Franca Giansoldati, Il Messaggero 26/7/2013, 26 luglio 2013
BABILONIA, LA FAVELA DOVE SI ENTRA SOLO COL PERMESSO DEL BOSS
Le voci di tanti piccoli Pelè che giocano con una energia contagiosa in una specie di palestra tutta scrostata, chiusa con un pallet di legno, di quelli che si usano normalmente nei cantieri edili, sono le prime cose che investono chi si arrampica per la viuzza tortuosa della favela di Babilonia. Ancora oggi è meglio entrare col placet del boss locale che vigila attento sul «suo» territorio, anche se in questo caso si tratta di una favela parzialmente bonificata dal conflitto tra i trafficanti di pedra, la droga.
Ci si arriva attraverso una salita ripidissima e stretta, il Morro, costeggiato da ambo i lati da costruzioni difformi, cresciute come funghi senza una precisa ratio, ma per necessità, in questi ultimi trent’anni. Col tempo però si capisce che le case originarie si sono ulteriormente evolute mescolandosi ancora di più tra loro; una accozzaglia di colori e stili che ha dato vita ad un borgo sgangherato miracolosamente aggrappato ad uno dei costoni delle montagne che circondano Rio e da cui si gode una vista mozzafiato sul golfo. Lì vivono come possono seimila persone, ma forse potrebbero essere anche di più, perché non esiste un censimento preciso, in grado di conteggiare gli abitanti. Babilonia, il nome dice tutto. Nel 1997 uscì un film «Tropa de Elite», gli squadroni della morte, ambientato proprio tra questi appartamenti così affastellati da rendere difficile la comprensione dei limiti tra una casa e l’altra. Babilonia è un po’ il paradigma di questo Paese, gigante dalle immense risorse, cresciuto troppo in fretta, con tassi di investimento altissimi ma persistenti sacche di povertà estrema che, come le braci sotto la cenere, covano. Le scintille si muovono sotto traccia talmente veloci e spontanee da essere capaci di rovesciare la situazione. Il Brasile rischia di trasformarsi in una polveriera. Possiede un tasso di crescita come i Paesi dell’Unione Europea (0,9 per cento nel 2012) ma una inflazione piuttosto alta (6,5 per cento), e questi due dati economici assieme spiegano perché lievitano le proteste. A manifestare contro il governo non ci sono più solo i poveri o gli indignados legati ai partiti della sinistra radicale, ma anche la classe media. Il salario minimo previsto, dal 2002 è aumentato del 700 per cento, favorendo inflazione e non il potere d’acquisto, inoltre le tasse per le imprese sono rimaste alte. Il partito di Dilma non è riuscito a porre rimedio alla questione della competitività che rispetto agli altri Paesi confinanti resta prominente. E così, nonostante i progressi nella lotta alla povertà, nessuno riesce ancora trovare soluzione ai 36 milioni di brasiliani che vivono in una miseria nera. E la prospettiva negativa è fonte di rabbia.
In tutte le favelas, anche in quella di Babilonia, dove si spera che i soldi per il progetto Rio+20 non vengano meno. Da un paio d’anni questo quartiere molto povero e degradato è sottoposto ad interventi di riqualificazione da parte del governo che sta cercando di farlo entrare progressivamente nel tessuto «normale» della città. Il fatto che la Upp, la polizia ora possa entrare a Babilonia per pacificare, non significa che la criminalità sia sparita, anzi, i boss locali restano a controllare da vicino il processo di urbanizzazione in corso e una speculazione edilizia che avanza di pari passo. Un appartamentino sbilenco da queste parti costa tanto quanto 70 metri quadri in un quartiere italiano di lusso, tutto merito della posizione di queste casupole con vista mare, sul golfo di Copacabana. Tutti sanno che prima o poi Babilonia potrebbe fare il salto ed essere trasformata in uno dei tanti quartieri bene, sempre che la corsa del Brasile non si fermi prima, ma intanto i prezzi degli immobili corrono. Su per il Morro, e nelle viuzze attorno, sono molti i cantieri aperti. Babilonia è una delle favelas scelte dal governo per essere incapsulata nei progetti di sostenibilità di Rio+20. E così la zona è stata provvista di molte cose, sono stati utilizzati materiali eco compatibili, persino un nuovo sistema di compostaggio. Una realtà viva dove sopravvivono, bottegucce, piccoli laboratori, qualche bar. Qui e là si intravedono anche le insegne di chiese evangeliche e pentecostali, realtà molto ascoltate tra le fasce più basse della popolazione che erodono fedeli ai cattolici. Anche in questo aspetto il Brasile sta mutando pelle, non è più lo zoccolo del cattolicesimo. Nell’arco di trent’anni il crollo è stato evidente, quasi di trenta punti in percentuale in meno e, in più, gli atei dichiarati avanzano. Anche per il cattolicesimo il futuro non è scontato.