VARIE 25/7/2013, 25 luglio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PAPA IN BRASILE
repubblica.it
Centinaia di residenti hanno accolto il Pontefice al sobborgo di Rio de Janeiro. Prima la benedizione della chiesa, poi la visita in una baracca e il discorso: "Chi possiede più risorse non deve essere insensibile alle diseguaglianze sociali"
RIO DE JANEIRO - Il Papa a piedi. Siamo quasi abituati ormai a vederlo passeggiare sorridente. Oggi lo ha fatto per le stradine della favela di Varginha, una ex discarica occupata nel 1940. Accolto da centinaia di residenti. Francesco ha salutato tutti, giocando con i bambini e camminando senza ombrello per le viuzze. Nonostante la pioggia incessante.
La piccola chiesa di Varginha è tenuta dai padri somaschi e dalle suore della carità. La favela è stata classificata dalle autorità municipali tra le 126 regioni urbane della città di Rio de Janeiro, come detentrice del quinto peggiore indice di sviluppo umano di tutto lo Stato. Vi abitano 1152 persone, si estende su 24 mila metri quadrati. Ma gli abitanti hanno accolto il Papa in casa loro preparando dolci e caffettiere, hanno affisso sui muri delle abitazioni poster e crocifissi per invitarlo a entrare. E lui è entrato. Ha scelto una baracca senza avvisare prima. Ha bussato e si è seduto a prendere il caffè. Ad accompagnarlo c’era solo l’arcivescovo Joao Orani Tempesta, tutti gli altri sono rimasti fuori.
Dopo si è spostato nella cattedrale di Rio de Janeiro per incontrare i giovani argentini. Un fuori programma voluto fortemente da Bergoglio. Lo hanno accolto in 5 mila, in mano migliaia di bandierine dell’Argentina.
"Mi dispiace che state qui ingabbiati, ma debbo confessarvi che qualche volta mi sento ingabbiato anche io", ha detto Francesco. Avrebbe voluto salutarli uno per uno ma non è stato possibile.
La benedizione. Momenti commoventi all’uscita dalla piccola chiesa di San Girolamo Emiliani. Francesco, dopo aver benedetto la chiesina dedicata al patrono dei diseredati, ha ricevuto da un gruppo di bambini una sciarpa del San Lorenzo, sua squadra del cuore argentina.
"Ho scelto voi". "Busso" a questa comunità che "oggi rappresenta tutti i rioni del Brasile", - ha esordito - "avrei voluto bussare a ogni porta, dire ’buongiorno, chiedere un bicchiere d’acqua fresca, prendere un ’cafezinho’, parlare come amici di casa, ascoltare il cuore di ciascuno, dei genitori, dei figli, dei nonni.. Ma il Brasile è così grande. Allora ho scelto di venire qui, di fare visita alla vostra comunità".
"Per un mondo solidale". Francesco ha poi rivolto un "appello" a non essere "insensibili alle diseguaglianze sociali", diretto a "chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e agli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale", per un "mondo più giusto e solidale".
"Giovani non arrendetevi". Un messaggio particolare è stato rivolto ai giovani argentini: "Non scoraggiatevi mai" - ha detto il Pontefice - nonostante la "corruzione di persone che, invece di cercare il bene comune, cercano il proprio interesse". "Non perdete la ’speranza’", ha continuato, "la realtà può cambiare, l’uomo può cambiare", "cercate per primi il bene comune".
"Sono con voi". "Non siete soli, la Chiesa è con voi, il Papa è con voi. Porto ognuno di voi nel mio cuore e faccio mie le intenzioni che avete nell’intimo". Con queste parole Papa Francesco si è, infine, congedato dagli abitanti della favela di Varginha.
"La fede non è un frullato". "La fede in Gesù Cristo non è uno scherzo, lo scandalo della croce è l’unico cammino che abbiamo per seguire Cristo. Non possiamo fare il frullato della fede in Cristo, il frullato è di banana, mela, fragola, la fede non si può frullare, non bevetevi il frullato della fede", ha detto Francesco ai ragazzi argentini.
"La chiesa si dia una mossa". "Cosa mi aspetto dalla Gmg di Rio? Che faccia ’lio’, ma non solo qui, nelle diocesi. Che esca fuori, per strada, perché dobbiamo difenderci dalla mondanità, dal clericalismo e dalle comodità". Papa Francesco ha chiesto un risveglio delle diocesi, cioè che le chiese locali si diano una mossa.
