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 2013  luglio 22 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 22 LUGLIO 2013 – IL SOGNO AMERICANO È FALLITO A DETROIT

Rick Snyder, 54 anni, repubblicano, governatore dello Stato americano del Michigan dal 2011, giovedì ha caricato un video sul suo sito ufficiale in cui annunciava senza giri di parole che «Detroit è al verde». [1] Detroit è la più grande città americana mai finita in bancarotta. [1] Il commissario straordinario della città, Kevyn Orr, subentrato alcuni mesi fa al sindaco Dave Bing, ha chiesto al tribunale la protezione dai creditori sotto il cosiddetto Chapter 9, il capitolo della legge fallimentare che regola la bancarotta delle municipalità. Nei prossimi 90 giorni il tribunale valuterà se ci sono le condizioni per dare via libera alla procedura e identificherà tutti i creditori interessati dal procedimento. [2] Fondata trecento anni fa, nel 1950 Detroit era arrivata ad avere 1,8 milioni di abitanti. Al momento del suo massimo splendore era la quarta città americana per grandezza, spinta soprattutto dall’industria automobilistica. [3] Oggi è una città letteralmente svuotata: 700 mila gli abitanti. La superficie è sempre la stessa, sterminata: 140 miglia quadrate sulle quali si alternano quartieri ancora abitati ma poverissimi, zone totalmente abbandonate con l’erba che cresce ovunque sui marciapiede e tra le auto parcheggiate da anni. [4] A partire dal 2001 hanno lasciato la città l’equivalente di un autobus pieno di gente al giorno. [5] Cause principali del fallimento: un debito tra i 18 e i 20 miliardi, l’impossibilità di arrivare a un accordo con i creditori (fondi pensioni in testa) e i ripetuti no dei sindacati ad una riduzione dei salari pubblici. [6] Dei circa 20 miliardi di debito, undici non sono garantiti. Si tratta di 3,5 miliardi di pensioni, 5,7 di benefit dei lavoratori e due di obbligazioni. «Standard & Poor’s ha tagliato il rating del debito municipale da doppia C a C, un gradino sopra il livello più basso, insomma la speranza di rientrare dei propri soldi per chi ha investito è quasi ridotta a zero. Fino all’altro giorno, titoli con scadenza aprile 2028 pagavano tassi del 5,73% contro una media dei tassi americani del 3,4. Questi bond adesso si danno via a prezzi regalati, tanto che alcuni gestori americani sarebbero pronti a comprare, sicuri che un posto come Detroit alla fine non può fallire». [7] Ci sono anche banche europee esposte nei confronti della città, si parla di un portafoglio complessivo di 1 miliardo di dollari. Mario Platero: «Per ora c’è un nome, la Hypo Real Estate Holding. Nazionalizzata nel pieno dell’ultima crisi finanziaria, Hypo aveva creato una bad bank chiamata Fms Wertmanagement che ha in portafoglio circa 200 milioni di dollari di bond Made in Detroit. Questo per dire che la maggioranza delle istituzioni che detengono il debito della città dovrebbero già averlo contabilizzato da tempo come credito inesigibile. Possibile che ci siano altri rischi? Che presto esplodano altre municipalità americane?». [8] A Detroit ci sono ottantamila edifici vuoti. Il reddito medio di un abitante è di appena 15.261 dollari l’anno. La disoccupazione è al 18,6% contro una media nazionale del 7,6. Il tasso di omicidi è al massimo da 40 anni. [9] Tra il 2005 e il 2009 la città ha subito oltre 67 mila pignoramenti, in pratica il 20% delle abitazioni cittadine sono state sequestrate. [10] «Ecco cosa succede quando fallisce una città: le luci si spengono, le scuole chiudono, le ambulanze restano nei garage, i parchi diventano deserti. C’è una bella cartina pubblicata dal Detroit Free Press che spiega la situazione meglio di tanti saggi: si vede l’estensione di Detroit e dentro ci stanno San Francisco, Boston e l’isola di Manhattan. E il guaio è che in questo spazio infinito ci abitano solo 700 mila persone contro quasi tre milioni. Ovvio che i conti non tornano, le tasse non bastano più». [6] «Bisogna essere stati a Detroit per capire che cosa significa vivere in una città dove il 40% dei lampioni la sera sono spenti per mancanza di corrente. Una città dove la metà dei parchi e giardini pubblici sono chiusi perché sono finiti da tempo i fondi per la manutenzione e la vigilanza» (Federico Rampini). [11] «Ma l’immagine che ti resta attaccata addosso è quella degli incendi dolosi. Che hanno anch’essi qualcosa a che fare con la decisione di imporre una svolta drammatica all’amministrazione della città: vedere una casa che brucia nella notte è uno dei passatempi preferiti dalle bande giovanili di Detroit. Che non lo percepiscono più nemmeno come un reato. In questa città con più di 80 mila case abbandonate gli incendi sono oltre cinquemila l’anno, 