Orazio Carabini, l’Espresso 26/7/2013, 26 luglio 2013
CI SALVERA’ UNA GARANZIA
Quando, il 16 luglio scorso, i banchieri sono usciti dal ministero del Tesoro dopo l’incontro con il ministro Fabrizio Saccomanni e con il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, si sono detti: «Vogliono trasformare il sistema finanziario italiano, e va bene. Ma il problema del credito bisogna affrontarlo oggi, subito: l’unica mossa che può portare benefici concreti è un aumento delle garanzie pubbliche». Una mossa che, per quanto meno "moderna", Saccomanni e Rossi avevano incluso nell’armamentario di minibond, credit fund, cartolarizzazioni e private equity immaginato per riavviare il circuito del credito. E dare così un po’ di ossigeno al sistema delle imprese, gran parte delle quali faticano a farsi finanziare dalle banche.
I dati parlano chiaro. I prestiti alle imprese diminuiscono a un ritmo del 4 per cento annuo. Un po’ perché le aziende non li chiedono ma soprattutto perché continua a crescere l’ammontare dei soldi che non vengono restituiti alle banche e che si trasformano in "crediti in sofferenza": 135,7 miliardi di euro in maggio, quelle lorde, con un aumento annuo del 22,4 per cento e un’incidenza sugli impieghi che ha raggiunto il 6,9 per cento. Se alle sofferenze si aggiungono gli "incagli" e i "prestiti ristrutturati", si arriva a 237 miliardi (dati di fine 2012). Di fronte a questa esplosione, i banchieri reagiscono selezionando con più attenzione i soggetti cui erogano i finanziamenti: quelli più deboli ne fanno le spese. E il credit crunch (restrizione o rarefazione del credito) contribuisce così ad aggravare una recessione di per sé durissima.
Già, perché le imprese italiane dipendono dal credito bancario come in nessun altro paese avanzato: due terzi dei loro debiti sono verso le banche contro la metà della Germania, un terzo in Francia, Gran Bretagna e Usa. Gli imprenditori ci mettono sempre meno capitale di rischio, la borsa si sta lentamente prosciugando, i fondi chiusi sono in fuga sia per gli effetti della recessione sia per le difficoltà operative, soprattutto fiscali. Insomma dal mercato dei capitali le società italiane attingono relativamente poco. E sono abituate a ricorrere ai prestiti delle banche. Che adesso però stentano ad arrivare. «Le aziende sono in uno stato di asfissia - spiega un banchiere che ha partecipato all’incontro – perché i consumi non tirano e perché non riescono a riscuotere i crediti, dalla Pubblica amministrazione come dagli altri privati. Se riusciamo a capire quali sono in grado di sopravvivere, possiamo aiutarle a riprendersi. Ma con i vincoli che hanno le banche serve una spinta che può venire solo dalle garanzie pubbliche».
Un passo, timido timido, in questa direzione il governo lo ha già fatto con il "decreto del fare", inserendo tra le misure di sostegno alla crescita l’aumento della dotazione del Fondo centrale di garanzia (Fcg), gestito dal Mediocredito centrale (gruppo Poste italiane): con 200 milioni di dotazione sono state attivate garanzie per 2 miliardi. La partita vera, però, deve ancora cominciare. Ed è una partita grossa. Ma quanti soldi servirebbero per ottenere effetti tangibili sull’economia? I conti li hanno fatti l’amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni (vedere l’intervista a "l’Espresso" n. 27) e il direttore generale Roberto Nicastro in un’audizione parlamentare: 50-70 miliardi di euro da stanziare in due-tre anni. Con quei fondi il credito potrebbe aumentare molto di più. Intanto perché sarebbero cogaranzie e quindi le banche continuerebbero a sopportare la metà del rischio. E poi perché non tutte sono destinate a essere escusse, cioè a essere utilizzate per compensare l’incapacità delle imprese di restituire i soldi. Dice Nicastro: «Basterebbe che lo Stato prevedesse di spesare in qualche anno 4 o 5 miliardi per attivare circa 50 miliardi di garanzie e di conseguenza circa 100 miliardi di nuovi crediti. Questo importo è abbastanza alto da poter fare la differenza e potrebbe essere impiegato in molteplici direzioni. Il meccanismo sarebbe ancor più efficace se gli imprenditori contribuissero a fare nuova finanza immettendo capitale, anche sotto forma di immobili». Secondo Nicastro, la garanzia pubblica non deve coprire una quota troppo grande del prestito per evitare l’azzardo morale: se banche e imprese sanno che, male che vada, interviene lo Stato a coprire, per esempio, l’80 per cento del credito, tendono a non curarsi del buon esito dell’operazione.