"Abbandoniamo la logica del denaro". "Siamo arrivati a un punto che è il punto del Dio denaro, a una filosofia basata sulla esclusione dei due poli, quello dei giovani, e quello degli anziani", ha detto il Papa. "Dobbiamo lottare contro ogni esclusione, che è quasi un’eutanasia silenziosa"
ancora repubblica.it
Primo post del pontefice su twitter dalla capitale brasiliana. Il portavoce vaticano racconta i momenti di allarme vissuti quando Francesco è rimasto bloccato tra la folla: "Il segretario era preoccupato, lui no. Sono stati fatti alcuni errori, ma nessuna paura", ha detto Padre Lombardi
Lo leggo dopo
RIO DE JANEIRO - "Grazie. Grazie. Grazie a tutti voi e a tutte le autorità per la magnifica accoglienza in terra carioca". Papa Francesco ha twittato. Appena sveglio, dalla residenza che lo ospita a Rio in occasione della Gmg. Anche ieri aveva postato su @Pontifex, il secondo dedicato all’inizio della Giornata mondiale della gioventù: "Oggi incominciamo una stupenda settimana a Rio; sia un’occasione per approfondire la nostra amicizia in Gesù Cristo".
Oggi non ha appuntamenti ufficiali. Solo riposo dopo il lungo viaggio. Ma come sempre, nel caso di Bergoglio, non sono esclusi fuori programma. "Il Papa è sempre capace di inventare qualche cosa di nuovo, quindi non posso assolutamente assicurare che sia un giorno del tutto tranquillo", ha ammesso padre Lombardi. La sicurezza può continuare a preoccuparsi dunque.
Papa a Rio, "Grazie a tutti per l’accoglienza". Sicurezza preoccupata per disordini in Brasile.
"Il segretario di Francesco, don Alfred Xuereb, era preoccupato, il Papa no, anzi ha lasciato che don Alfred riprendesse lo scompartimento vuoto", ha raccontato il portavoce della Santa Sede a proposito del caos della sicurezza brasiliana, con il Papa che ieri è rimasto bloccato tra la folla durante il trasferimento dall’aeroporto al palazzo presidenziale. "E’ stato fatto qualche errore. Ma non voglio drammatizzare. Non c’era il senso di qualcosa di drammatico", ha continuato. "Papa Francesco è molto contento dell’accoglienza dell’entusiasmo con cui è stato accolto al suo arrivo a Rio de Janeiro. La tv ha mostrato un momento in cui il corteo per sbaglio ha imboccato una strada chiusa. E ciò senza che mai sorgesse nessuna preoccupazione per la sicurezza". In effetti Bergoglio non ha mai chiuso il finestrino dell’utilitaria su cui era salito, una Fiat prodotta in Brasile: la più piccola del corteo. E molti fedeli, assiepati lungo il percorso, sono riusciti addirittura a toccarlo.
"Per aver accesso al Popolo brasiliano bisogna entrare dal portale del suo immenso cuore; mi sia quindi permesso in questo momento di bussare delicatamente a questa porta", ha detto Francesco nel suo primo discorso rivolto ai brasiliani, pronunciato in portoghese, con un forte accento spagnolo, davanti anche alla presidente Roussef. L’entusiasmo per il Papa, nel Paese, è enorme.
Ma la preoccupazione per la sicurezza, comunque, resta forte. Ieri sera un ordigno di tipo artigianale è stato scoperto all’interno di un bagno in un parcheggio del santuario di Nostra Signora di Aparecida, che Francesco dovrà visitare in settimana (una tappa cui tiene molto, visto che in questa località - nel 2007 - si svolse la conferenza dell’episcoppato latinoamericano da cui venne tratto un documento importanti sulle questioni sociali). E poi la visita del Papa è diventata anche l’occasione per una nuova ondata di proteste contro il governo: ci sono stati scontri tra polizia e manifestanti di fronte al palazzo Guanabara, nelle ore in cui si teneva la cerimonia di accoglienza di papa Francesco. Quasi duemila persone avevano deciso di dirigersi verso il palazzo ma sono state fermate dai lacrimogeni degli agenti. Una di queste è rimasta ferita da una bottiglia molotov lanciata dalla folla e trasferita d’urgenza in ospedale. Ferito anche un fotografo della France Presse.
IL PAPA NELLA FAVELA DI VARGINHA
RIO DE JANEIRO - Continua a piovere su Rio, non ha smesso un attimo da quando il Papa è arrivato. Ma la festa per Francesco alla favela di Varginha è ugualmente intensa, commovente. La papamobile corre verso la periferia, lui chiede velocità moderata per salutare tutti, e a tratti si teme un replay del primo giorno. Perché il Papa allunga le mani e in molti riescono a toccarlo. I gendarmi vaticani sono costretti a porre un argine, ma fila tutto liscio. Sceso dall’auto, benedice la cappella della piccola comunità. Protetto da un ombrello bianco, viene avvicinato da un gruppo di pellegrini arrivati dall’Argentina. E qualcuno gli fa arrivare una sciarpa del San Lorenzo, la squadra del suo cuore a Buenos Aires. Papa Bergoglio la solleva per farla vedere a tutti, come un tifoso orgoglioso sugli spalti.
