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 2013  luglio 26 Venerdì calendario

«NOI, ASIATICI D’ITALIA, NON TEMIAMO LA CRISI»

Da cameriere e comparsa di Cinecittà a imprenditore impegnato in politica per rappresentare a Roma la propria comunità. La storia di successo di Romulo Salvador, filippino ar­rivato in Italia nel 1984, non è la sola tra le comunità asiatiche nel Belpaese, meta privilegiata di an­tichi e recenti flussi migratori, che nell’ultimo ventennio è decupli­cata. Tanto che la presenza di a­siatici oggi sfiora il milione di per­sone (circa un quarto del totale dei soggiornanti non comunitari) con 500 mila lavoratori che - pur con un calo nel 2012 causato dal­la crisi - hanno inviato nel conti­nente di origine rimesse per quat­tro miliardi di euro, la metà di quelle uscite dai nostri confini. Dopo Regno Unito e Germania, l’Italia è il terzo paese per immi­grazione asiatica in Europa. Lo ri­velano i dati presentati ieri e trat­ti dal primo numero della nuova serie della rivista “Affari Sociali Internazionali” - edita e curata dal Centro Studi Idos e promos­sa da Moneygram - in una mo­nografia dedicata all’immigra­zione asiatica in Italia. Secondo la rivista, i sei paesi dell’Asia più rappresentati sono Cina, Filippi­ne, India, Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan. Cina e Filippine rap­presentano, rispettivamente, il 30 e il 16% dei soggiornanti dell’Asia in Italia mentre il 15% viene del­l’India.
La presenza femminile comples­siva è quasi pari a quella maschi­le. Se la percentuale di donne re­sta sotto il 40% tra bangladesi, pakistani e indiani, queste eser­citano, però, un peso e un ruolo paritario tra i srilankesi e i cinesi e sono in maggioranza tra i filip­pini (58%). «Sono comunità relativamente al riparo – spiega Franco Pittau, tra gli estensori della monografia – dagli effetti della crisi, soprattut­to i lavoratori del comparto a­groalimentare, in larga maggio­ranza indiani, e quelli del settore della collaborazione domestica e familiare come filippini e sri­lankesi ». «La crisi, però, – precisa Romulo, laureato in psicologia, che dopo inizi duri ha fondato con la mo­glie la ditta di spedizioni verso le Filippine ’Sariling Atin’, che in tagalog significa far parte della comunità – ha ridotto orari, sala­ri e tutele anche nella nostra co­munità. Noi storicamente ci sia­mo integrati grazie soprattutto al cattolicesimo, ma ora vanno compiuti passi avanti come la cit­tadinanza a chi è nato qui e il di­ritto di voti». Romulo fa ancora l’attore per hobby ed è stato eletto consiglie­re aggiunto in Campidogli per rappresentare una comunità ri­servata, ma attiva che ieri sera ha manifestato pacificamente con­tro la volontà cinese di annetter­si le isole di Ayuhghin e Masinloc. Quanto alla scolarizzazione del­la seconda generazione, gli alun­ni asiatici iscritti nelle scuole ita­liane sono 120 mila, ma solo un decimo frequenta le università i­taliane.
Penalizzati dalla crisi appaiono invece i pakistani, concentrati nell’industria, soprattutto metal­meccanica e nell’edilizia. Spesso tendono a isolarsi, e una parte at­tiva nell’integrazione lo svolge il mensile ’Azad’, la libertà, diret­to da un giornalista e mediatore culturale nato e cresciuto a Laho­re, Ejaz Ahmad, venuto in Italia per sfuggire alla censura della vecchia dittatura militare.
«La mia comunità è molto flessi­bile, la crisi ha aumentato la ten­denza alla mobilità in Italia. Mol­ti comunque hanno deciso di ri­mandare in Pakistan moglie e fi­gli e di provare da soli a resistere alla crisi. E c’è chi, nonostante la carta di soggiorno, è andato in Germania a lavorare in nero nel­le fabbriche. Comunque è in au­mento il flusso di rifugiati, so­prattutto cristiani, sciiti e i pash­tun delle province del nord, con­trollate dagli integralisti».
Tra i problemi, c’è una certa ten­denza all’isolamento. «Spesso è una questione cultura­le. Su Azad scriviamo articoli che spiegano che qui è lecito servire alcolici nei bar e spieghiamo qua­li sono i diritti delle donne. Cre­do, però, che occorrano due stru­menti. Il primo è la cittadinanza ai giovani nati qui, il secondo la possibilità di costruire moschee per pregare in luoghi dignitosi».
Le comunità asiatiche, grazie an­che alla vocazione imprendito­riale, scommettono ancora sull’I­talia che hanno scoperto in mas­sa negli anni 90 e che ora voglio­no contribuire a far ripartire.