Elisabetta Gualmini, La Stampa 26/7/2013, 26 luglio 2013
TASSE, L’ORA DELLE STRETTE INTESE
Così lontani. Così vicini. Succede che nelle larghe intese la distanza tra i partiti si riduca sino ad azzerarsi. I due che si combattevano con la fionda diventano compagni di banco o amici di penna, e non si capisce più chi stia parlando.
Se esponenti del Pd o del Pdl. D’altro canto la teoria delle coalizioni ci racconta proprio questo: le alleanze funzionano se la prossimità di policy tra i partiti è massima e se si sbarazza il campo dalle questioni che dividono. Così il viceministro Fassina, certo con toni diversi e molti distinguo, ha detto quello che il popolo di Berlusconi (leader compreso) sostiene da sempre, in stretta compagnia con le camicie verdi di Bossi e i nuovi barbari di Maroni. Non tutti gli evasori sono vip, c’è evasione ed evasione. Il piccolo artigiano e il piccolo imprenditore spesso evadono per sopravvivere. O per disperazione.
Il Pd di governo ci ha abituato del resto a ben altre dichiarazioni di realismo politico (tra cui quella indigeribile che scarica sulla macchina burocratica ogni responsabilità sul drammatico caso kazako). Ed è vero che il Fassina di opposizione aveva già detto qualcosa di simile. Anche se non sempre in modo lineare. Nel marzo del 2009 distingueva su l’Unità tra «chi è “costretto” ad evadere per comperare i libri di scuola ai figli», che però «sottrae al bilancio pubblico qualche centinaio di euro», e «gli altri, la stragrande maggioranza, con barca, Suv, villa al mare e in montagna, viaggi esotici, [che] sottraggono alla collettività decine o centinaia di migliaia di euro. I primi evadono e consumano i secondi evadono e accumulano». Altrove l’evasione «onesta» viene considerata da Fassina con meno benevolenza, «in quanto finalizzata alla sopravvivenza di imprese strutturalmente inefficienti per dimensioni, tecnologie, specializzazioni produttive». E due anni prima aveva duramente criticato «Il Cavaliere dell’evasione» (L’unità del 27/06/2007) che in campagna elettorale a Lucca aveva invocato lo sciopero fiscale. Per censurarlo aveva copiaincollato una disamina già esposta in un pezzo dell’anno precedente («Un paese senza evasione», L’Unità del 18/08/2006) sulle cause del fenomeno: «escrescenza della fragile etica pubblica», «opaca politica redistributiva realizzata da forze politiche conservatrici», «ribellismo di fronte ai costi della politica», «compromesso al ribasso tra Stato e cittadini», «frutto di un apparato produttivo pulviscolare».
Ciò detto, le intenzioni retrostanti alle sue dichiarazioni di ieri non sono così scandalose. Una sinistra riformista deve parlare agli imprenditori e non solo ai lavoratori dipendenti, far la fatica di capire anche il loro punto di vista. E’ semmai la singolare svolta comunicativa del viceministro, già pupillo di Vincenzo Visco e Pierluigi Bersani, spesso collocato alla loro sinistra, a creare scompiglio e curiose inversioni delle parti. L’ex leader dei giovani imprenditori di Confindustria, Matteo Colaninno, speaker del partito sulle questioni economiche (di fatto il Fassina di Epifani), ha dovuto ricordargli che la «lealtà fiscale è civiltà». In una inedita alleanza con la leader della Cgil Camusso che ha parlato di grave errore politico. Con il rischio che la svolta, maldestramente effettuata il giorno dopo una dichiarazione di guerra del premier Letta all’evasione fiscale, diventi la premessa di una retromarcia.
Sarebbe invece proprio il caso di andare fino in fondo a quelle dichiarazioni, per fare un esame vero della situazione. L’economia sommersa costituisce in Italia - purtroppo - il più importante ammortizzatore sociale dopo la famiglia. Attutisce l’impatto della disoccupazione, allevia, malamente, le difficoltà di generazioni precarie e senza una prospettiva di futuro. Le politiche di emersione sinora introdotte (incentivi di ogni tipo per le imprese, contratti di riallineamento contro il lavoro irregolare, modifiche e ri-modifiche delle ispezioni sul lavoro) sono sempre stati palliativi di una patologia senza cure. Ma, soprattutto, i Fassina dovrebbero chiedersi cosa si può effettivamente fare per le imprese in ginocchio o per gli imprenditori che arrivano a togliersi la vita. Si scoprirebbe che la ricetta più efficace è una sola: una coraggiosa e forte riduzione della spesa pubblica per arrivare, finalmente, a diminuire le tasse. La strategia di Letta (di combattere l’evasione in outsourcing, sperando cioè che altri da fuori ci diano una mano, con una legislazione più rigida in Europa contro i paradisi fiscali dei furbetti) da sola non basta.