Giovanni Caprara, Corriere della Sera 26/07/2013, 26 luglio 2013
L’ANNO DELLE NAVI NELL’ARTIDE. IL MITO DEL PASSAGGIO A NORD-EST
Quest’anno non sarà più una rarità scorgere una nave solcare il Mar Glaciale Artico navigando verso lo stretto di Bering, verso il mitico «passaggio a Nord-Est». Era un sogno che spingeva già nel 1553 il britannico Hugh Willoughby a tentare, senza successo, la traversata. Più fortunato fu l’esploratore svedese Adolf E. Nordenskjold che nel 1879 riuscì per la prima volta a completare l’opera giungendo in Giappone, però dopo essersi liberato dalla morsa dei ghiacci in cui era rimasto imprigionato per dieci mesi. In seguito con le navi rompighiaccio qualche viaggio si rese possibile ma tutto rimaneva circoscritto, in particolare, alla scienza e a poco d’altro.
Ora il progressivo impoverimento della coltre ghiacciata ha cambiato in modo rilevante la scena, sia per la navigazione commerciale che per le risorse nascoste nel grande nord. E quest’anno sarà da record perché gli amministratori della Northern Sea Route-Nrs (una volta conosciuta come North-East Passage) hanno autorizzato il transito di 204 navi; un vero balzo se si pensa che i permessi l’anno scorso erano stati soltanto 46 e nel 2010 appena quattro.
La situazione dei ghiacci artici continua ad essere preoccupante da un punto di vista ambientale perché anche nel 2013 la loro massima estensione, raggiunta il 15 marzo scorso, era arrivata a 15,13 milioni di chilometri quadrati, ponendosi nelle statistiche al sesto posto dei valori di ritirata. Negli ultimi dieci anni la copertura minima invernale si è raggiunta nel 2011 con 14,5 milioni di chilometri quadrati. L’anno scorso, inoltre, si è scesi al minor livello della stagione estiva quando il 14 settembre si è arrivati a 3,4 milioni di chilometri quadrati.
Tutto ciò apre possibilità nei collegamenti commerciali tra l’Atlantico e il Pacifico prima impossibili, con i vantaggi economici che è facile immaginare. Valentin Davydants della società russa Atomflot ha dichiarato al Financial Times che la facilità del passaggio a nord-est aumenterà i traffici di dieci volte entro il 2021 quando si prevede che le rotte siano aperte almeno per otto mesi all’anno. La Nrs russa aggiunge che per il 2030 sarà la Corea del Sud a pesare per il 24 per cento di tutte le attività di trasporto su queste rotte. Il vantaggio è dato dalla possibilità di evitare il passaggio più a sud del Canale di Suez. In gioco c’è un notevole risparmio di tempo che notoriamente si traduce in denaro.
Qualche esempio ben calcolato. Passando dallo stretto di Bering tra Siberia e Alaska, partendo da Rotterdam si arriva a Kobe, in Giappone, in 23 giorni invece di 33. Se il viaggio inizia dal porto russo di Murmansk occorrono 18 giorni al posto dei 37 di oggi. Un altro esempio riguarda i vantaggi nel trasferimento di materiali. L’anno scorso per la nuova via sono transitate tra l’Europa e l’Asia 1,26 tonnellate di petrolio e gas naturale liquefatto. Con la rilevante scomparsa dei ghiacci e i mari liberi, per il 2012 si stima che solo questo genere di trasporto salga a 21 milioni di tonnellate.
Numerose nazioni si stanno muovendo per entrare nella nuova partita. L’Islanda progetta la costruzione di un porto artico a Finna Fjord che sarebbe coordinato dal porto tedesco di Brema e questo perché la località ora si prospetta libera dai ghiacci per tutto l’arco dell’anno, quindi utilizzabile a tempo pieno. Dall’altra parte del pianeta gli interessi sono già stati manifestati dalla Cina, da Singapore e, appunto, dalla Corea del Sud. C’è tuttavia qualche parere più discreto. «Certamente il traffico si accentuerà — afferma Sturla Henriksen, direttore degli armatori svedesi — ma nei prossimi anni le potenzialità commerciali resteranno ancora limitate».
Ai traffici si aggiunge lo sfruttamento delle risorse energetiche (30 per cento del gas e 15 per cento del petrolio ancora non scoperti).
Però lo scioglimento dei ghiacci capace di materializzare simili prospettive è frutto di un cambiamento ambientale definito, per i danni causati (dal cambio delle correnti marine alle emissioni di metano dal permafrost siberiano), una «bomba economica a orologeria». Secondo uno studio delle Università di Cambridge e Rotterdam pubblicato dalla rivista Nature ciò costerebbe al mondo intero 60 mila miliardi di dollari. Non sarà facile trovare un equilibrio tra la difesa della Terra e gli interessi commerciali. Ma questo, oggi, è il problema da risolvere.
Giovanni Caprara