Pietro Citati, Corriere della Sera 25/07/2013, 25 luglio 2013
LO «ZIBALDONE» IN INGLESE. IMPEGNATI SETTE TRADUTTORI
Fino a questi ultimissimi anni e anzi a questi giorni, mancava alla cultura d’ogni paese una figura essenziale: Leopardi. Mancava in inglese, in francese, in tedesco, in qualsiasi altra lingua. Mancavano i Canti, le Operette morali, lo Zibaldone, i Pensieri, l’Epistolario, il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica: tutto, assolutamente tutto ciò che Leopardi scrisse nella sua vita. Se oggi dico a un letterato non italiano che i Canti non sono meno belli delle poesie di Hölderlin e di Goethe o delle Fleurs du mal, e insisto che la prosa dello Zibaldone non è meno sconvolgente di quella Nietzsche, nessuno mi crede. Eppure, le cose stanno esattamente così.
Questa mancanza ha le sue ragioni. Leopardi è un poeta difficilmente traducibile: molto più di Hölderlin, sebbene il Faust II di Goethe sia di traduzione ancora più difficile. Il linguaggio petrarchesco — tassesco di una parte dei Canti non è di agevole intelligenza. Ma le Canzoni (Bruto minore, Alla primavera, Inno ai Patriarchi, Ultimo canto di Saffo) sono assolutamente intraducibili. Come volgere in francese o in inglese il «sublime moderno» delle Canzoni, la poesia sognata e immaginata dallo pseudo-Longino e scritta in Italia nel 1821 e nel 1822?
La figura retorica più amata da Leopardi è l’iperbato: egli dissocia le parole e i pensieri dal loro ordine naturale: non procede mai in ordine rettilineo: insinua un’inversione in un’altra inversione: devia (o finge di deviare) dal suo fine: intercala parentesi, poi ritorna al punto di partenza, come se fosse in preda a un vento agitatissimo: rompe qualsiasi concatenazione naturale: separa le cose unite e inseparabili; e, alla fine, dopo un immenso discorso, dice la parola che desideriamo udire da una decina di versi. Quando leggiamo l’Inno ai Patriarchi, abbiamo l’impressione che Leopardi voglia scrivere in una lingua inesistente, o che egli ha creato per primo.
Non è meno difficile tradurre il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica e lo Zibaldone. Sono due meravigliosi testi parlati. C’è il rifiuto della costruzione logica: l’onda, la scorrevolezza e la liquidità del parlato, che va avanti, ritorna indietro, si ferma, si ripete: la mente che scopre le cose via via che le scrive; la velocità del pensiero che sopravanza quella della scrittura; e la presenza di una platea di ascoltatori immaginari, che vengono coinvolti nelle parole, come se fossero anch’essi parole.
Oggi, una di queste grandi lacune è colmata nella principale lingua d’Occidente. Farrar, Straus and Giroux negli Stati Uniti e Penguin in Gran Bretagna hanno appena pubblicato lo Zibaldone (pp. LXXXXVI-2502, dollari 75, sterline 50). È una edizione mirabile. Il testo è quello del facsimile del manoscritto napoletano, pubblicato nella recente edizione computerizzata di Fiorenza Ceragioli; e comprende anche gli indici e le schede leopardiane. I direttori dell’edizione e gli autori della introduzione e del commento critico sono Michel Caesar e Franco D’Intino: il lettore italiano conosce sopratutto l’eccellente commento del secondo agli Scritti e frammenti autobiografici di Leopardi. Gli ottimi traduttori sono Kathleen Baldwin, Richard Dixon, David Gibbons, Ann Goldstein, Gerard Slowey, Martin Thom, Pamela Williams, soccorsi da molti collaboratori per ogni disciplina. I principali finanziatori della edizione sono stati il Centro nazionale di Studi Leopardiani, diretto da Fabio Corvatta, e il ministero italiano degli Affari Esteri.
Mi auguro che l’opera abbia un grande successo, e dia inizio alla pubblicazione di tutte le opere di Leopardi in ogni lingua. Difficoltà resteranno: come la lettura delle Canzoni. Ma, a rigore, tutta la poesia lirica è sempre stata scritta in una lingua assoluta e inesistente in natura.
Pietro Citati