RIO COME BUENOS AIRES - La scelta di questa favela, tra le tante a Rio, è corretta. Niente paesaggio da cartolina con l’oceano sullo sfondo, ma appena una distesa di casupole, senza asfalto e il campo di pallone come «piazza» centrale. Varginha è pacificata, come si dice a Rio, perché la polizia ha espulso i narcos e imposto la legge dello Stato. Ma è ancora molto povera e soffre del peggiore dei mali oggi, il grande consumo di crack. Gli ultimi degli ultimi vivono qui, schiacciati tra la ferrovia e un pezzo di mare putrido che spesso allaga tutto. Tutto molto simile ai luoghi della periferia di Buenos Aires che Jorge Bergoglio conosce bene e ha frequentato per anni. Nella comunità, il Papa ha passeggiato protetto da transenne, ma avvicinandosi spesso alla gente. Ha visitato una famiglia nella sua casa (non seguito dalle telecamere) e infine pronunciato un discorso molto intenso. «Avrei voluto bussare a tutte le porte, prendere un cafezinho con tutti. Ma il Brasile è così grande, e ho scelto voi che rappresentate tutti i rioni».
IL DISCORSO - «Vorrei fare appello a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo. Ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie sociali. Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà; vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello». Tutto il discorso è stato interrotto da gridi della folla e applausi, ai quali il Papa ha risposto con larghi sorrisi.
«IL PAPA È CON VOI!» - Il Papa ha ammesso che la società brasiliana sta facendo grandi sforzi per integrare «tutte le parti del suo corpo», attraverso la lotta contro la miseria. E ricordato che la Chiesa, soprattutto dopo il documento di Aparecida del 2007, desidera offrire la sua collaborazione ad ogni iniziativa che possa significare un vero sviluppo di ogni uomo. «La Chiesa è con voi, il Papa è con voi!», ha concluso Bergoglio dopo aver accennato ai giovani e alla loro «particolare sensibilità contro le ingiustizie». Sì, «la realtà può cambiare, l’uomo può cambiare»
VISITA AI TOSSICODIPENDENTI (CORRIERE.IT)
«La piaga del narcotraffico, che favorisce violenza e semina dolore e morte, richiede un atto di coraggio di tutta la società. Non è con la liberalizzazione delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica». Lo ha detto il Papa durante la visita all’ospedale «São Francisco de Assis» di Rio de Janeiro, specializzato nella cura dei tossicodipendenti. «È necessario - ha aggiunto papa Bergoglio - affrontare i problemi che sono alla base del loro uso, promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita comune, accompagnando chi è in difficoltà e donando speranza nel futuro».
AFFRONTARE I PROBLEMI - La visita all’ospedale è uno degli impegni in Brasile che Francesco ha deciso di aggiungere alla agenda della Gmg che era stata preparata per Benedetto XVI. Il Pontefice ha particolare sensibilità per il problema delle tossicodipendenze al quale ha dedicato alcune iniziative pastorali già da arcivescovo di Buenos Aires. «In questo luogo di lotta contro la dipendenza chimica, - ha detto papa Bergoglio - vorrei abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo, e chiedere che Dio riempia di senso e di ferma speranza il vostro cammino, e anche il mio. Abbracciare. Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, come san Francesco. Ci sono tante situazioni in Brasile, nel mondo, che chiedono attenzione, cura, amore, come la lotta contro la dipendenza chimica. Spesso, invece, nelle nostre società ciò che prevale è l’egoismo. Quanti "mercanti di morte" che seguono la logica del potere e del denaro ad ogni costo!»
MASSIMO FRANCO SULLO IOR SUL CORRIERE DI STAMATTINA
Davanti alla scrivania del presidente dello Ior c’è un mobile con una scritta latina incisa: «In labore et virtute omnia», nel lavoro e nella virtù c’è tutto. Per Ernst Von Freyberg, l’avvocato tedesco nominato nel febbraio scorso al posto di Ettore Gotti Tedeschi nell’interregno fra le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di papa Francesco, le prossime settimane saranno probabilmente decisive per dimostrarlo. Impresa non facile. «Vogliamo offrire al pontefice opzioni diverse dalla chiusura dell’Istituto per le opere di religione», si fa sapere. E si costruiscono ponti alla magistratura italiana, assicurando che i vertici sono «non a disposizione ma pronti» di fronte a qualunque richiesta di chiarimento. Il problema di Von Freyberg è che dovrà convincere il Pontefice. Negli ultimi anni la «non banca» vaticana ha oscurato qualunque progetto di riforma, forse contribuendo perfino alle dimissioni di papa Josef Ratzinger. E adesso minaccia di proiettare un’ombra opaca sulla rivoluzione delle finanze della Santa Sede e della Curia chiesta dal Conclave a Jorge Maria Bergoglio.
Le incognite non sono legate solo ai documenti consegnati alla Procura di Roma da monsignor Nunzio Scarano, dipendente dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) per oltre vent’anni. Su questo, temendo nuove rivelazioni, fra l’inizio e la metà di luglio il vertice dello Ior ha fatto preparare a tempo di record un rapporto dettagliato sui movimenti di soldi del prelato negli ultimi dieci anni. L’interrogativo è se altri «monsignor Scarano», o membri del clero di livello anche superiore, hanno consentito che all’ombra dei loro risparmi ufficiali fossero compiute operazioni illegali. Rimane sullo sfondo, dunque, il tema non solo dei «conti laici», ma di quelli che potrebbero essere stati appaltati da ecclesiastici a loro amici in cerca di copertura. A questo i consulenti di Promontory, l’agenzia finanziaria statunitense che indaga da mesi su ogni singolo conto corrente dell’Istituto, non sono ancora arrivati.