14 al giorno. Polizia e pompieri, a ranghi ridotti per i tagli di bilancio, riescono a fare qualche indagine solo in un caso su cinque». [4] Negli Stati Uniti quando chiami la polizia, in media arriva dopo 11 minuti. A Detroit ce ne vogliono 58. [8] Cosa succederà adesso? Nessuno lo sa con precisione. Perché è già scontro tra le parti: gli avvocati del sindacato hanno ottenuto un’ingiunzione a sospendere la procedura di bancarotta, considerata incostituzionale, da un giudice dello Stato il cui pronunciamento è stato, però, subito impugnato dal procuratore generale del Michigan. [4] Ora servono tagli drastici alla pubblica amministrazione che è la vera zavorra della città: i dipendenti sono 13 mila, 1 per 55 abitanti, quasi un servizio a domicilio. [12] Avremo così l’ennesima conferma che non esistono in America “diritti acquisiti” neppure nel pubblico impiego, di fronte alla bancarotta. Federico Rampini: «Qualcuno loderà il modello iper-flessibile che consente all’America di uscire più rapidamente dalle crisi. Ma le ferite sociali saranno dolorose. Obama non potrà fare molto per aiutare Detroit, metropoli afroamericana all’80%, penalizzata dallo Stato del Michigan dove il governatore è repubblicano e il potere è in mano ai bianchi». [11] La Casa Bianca ha fatto intendere che per ora non è previsto l’invio di denaro dal livello federale per ripianare i debiti di Detroit. Indirettamente, la città aveva già beneficiato in passato di aiuti federali, quando la prima amministrazione Obama aveva stanziato fondi per 80 miliardi di dollari per salvare GM e Chrysler dal fallimento. [13] Secondo gli esperti Detroit emergerebbe dal Chapter 9 entro l’autunno del 2014. Il piano prevede di tagliare i costi gestionali, vendere i «gioielli» di casa, ristrutturare il debito e sanare il bilancio, oltre a una efficace lotta alla corruzione. Un ruolo fondamentale lo avranno i casinò: Detroit è detta anche «Blackjack City» per il giro d’affari che generano le tre sale da gioco. Gli 11 milioni di dollari che la città riscuote sotto forma di tassazione dei casinò sono equivalenti al 30% dei flussi di cassa disponibili. [12] Il commissario Orr ha già chiesto l’inventario delle opere d’arte della collezione del Detroit Institute of Art, stimate in tutto 2,5 miliardi di dollari. Tra questi ci sono quadri di Pieter Bruegel come Il Ballo di Nozze, La finestra di Henri Matisse, un autoritratto di Vincent Van Gogh. E poi Picasso, Ernst, Miró, un Calder, e Il Pensatore di Auguste Rodin esposto fuori dal portone. [14] Ciò che colpisce di più è che il fallimento di Detroit coincide con un periodo di fantastica rinascita della sua industria automobilistica. Rampini: «General Motors, Ford e Chrysler vanno a gonfie vele, la loro spettacolare rimonta è uno dei fattori dell’attuale ripresa economica americana. Colpisce la divaricazione estrema tra le due situazioni: da una parte un capitalismo privato che torna ad essere forte e opulento; dall’altro un’istituzione pubblica che va a picco, fino a dichiarare bancarotta». [11] Solo lunedì scorso il New York Times ha pubblicato in prima pagina un articolo sulla fabbrica della Chrysler a Jefferson North, in cui elogiava l’impianto come un simbolo della possibile rinascita di Detroit. [3] Jefferson North, il bianchissimo stabilimento nella parte nord-orientale della città dove si producono le Jeep Grand Cherokee Chrysler, lavora a pieno ritmo. Nasce da qui «Imported from Detroit», la campagna pubblicitaria lanciata anni fa dal gruppo guidato da Marchionne. Ma quello stabilimento è l’unico attivo nell’area urbana. Gli altri impianti dell’industria dell’auto (Ford, Chrysler e GM) sono ormai fuori dal perimetro di Detroit. [4] Il rilancio dell’industria automobilistica è stato possibile con un sostanziale dimezzamento degli stipendi che ha avuto un immediato riflesso sul tenore di vita cittadino. Il che si è tradotto in un bilancio eccezionale per la società di Marchionne. Nel 2012, infatti, il Lingotto ha chiuso con utili per 1,4 miliardi ma 2,4 sono venuti dalla Chrysler mentre la sezione italiana registrava un miliardo di perdite. [10] (a cura di Luca D’Ammando) Note: [1] tutti i giornali del 19/7; [2] Massimo Gaggi, Corriere della Sera 19/7; [3] Paolo Mastrolilli, La Stampa 19/7; [4] Massimo Gaggi, Corriere della Sera 20/7; [5] Il Post 17/3/2011; [6] Massimo Vincenzi, la Repubblica 20/7; [7] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 20/7; [8] Mario Platero, Il Sole 24 Ore 20/7; [9] Mario Margiocco, Il Sole 24 Ore 20/7; [10] Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 20/7; [11] Federico Rampini, la Repubblica 20/7; [12] Francesco Semprini, La Stampa 20/7; [13] Il Post 19/7; [14] Giuliano Zulin, Libero 20/7.