Al Fcg confermano che l’effetto leva, in un fondo rotativo, è formidabile e che con un euro di dotazione addizionale se ne possono attivare 19 di finanziamenti. E ancora il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nell’ultima Relazione annuale ha scritto: «Il Fcg, attivo da più di un decennio, ha rappresentato negli ultimi anni il principale strumento di agevolazione dell’accesso al credito delle piccole e medie imprese: tra il 2009 e il 2012 ha concesso garanzie per oltre 16 miliardi, attivando quasi 31 miliardi di finanziamenti». Quindi, il moltiplicatore garanzie-credito è pari a due: 50 miliardi di garanzie producono 100 miliardi di prestiti. Poiché si stima che le garanzie escusse siano il 9 per cento, la dotazione necessaria per attivare 100 miliardi di credito è 4-5 miliardi circa. «Il Fcg – spiega un autorevole banchiere – non dà garanzie solo sulla base della dotazione di cui dispone perché ovviamente non tutte le imprese che ne beneficiano sono destinate a fallire. Tuttavia in questa fase è piuttosto difficile stabilire quale sia il moltiplicatore. Resta il fatto che è l’unico strumento che si può utilizzare per tentare di rianimare il credito». In teoria l’operazione potrebbe essere anche a costo zero per le finanze pubbliche: se le imprese finanziate si rimettessero tutte in sesto e se arrivasse una bella ripresa, nessuna garanzia sarebbe escussa e lo Stato non spenderebbe nulla. Ma il rischio che lo Stato perda molti quattrini esiste: se la congiuntura continua a peggiorare e se banche e Fcg elargiscono in modo disinvolto, quel 9 per cento rimane un dato statistico, l’ammontare delle garanzie escusse aumenta e va ad aggravare i conti pubblici. Insomma, sarebbero i contribuenti a pagare almeno parte dei crediti non restituiti dalle imprese.
Un’altra complicazione potrebbe venire dalla Commissione europea che deve valutare se questo tipo di provvedimenti serve a mascherare degli aiuti di Stato e quindi distorce la concorrenza. Il 17 ottobre scorso la Commissione ha avviato un’indagine per verificare se le agevolazioni fiscali e previdenziali concesse alle imprese delle zone colpite da calamità naturali siano commisurate al danno subito, come prescrive la normativa comunitaria per evitare di incorrere nelle sanzioni previste per gli aiuti di Stato. Ma l’indagine potrebbe essere estesa agli altri schemi di aiuto. Come le garanzie gestite dalla Cdp che, sempre secondo le regole di Bruxelles, non dovrebbero essere gratuite e dovrebbero essere comunque commisurate al danno subito, anche se l’agevolazione passa attraverso le banche. Potrebbe sorgere un problema di aiuti di Stato anche per le garanzie anti-credit crunch? Negli uffici legali delle banche si tende a escluderlo sia perché l’agevolazione sarebbe rivolta a tutte le imprese sia perché in questa fase sarebbe politicamente difficile mettersi contro uno strumento come questo. E poi il Fcg esiste da anni e nessun ha mai avuto nulla da obiettare. In realtà il Fcg opera in apparente contrasto con le norme comunitarie. Innanzitutto perché non si fa pagare le garanzie concesse: chi ottiene la "protezione" dello Stato, spunta condizioni migliori sul finanziamento; pertanto il servizio andrebbe pagato. Eppure il Fcg non incassa, di fatto, commissioni perché tutti i beneficiari sono stati esentati. In secondo luogo, nessuno verifica se le banche fanno effettivamente uno sconto sulle condizioni praticate ai creditori che hanno ottenuto la garanzia dello Stato. In buona sostanza potrebbero pretendere lo stesso tasso su un finanziamento il cui rischio, per effetto della garanzia pubblica, è sceso a zero. In questo caso la garanzia sarebbe soltanto un regalo alle banche.
Ma il dado sembra ormai tratto: l’operazione garanzie sta per partire. «Siamo di fronte a un fallimento del mercato – ha detto Rossi ai banchieri – e non resta che potenziare i meccanismi di garanzie pubbliche in favore delle imprese».