Per Scarano, non essendo ancora alla lettera «s», i collaboratori di Von Freyberg hanno dovuto lasciare indietro il resto del lavoro. I risultati sono stati passati all’Aif, l’autorità alla quale spetta la vigilanza sulle attività finanziarie, e al «promotore di giustizia», l’equivalente vaticano di un procuratore, che indaga internamente. Da quanto si è capito, la quantità di denaro circolata sul conto sarebbe inferiore ai dieci milioni di euro. E la destinazione dei fondi configurerebbe elargizioni dietro le quali non si intravedono grandi strategie ma piuttosto favori ai destinatari più diversi, anche se a volte assai discutibili. Lo Ior non vuole trovarsi spiazzato da eventuali richieste di rogatoria della magistratura italiana. Avere a disposizione un dossier su uno dei clienti a oggi più ingombranti dell’Istituto è un tentativo per dimostrare che il «piano di battaglia», come viene definito, vuole dimostrare che continua la missione «clean and serve», ripulire l’Istituto e servire il Papa.
Si vuole far sapere alla magistratura che, pur tenendo conto di una cornice istituzionale obbligata fra due Stati, la disponibilità a collaborare è piena. Di più: si insiste su una convergenza di obiettivi, perché riuscire a penetrare i segreti finanziari dello Ior a questo punto viene considerato interesse di entrambi. I gestori dello Ior che hanno preceduto il cambio di passo voluto da Benedetto XVI e proseguito con maggior vigore da Francesco, non si ponevano il problema. Per questo oggi tutto appare più complicato. Si tratta di cambiare persone, e insieme una mentalità diffusa e legittimata da decenni di sostanziale impunità; e di sradicare un pregiudizio contro lo Ior che si è ormai sedimentato nell’opinione pubblica non solo italiana ma mondiale: per quanto esagerato e ingiusto possa risultare. Lo sforzo di trasparenza che sta compiendo Von Freyberg appare coraggioso e, sotto un certo aspetto, titanico.
Il primo interlocutore da conquistare alla prospettiva che lo Ior abbia un futuro è, infatti, papa Francesco. L’intenzione è di persuaderlo che non sta difendendo un marchio scaduto, ma una struttura riformabile; e che le perplessità diffuse in alcuni episcopati mondiali per il modo e i tempi con i quali è stato scelto il nuovo presidente sono infondate. A ottobre si riunirà il «V8», come viene chiamato il consiglio degli otto cardinali chiamati a consigliare il pontefice, quasi fosse l’equivalente ecclesiastico del «G8», il gruppo delle otto nazioni ritenute le «grandi» del mondo. Allora, la soluzione dovrebbe essere a portata di mano. Ma dipende da quanto succederà durante l’estate a livello giudiziario. Si dice che Von Freyberg tenda a descriversi come «un orologiaio»: l’uomo chiamato a rimettere a posto i pezzi di un meccanismo che si è inceppato e mostra ormai una patina di ruggine tossica. Ma la domanda, tuttora senza risposta, è se lo Ior segni il tempo del Vaticano come un orologio, o come una bomba a orologeria.
Massimo Franco
Puntualizzazioni e dettagli in più. In 3 ore di interrogatorio alla presenza dei pm e della Finanza, Nunzio Scarano («prostrato» secondo i difensori), ha confermato che, fra i beneficiati dalle procedure in vigore allo Ior e all’Apsa, vi erano nomi dell’alta finanza romana, fra cui la famiglia Nattino. Il 30 luglio sarà ascoltato anche dai pm di Salerno.
PEZZO DI MARCO ANSALDO SU REPUBBLICA DI OGGI
AL NOSTRO INVIATO
RIO DE JANEIRO
— Va bene che «il pastore deve avere l’odore delle pecore», come ha indicato Papa Francesco in una delle sue immagini più riuscite. Ma ieri il corteo papale, prima di immergersi nel bagno di folla al monastero di Aparecida, vicino a San Paolo, ha dovuto vedersela sulla salita con un gruppo di capre che hanno bloccato il passaggio, creando qualche piccolo problema agli addetti della sicurezza subito scesi dalle auto per sgomberare il gregge.
Poi, Aparecida è stato un trionfo. Eppure gli episodi più toccanti si sono vissuti in serata, al rientro a Rio de Janeiro, dove Jorge
Mario Bergoglio ha visitato l’ospedale di San Francesco d’Assisi riservato in buona parte al recupero dei tossicodipendenti e degli alcolizzati, in un progetto denominato “Betania” che opera nella favela periferica di “Città di Dio”. Nel discorso, pronunciato davanti a tante persone sofferenti quando in Italia era ormai notte, il Papa argentino ha commosso molti soffermandosi sull’importanza del gesto di abbracciare.
