di Parigi nel Qs è in una dignitosa 34ª posizione. Zurigo e Parigi: a un tiro di schioppo da casa. L’Italia arriva molto dopo, al numero 194, dove si piazza l’Università di Bologna.
Insomma, si può ben capire che un ragazzo con un minimo di informazioni coltivi il sogno nel cassetto di espatriare, unendosi all’esercito dei 42 mila studenti italiani che l’hanno già fatto, sicuro che una laurea di un Paese «d’eccellenza» pesi più di una presa in patria.
Ma lasciare l’Italia conviene davvero? Uno studio del portale www.universitieseurope.net, nato per offrire informazioni e assistenza agli studenti che vogliono formarsi in Europa, ha da pochi giorni pubblicato una classifica delle università più convenienti d’Europa «misurando», in particolare, le facoltà di Economia e Architettura. L’algoritmo utilizzato da Universities Europe per creare l’Ue Ranking incrocia i dati dell’indice internazionale Qs (che misura la qualità dell’insegnamento degli atenei confrontandoli per aree omogenee) con quelli del costo annuale delle facoltà.
Gli atenei italiani, zavorrati come sono dalle valutazioni del Quacquarelli-Symonds, non possono sperare di essere tra i primi. Però non andiamo poi tanto male. Si vuole studiare Economia a Cambridge? Anche se l’ateneo inglese si colloca al primo posto per il rapporto qualità/prezzo, il costo resta pur sempre di quasi 24.800 euro l’anno. Studiare Architettura ne costa invece 22 mila. Un bell’investimento. E poco serve consolarsi con l’idea che Oltremanica vige il «prestito d’onore»: prima o poi toccherà restituirli.
Veniamo invece alla bistrattata Italia: la prima delle nostre università, anche nello Ue Ranking, è l’Alma Mater Studiorum (20ª in Europa per quanto riguarda Architettura e 45ª per Economia), ma a Bologna il costo massimo è 1.814 euro l’anno per seguire Economia e 2.029 per frequentare Architettura. Segue La Sapienza di Roma, 25ª in Europa per Architettura e 49ª per Economia, con un costo massimo di 2.274 euro per la prima e di 2.102 per la seconda.
Certo, in alternativa, ci si può sempre trasferire in Norvegia, Svezia o Danimarca, dove le tasse universitarie non esistono, bisogna ricordarsi però che lì persino prendere un caffè potrebbe risultare dispendioso.
In molti, poi, consigliano di guardare al ranking con cautela. La European Universities Association, che riunisce 800 università, ha prodotto due studi molto critici. Tra i limiti delle classifiche evidenziati, il fatto che le metodologie utilizzate per stilarle tendono (anche nel caso del Qs) a privilegiare le facoltà scientifiche e l’insegnamento in lingua inglese.
Quindi è meglio o no rinunciare all’estero? Calma: l’internazionalizzazione del percorso di studi è fondamentale. Ma, per garantirsela, non occorre espatriare «a prescindere». Soprattutto nei primi anni e con il rischio di mandare la famiglia sul lastrico.
Ecco i consigli del professor Luciano Saso, delegato del rettore per la Mobilità internazionale alla Sapienza di Roma: «Una laurea triennale all’estero non mi sembra una scelta necessaria, visto che le facoltà italiane sono spesso ottime. Piuttosto lo studente italiano deve imparare a utilizzare la “circolarità” del nuovo sistema universitario. Anche perché i livelli di studio sono stati equiparati in tutta Europa e oggi è molto più facile che in passato laurearsi in Italia e avviare una laurea magistrale all’estero o in un altro ateneo italiano. Senza contare i vari programmi, come l’Erasmus, che permettono di passare un periodo all’estero ed esistono per tutti i livelli di studio».
Insomma, più internazionalizzazione e meno esterofilia.