26 luglio 2013
PARLARE DI SESSO IN MEDIO ORIENTE
Come si fa a dimenticare un grande amore che ci ha spezzato il cuore? «Come si fa a non passare notti insonni, a non aspettare, a ignorare un telefono che resta muto una volta che l’amore è finito?». Alzi la mano colei che queste domande non se le è poste almeno una volta nella vita. La soluzione, sostiene la scrittrice algerina Ahlam Mosteghanemi, sta tutta in una parola: oblio. Ovvero, come recita il titolo del suo libro, L’arte del dimenticare: arte in larga parte sconosciuta alle donne, secondo l’autrice, perché gli uomini ci mettono pochissimo a lasciarsi alle spalle una storia finita mentre «la fedeltà delle donne verso il passato è patologica». Benvenuti nell’angolo della posta del cuore, o forse no. Perché se siete lettori delle rubriche dedicate ai cuori infranti, temi simili li avrete incontrati decine di volte: ma un’interlocutrice così no. Leggere Ahlam Mosteghanemi in Italia è una rarità, eppure nel mondo arabo da cui proviene è una superstar. Tradotta da Sonzogno, è la scrittrice di maggior successo della regione: il suo primo romanzo, La memoria del corpo ha venduto più di un milione di copie e vinto la prestigiosa Naguib Mahfouz Medal for Literature, la sua pagina Facebook ha oltre un milione di fan e alle fiere dei libri è letteralmente presa d’assalto dai lettori.
Ne L’arte di dimenticare ha deciso di mettere da parte il suo talento di romanziera e di dedicarsi invece ai consigli perché, come spiega lei stessa «ho passato la vita a salvare femmine rintronate da storie d’amore che risucchiano». Il risultato è un libro leggero, a metà strada fra i consigli materni e la letteratura self-help, a tratti anche noioso. Eppure importante: le parole di Mosteghanemi, pensate per il pubblico del mondo arabo, parlano alle donne di qualunque paese o latitudine. Lontane anni luce dall’immagine stereotipata della letteratura e delle scrittrici arabe che spesso si trova negli scaffali delle librerie — sulla copertina italiana spicca un pesce rosso e non il solito velo — ci raccontano di un mondo dove si può parlare di amore e di sesso in modo schietto, diretto, divertente, doloroso. Insomma, proprio come si fa nel resto del mondo, senza per forza citare le parole sottomissione, poligamia, harem. «È una cosa fondamentale che ci siano voci arabe che parlano di cose non connotate come arabe o musulmane — sottolinea Elisabetta Bartuli, nota traduttrice e consulente editoriale per la letteratura araba — ancora di più perché le donne arabe di solito vengono usate per raccontare storie tristi e disperate. La letteratura araba invece è piena di vita quotidiana, sentimenti, emozioni, ma queste cose, spesso da noi non arrivano».
Una rapida scorsa ai cataloghi dei libri appena usciti o in corso di pubblicazione non fa che confermare le parole della studiosa: da poche settimane Sellerio ha mandato in libreria Le nozze di al-Zain, dello scrittore sudanese Tayeb Salih. La storia di un uomo brutto e sfortunato che si innamora sempre delle donne più belle: ma appena su di loro cade lo sguardo del povero al-Zain le ragazze ricevono una proposta di matrimonio. E che dire de
Gli odori di Marie Claire del tunisino Habib Selmi, presto in libreria per i tipi di Mesogea: sui tetti di Parigi la storia di passione che lega un giovane tunisino e una ragazza francese, attratti dalla diversità e dall’interesse per il mondo l’una dell’altro prima e poi divisi dall’astio e dal rimpianto che uccidono le coppie in ogni parte del mondo.
Libri “normali”, se vogliamo chiamarli così, che non seguono il filone dell’orientalismo tanto bene spiegato da Edward Said ma che sono, semplicemente, letteratura reale su temi reali. temi anche scottanti, come l’omosessualità: lo fece qualche anno Samar Yazbek nel suo Il profumo della cannella, la storia di un amore lesbico in una Damasco non ancora sconvolta dalla guerra. O le gravidanze precoci di Io, Karim e il sushi
della libanese Sahira Muqaddim. L’erotismo come specchio dei complessi equilibri uominidonne, trova spazio invece in Amore in Arabia saudita di Ibrahim Badi (non tradotto in italiano) o in Ok, allora ciao del libanese Rashid Daif (anche questo non tradotto): «Dovrei ricordare le sgualdrinelle che ho conosciuto? — scrive quest’ultimo — oppure quelle ragazze che mi pagavano per andare a letto con loro? Dovrei ricordare quella che il marito non voleva farle il lavoretto con la bocca? Oppure quella ragazza che credeva di essere vergine e si era già sverginata con le dita?».
Perché non ci sia nulla da meravigliarsi a trovare situazioni simili raccontate da uno scrittore arabo e lette da un pubblico — sostanzioso — di arabi, lo racconta un libro uscito qualche settimana fa e diventato un caso internazionale.
Sex and the Citadel: Intimate Life in A Changing Arab Worldè il volume-inchiesta con cui il medico- giornalista Shereen El Feki, origini egiziane e gallesi, ha girato per cinque anni il mondo arabo per cercare di capire come viene vissuta la sessualità in questa regione dove — secondo le parole di una ginecologa del Cairo — il sesso è l’opposto del calcio: «Tutti parlano di calcio ma quasi nessuno ci gioca. Invece il sesso lo fanno tutti ma nessuno ne vuole parlare».
Nel suo viaggio El Feki — cresciuta in Canada, ex medico, ex giornalista dell’Economist, ex consulente Onu per l’Aids — parte dall’assioma che sesso, nel mondo arabo, teoricamente significa solo «un matrimonio sancito dallo Stato, approvato dalla famiglia e benedetto dalla religione». Considerato il fatto che moltissime persone non possono permettersi di sposarsi a causa della situazione economica, che in molti paesi anche il più innocente contatto fra i sessi è ridotto al minimo, che ci sono categorie — vedove, omosessuali, poveri — che restano escluse da queste norme: cosa succede davvero?
Sul serio nulla accade al di fuori dei confini stabiliti? E ancora «come è arrivata una regione che a lungo è stata sinonimo di lussuria e perdizione a queste restrizioni? ». E soprattutto, l’assioma di partenza corrisponde alla realtà?
Per capire che la risposta è — quasi sempre — «no», El Feki intervista decine di persone, medici, casalinghe, funzionari, studiosi del Corano, giovani e anziani. Incontra sessuologi famosi, omosessuali e mogli che sgranano gli occhi davanti a un vibratore. E
scopre che la “fortezza impenetrabile” in cui l’Occidente sembra aver identificato la sessualità araba ha molte crepe e che le Primavere non hanno fatto che aumentarle. Difficile capire quello che accadrà in futuro, argomenta l’autrice, ma è certo che la sfera del dibattito negli ultimi due anni e mezzo si è allargata a dismisura. Troppo poco forse per parlare ancora di una rivoluzione, ma abbastanza per dare forza a un cambiamento che è già iniziato, nella letteratura come nella società.