«Oggi, in questo luogo di lotta contro la dipendenza chimica — ha detto Francesco — vorrei abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo. Abbracciare. Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, come san Francesco. Spesso, invece, nelle nostre società ciò che prevale è l’egoismo. Quanti “mercanti di morte” che seguono la logica del potere e del denaro ad ogni costo! La piaga del narcotraffico, che favorisce la violenza e semina dolore e morte, richiede un atto di coraggio di tutta la società. Non è con la liberalizzazione dell’uso delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica. È necessario - ha aggiunto il Papa - affrontare i problemi
che sono alla base del loro uso, promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita comune, accompagnando chi è in difficoltà e donando speranza nel futuro».
Poi il Papa ha continuato: «Ma abbracciare non è sufficiente. Tendiamo la mano a chi è in difficoltà, a chi è caduto nel buio della dipendenza, magari senza sapere come, e diciamogli: puoi rialzarti, puoi risalire, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi. Cari amici, vorrei dire a ciascuno di voi, ma soprattutto a tanti altri che non hanno avuto il coraggio di intraprendere il vostro cammino: sei protagonista della salita; questa è la condizione indispensabile! Troverai la mano tesa di chi ti vuole aiutare, ma nessuno può fare la salita al tuo posto. Ma non siete mai soli! La Chiesa e tante persone vi sono vicine. Guardate con fiducia davanti a voi, la vostra è una traversata lunga e faticosa, ma
guardate avanti».
In giornata, ad Aparecida, nel santuario devoto a tanti brasiliani, Bergoglio per lunghi momenti della messa aveva tenuto in mano la madonnina nera lunga solo 40 centimetri. «Il “drago”, il male, — ha detto — c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza ». Poi rivolto ai giovani, ha invitato «i genitori e gli educatori a trasmettere i valori che li rendano artefici di un mondo più giusto, solidali e fraterni», e li aiutino a non lasciarsi ingannare «dal fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere».
Quindi si è concentrato, in un’omelia cruciale dei suoi otto giorni in Brasile, su tre cardini del suo pensiero, frazionati come i tre
pezzi della madonnina quando furono ritrovati dai pescatori, secondo la leggenda: «Mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere dal Signore, e vivere nella gioia». E ha ricordato l’importanza della conferenza dei vescovi dell’America Latina svoltasi in questa località nel 2007. Il documento che ne uscì, vide proprio il contributo decisivo del cardinale Bergoglio. E molti situano anzi qui l’attenzione di molti porporati verso quell’arcivescovo
di Buenos Aires così impegnato sul fronte sociale, al punto da aver raccolto due anni prima addirittura una quarantina di voti nel Conclave che aveva eletto il tedesco Joseph Ratzinger.
Non è un caso allora se proprio alla madre di Gesù, Francesco ha dedicato ieri un nuovo tweet: «Non dimentichiamolo mai, ragazzi: la Vergine Maria è la nostra mamma ed è con il suo aiuto che possiamo rimanere fedeli a Gesù ». Al balcone ha salutato la folla di fedeli rimasti per ore fuori nonostante il cattivo tempo, ringraziando l’orchestra con il pollice in alto: «Vi affido alla Vergine fino al 2017 — ha detto affacciandosi —
quando tornerò».
INTERVISTA A LEONARDO BOFF SULLA STAMPA DI STAMATTINA
«Tre settimane prima dell’elezione di Bergoglio avevo scritto su twitter: il futuro Papa sarà Francesco, perché come fece il santo di Assisi serve chi ricostruisca la Chiesa che ha perduto la sua credibilità...». Leonardo Boff non porta più il saio, dopo i contrasti con Roma per le sue posizioni teologiche ha lasciato l’ordine francescano e si è sposato. Ma la barba, bianchissima, è rimasta la stessa di quando era frate. Il teologo della liberazione che Joseph Ratzinger non riuscì a ammorbidire parla del viaggio in Brasile del primo Papa latinoamericano della storia.
L’ha stupita l’accoglienza di Rio a Francesco?
«No, è un entusiasmo dovuto alla sua semplicità, al suo venire senza un grande apparato di sicurezza, al suo voler percorrere le strade in una macchina semplice e con i finestrini sempre aperti, al suo farsi raggiungere e toccare dalla gente, al suo fermarsi a baciare i bambini. Si vede che è un pastore, un vescovo che sta in mezzo al suo popolo. Non un monarca».
Francesco ha voluto cominciare il viaggio con una visita al santuario di Aparecida. Perchè?
«Perchè qui nel 2007 i vescovi latinoamericani hanno pubblicato un documento che ridà spazio ai poveri e afferma che certi metodi di evangelizzazione sono vecchi e vanno cambiati. Servono pastori che abbiano l’odore delle pecore più che il profumo dei fiori dell’altare».
Francesco mostra di avere una grande devozione mariana e una grande attenzione alla pietà popolare. Non sembrano aspetti così vicini alla sensibilità progressista...
«E invece lo sono, sono vicini alla teologia della liberazione. In Argentina questa si è sviluppata particolarmente come teologia del popolo, portata avanti dal gesuita Juan Carlos Scannone, che è stato insegnante di Bergoglio. Il Papa è vicino a questa teologia. Non è una devozione popolare “pietistica”, ma una devozione che conserva l’identità del popolo e s’impegna per la giustizia sociale».
Il Papa parla spesso dei poveri e all’ospedale di Rio ha ripetuto che andare verso i poveri significa toccare «la carne di Cristo». Cosa significa?
«Il povero è il vero rappresentante di Cristo, in un certo senso il povero è il vero “Papa”, e Cristo continua a essere crocifisso nel corpo dei condannati della terra. Cristo è crocifisso nei crocifissi della storia».
Che cosa cambia nella Chiesa con Papa Francesco?
«Credo che cambierà parecchio. Francesco non sta riformando solo Curia, sta riformando il papato. La sua insistenza sull’essere vescovo di Roma, l’aver lasciato il palazzo per abitare nella residenza Santa Marta, significa andare verso il mondo. Il Papa spiega che preferisce una Chiesa incidentata ma che va per strada, piuttosto che una Chiesa asfittica e chiusa nel tempio. Ora si sente che la Chiesa è un focolare di speranza e non una fortezza assediata sempre in polemica con la modernità o una dogana che controlla e regola la fede invece di facilitarla».
C’è chi critica Francesco dicendo che sta desacralizzando il papato...
«Non lo sta desacralizzando, lo presenta nella sua vera dimensione evangelica. È il successore di Pietro e Pietro era un semplice pescatore. Bisogna combattere la “papolatria” che abbiamo visto negli ultimi decenni. I cardinali non sono prìncipi della Chiesa, ma servitori del popolo di Dio. I vescovi devono partecipare alla vita della gente. E il Papa non si sente un monarca: anche di fronte alla presidente del Brasile ha detto: “Vengo qui come vescovo di Roma”, cioè come colui che presiede la Chiesa nella carità e non nel diritto canonico».
ANDREA TORNIELLI
NELLE FAVELAS DALLA STAMPA DI STAMATTINA
PAOLO MANZO
A Nord di Rio de Janeiro nella «comunidade» di Varginha, ovvero la favela scelta dal Papa per la sua visita di oggi, all’interno di un complesso più grande, quello di Manguinhos, la trepidazione è alle stelle. Soprattutto a casa di sette famiglie. Persone comuni che adesso sentono di entrare nella storia. «Non era mai successo che un Pontefice venisse in un posto povero come questo - racconta entusiasta Cida Gomes - . Se la mia casa sarà scelta davvero Dio mi ha fatto il miracolo». Già perché queste sette famiglie, che abitano tutte nella Rua Carlos Chagas, sono state candidate per la visita di Francesco che solo sul momento ne sceglierà simbolicamente una. «Se verrà da me – commenta Dona Amara Oliveira 82 anni - ho già preparato il caffè».
Insomma la visita del Pontefice ha cambiato completamente il volto di questa favela, fino a qualche mese fa una delle zone off limits di Rio de Janeiro, dominata solo dalla violenza e dalla droga. A farla da padrone il crack, la «pedra» come la chiamano qui, derivato della cocaina con l’aggiunta di sostanze chimiche, così presente nella regione da aver trasformato interi quartieri in vere e proprie «Nazioni del crack». Poi nell’ottobre del 2012 il primo intervento radicale. Varginha viene occupata da unità della cosiddetta «Policia pacificadora», ovvero un corpo speciale creato per bonificare le zone più a rischio della Cidade Maravilhosa in vista della Coppa del Mondo e delle Olimpiadi.
«Speriamo solo che una volta che il Papa se ne va le autorità non ci dimentichino - commenta laconico Josinaldo, 35 anni. Intanto ci si gode la festa e gli sguardi saranno solo sull’«uomo vestito di bianco», come lo hanno soprannominato. Il palco nel campo di calcio dove terrà il discorso è pronto. E pronta anche la chiesetta italiana dedicata San Girolamo Emiliani, frutto della missione dei Padri Somaschi e delle suore di Madre Teresa dove Papa Francesco benedirà il nuovo altare.
«Per ascoltarlo io chiudo perfino il bar - dice un signore di 50 anni che in zona conoscono come il «Ninja» -. Sono così devoto che ogni due anni vado ad Aparecida». Gli fa eco Francisco, 64 anni, stesso nome del Pontefice che, orgoglioso, ci tiene a ribadire l’importanza della sua «comunidade»: «È l’unica ad essere stata scelta, siamo fieri di vivere qui». Insomma una visita, quella del Papa che sta facendo riconciliare le persone con il loro destino, in una zona di Rio dimenticata da Dio e dagli uomini ma non da Papa Francesco.
La Varginha nasce nel 1950 e, come tutte le favelas del Brasile, comincia con un’occupazione delle terre ad opera di pochi che diventano poi molti, infine moltissimi, oltre 2.500, oggi stipati in un presepe abusivo di case in muratura addossate le une sulle altre. Pochi i servizi, tanta la disperazione. E incastrata com’è tra una strada trafficatissima e un’ex raffineria, la Varginha sembra incarnare davvero quei valori del Vangelo che Papa Francesco vuole resuscitare. Ovvero amore e comprensione laddove c’è solo miseria, degrado, violenza che, nonostante la «pacificazione» della polizia, continuano a fare da sfondo alla quotidianità di queste persone costrette a combattere la propria battaglia per sopravvivere. Fino a poco tempo fa, tanto per farsi un’idea, questa zona era stata ribattezzata «la striscia di Gaza». È in questa terra di nessuno, dunque, che l’erede di Pietro lascerà oggi il suo messaggio, proprio come già aveva Papa Giovanni Paolo II nel 1980 quando si recò in un’altra favela di Rio, il Vidigal.
GIACOMO GALEAZZI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
Una mobilitazione contro «l’egoismo e l’indifferenza». Al santuario mariano di Aperecida Francesco invoca una società «giusta e solidale», poi all’ospedale per tossicodipendenti mette in guardia dalle «proposte illusorie degli idoli passeggeri del mondo» e condanna i «mercanti di morte». Il narcotraffico «non si combatte con la liberalizzazione delle droghe» bensì «promuovendo maggiore giustizia». E per attuare il messaggio papale la «Woodstock cattolica» mette fiori nei cannoni: comitive con la chitarra al posto delle barricate, canti invece di proteste. Le battaglie egualitarie degli «indignados» non sono svanite: hanno «trovato accoglienza» nella Gmg più «social» della storia. Tra ostelli, parrocchie e alloggi di fortuna, la meglio gioventù di Bergoglio descrive la pacificazione di una metropoli da mesi in trincea.
Cristo Redentore è avvolto nell’inverno tropicale e la spiaggia di Copacabana si mostra militarizzata: navi da guerra nelle acque grigie e un poliziotto ogni dieci metri sul celebre lungomare. Un milione di Papa-boys si ripara dal freddo con materassi, coperte e tende: domenica il loro numero triplicherà per la messa finale della Guaratiba.
«Francesco ha riportato la giustizia sociale al centro del Magistero e i giovani sono accorsi da 190 paesi per combattere la globalizzazione dell’indifferenza» spiega don Pedro, arrivato in corriera dal nord del Brasile. In effetti, rispetto alle Gmg europee, l’atmosfera di Rio 2013 è più «socialmente orientata», meno gita parrocchiale e più raduno impegnato.
In larga parte i partecipanti sono latino-americani e spesso offrono una lettura «politica» della loro presenza. «Sono qui perché non mi rassegno ad accettare il mondo com’è» spiega l’universitario Carlos. I Papaboys constatano le differenze tra i ricchi e poveri e si schierano con gli ultimi. Anche gli 8 mila italiani accompagnati da una quarantina di vescovi sono della partita «pauperistica» e la simbolizzano nella piccola vettura scelta dal Papa per un Paese dove, nota Paola, «la macchina è uno status symbol».
Nelle strade di Rio si protestava da settimane in modo anche molto violento. Contro tutto e tutti: il carovita, i finanziamenti pubblici ai mondiali di calcio, i costi organizzativi della stessa Gmg. Poi Francesco ha trasformato la rabbia anti-sistema in entusiasmo e nel suo discorso ha richiamato le richieste degli «indignados»: giustizia sociale e sostegno all’occupazione giovanile. L’effetto è stata una tregua immediata nell’offensiva antiautorità delle mille sigle della contestazione brasiliana. A Cinelandia, solitamente teatro delle proteste, i manifestanti infuriati hanno ceduto il passo a migliaia di giovani in festa, bandiere brasiliane ma anche argentine, cilene e del mondo.
Bergoglio chiama la Chiesa a «uscire fuori», a abbandonare le proprie certezze per farsi ultima fra gli ultimi. Durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave, Bergoglio aveva auspicato che la Chiesa arrivasse in quelle periferie esistenziali dove l’uomo è solo con se stesso e senza Dio, l’eredità migliore della teologia della liberazione esplosa proprio in Sudamerica negli anni dopo il Concilio. È il messaggio portato ai giovani. Dopo la visita a Lampedusa, nel cuore del Mediterraneo ferito, il Papa sbarca in Sudamerica, il continente dove povertà e disagi sociali vanno di pari passo. Questo è il mondo che lui vuole cambiare dall’interno, valorizzando «quello che viene dal basso».
VOCE FAVELA DI WIKIPEDIA
Con il termine favela (in portoghese; al plurale: favelas) si indicano le baraccopoli brasiliane, costruite generalmente alla periferia delle maggiori città. Le abitazioni sono costruite con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati dall’immondizia e molto spesso le coperture sono in Eternit. Problemi comuni in questi quartieri sono il degrado, la criminalità diffusa e gravi problemi di igiene pubblica dovuti alla mancanza di idonei sistemi di fognatura e acqua potabile. Sebbene le più famose fra esse siano localizzate nei sobborghi di Rio de Janeiro, vi sono favelas in tutte le principali città del paese.
Il nome favela deriva da un fatto storico: rifugiati ed ex soldati reduci della sanguinosa guerra di Canudos (1895-1896), nello stato di Bahia, occuparono un terreno collinare libero presso Rio de Janeiro, poiché il governo che alla fine della guerra aveva smesso di pagarli, non diede loro delle abitazioni in cui vivere. Questa collina, chiamata in precedenza Morro da Providência, fu da loro denominata Morro da Favela come il luogo sede del principale accampamento militare nella guerra di Canudos (essi crearono in questo modo il loro accampamento nei pressi dell’allora capitale). La favela o faveleira (Cnidoscolus quercifolius) è una pianta che cresce prosperosa nel semi-arido sertão brasiliano dove ebbero luogo le battaglie contro i ribelli di Antônio Conselheiro.[1]
Nel corso degli anni la maggior parte della popolazione povera, costituita per lo più da ex schiavi liberati in seguito alla legge Aurea del 1888, si trasferì lì rimpiazzando gli originali rifugiati e divenendo il gruppo etnico maggioritario ivi residente. Tuttavia, molto prima che il primo insediamento chiamato "favela" diventasse una realtà, i neri liberati venivano allontanati dal centro della città verso i sobborghi. Le Favelas erano abitativamente vantaggiose per loro poiché gli permettevano di essere vicini al lavoro, e nello stesso tempo di tenersi lontani da luoghi nei quali non erano benvenuti.
La maggior parte degli abitanti di una favela (chiamati dispregiativamente favelados) sono poveri e vivono con meno di 100 dollari al mese. Le abitazioni sviluppate in maniera irregolare e con materiali di bassa qualità sono spesso costruite sui fianchi delle colline (in portoghese morros) su un terreno franabile in precedenza ricoperto da vegetazione. Le piogge torrenziali tipiche di queste zone causano numerosi crolli e anche un elevato numero di vittime. Il degrado sociale e la povertà favoriscono anche il sorgere di attività criminali. Nelle recenti decadi, le favelas sono state disturbate dai crimini legati alla droga e alla guerra tra gang. Secondo alcuni un codice sociale comune proibisce ai residenti delle favelas di essere coinvolti in attività criminali all’interno della loro stessa favela e l’ordine viene mantenuto dalle organizzazioni criminali che si sostituiscono al potere dello Stato. Le Favelas sono spesso considerate una disgrazia ed una vergogna dai brasiliani ma possono essere viste come una conseguenza della distribuzione ineguale della ricchezza nel paese e alla mancanza di politiche a sostegno della popolazione più povera.[senza fonte]
La maggior parte delle attuali favelas carioca crebbero negli anni settanta, quando il boom dell’edilizia dei quartieri più ricchi spinse un gran numero di lavoratori ad una sorta di esodo dagli stati più poveri del Brasile verso Rio de Janeiro in cerca di fortuna. Vasti allagamenti nelle aree povere a bassa quota di Rio contribuirono inoltre a far muovere la gente verso le favelas, le quali si trovano sui versanti collinosi della città.[senza fonte]
Secondo una ricerca del 2011 fatta dal Istituto brasiliano di geografia e statistica oltre 11,4 milioni di cittadini brasiliani, ovvero circa il 6% della popolazione, vivono nelle favelas[2].
Indice
Favelas famose
Le favelas più conosciute sono quelle attorno a Rio de Janeiro. Esse illustrano drammaticamente la differenza esistente tra la povertà ed il benessere, posizionate proprio accanto agli edifici lussuosi e agli appartamenti della società d’elite di Rio. Alcune colline di Rio sono densamente popolate da favelas. Nel 2004, si stimò che il 19% della popolazione di Rio vivesse nelle favelas. Rocinha, Parada de Lucas. Maré e Turano sono alcune tra le più famose favelas di Rio.
La Cidade de Deus (Città di Dio), resa famosa dal film omonimo (del 2002) è spesso erroneamente definita favela. Tuttavia, questo sito abitativo creato dal governo per rimpiazzare una preesistente occupazione abusiva, era un quartiere modello che in seguito degradò con l’arrivo di un numero di nuovi abitanti provenienti dalle regioni più povere del paese, divenendo sempre più caotico e malfamato. Due condomini a Leblon, quartiere ricco di Rio de Janeiro (molto vicino a Rocinha) sono spesso sarcasticamente chiamati favelas dai residenti. Tuttavia, questi sono dei veri condomini urbanizzati e con le relative utenze, posseduti e gestiti di occupanti. Uno, che si trova di fronte alla Pontificia Università Cattolica PUC-Rio (una rinomata e costosa università privata) fu costruito dal governo. L’altro, a sud dello stadio di calcio, fu donato agli abitanti delle favelas da un benestante benefattore. Molto spesso quindi il termine favela definisce quartieri o zone povere degradate indipendentemente dall’origine urbanistica delle stesse.