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 2013  luglio 25 Giovedì calendario

MARIA TERESA TATO’ E GLI ANNI CON FOA: «IL NOSTRO LEGAME GIOVANE» - È

stato un amore anziano, certo, dice lei oggi, eppure quando lo racconta, nella sua casa elegante nel centro di Roma, sembra sia vero esattamente il contrario, e cioè che quella di Vittorio Foa e Maria Teresa Tatò sia stata una storia capace di attraversare trent’anni grazie all’allegria, a una casa sempre piena di amici, all’incessante curiosità che poi è un modo di vedere il mondo, sì, ma anche un segreto dell’intelligenza per mantenersi vivi, puliti, ottimisti. Quasi giovani.
Sembra un paradosso, visto che quando si sono sposati lui aveva novantacinque anni e lei quasi ottanta: «Devi arrivare a cento anni e poi ti lascio andare», gli ripeteva lei. Ecco, forse per raccontarli davvero bisognerebbe dimenticare i loro nomi, e un pezzo di storia del Paese: perché, certo, la sinistra italiana è attraversata da intrecci amorosi — per citarne uno tra i tanti di questa storia, il fratello di Sesa Tatò, Antonio, fu lo storico portavoce di Enrico Berlinguer — ma la verità è che non è questo il punto, il segreto che li ha tenuti assieme fino alla fine di «un amore felice, riuscito» va cercato altrove. Bisognerebbe dimenticare ciò che è stato Foa: il carcere fascista, la Costituente, la Fiom, la sinistra della sinistra mai da comunista, sei legislature tra Camera e Senato. E bisognerebbe cercare di non considerare che, forse anche per merito della longevità, divenne unico punto di riferimento di un certo tipo di mondo culturale, politico, intellettuale. Bisognerebbe dimenticare tutto per spiegare l’ultimo legame, e ascoltare solamente le parole di questa signora di 87 anni: «Ci tenevano assieme l’amore e la comprensione reciproca». Poi, naturalmente, «la politica per noi è stato un collante, entrambi pensavamo di aver bisogno degli altri perché senza non saremmo stati niente». Ma per trovare il segreto di quell’unione lei usa un’espressione che, in fondo, andrebbe bene per tutte le coppie fortunate: «C’era una grande intesa nella vita quotidiana». Lo dice sorridendo, abbassa gli occhi in un istinto di pudore.
Quando si sono innamorati lei aveva più di cinquant’anni e lui quasi settanta. «Ci scrivevamo lettere d’amore, sì». Le conserva, ovviamente, ma non le legge, mai: «Non guardo al passato, so che non c’è molto futuro davanti a me ma è lì che guardo, anche Vittorio viveva così. Poi, certo, oggi mi sento come una sopravvissuta di un mondo che non c’è più». Era pieno, quel mondo: trascorrevano molti mesi ogni anno a Formia, e quella casa divenne il loro rifugio. Lì, andavano a trovarli in tanti. Ma non si immaginino inchini e formalità: la casa era colma di familiari e amici, Vittorio Sermonti, Paul Ginsborg, Gustavo Zagrebelsky, tutta la famiglia di Natalia Ginzburg. L’elenco di personalità politiche e intellettuali è lungo, ma forse ciò che rendeva unica quella casa era la presenza di ragazzi, alcuni dai cognomi importanti e altri no, tutti però che oggi ricordano quelle serate e, mentre ne parlano, sorridono con una luce negli occhi che somiglia a un riflesso di gratitudine. «C’era mio nipote Matteo — racconta lei, oggi bisnonna di due bimbi di quattro e sei anni — che passò con noi tanto tempo». Poi è diventato una specie di genio della logica matematica, e comunque per anni ha respirato quell’aria lì: la stessa che «Vittorio amava» e che, secondo alcuni, come una medicina naturale gli ha allungato la vita. La longevità non è stata sinonimo di salute granitica, e quando i malanni si fecero decisivi fu Sesa a mantenere tutto com’era: le serate, le cene, tutta quella gente in casa. Foa, giorno dopo giorno, scendeva sempre meno nella grande sala col camino: «Ma non ha mai smesso, cercava di capire gli altri». L’interesse per il prossimo era ricambiato: quando si sposarono il cortile del Comune di Formia si riempì di applausi. «Avrebbe dovuto essere una cerimonia riservata...». Lui era stato sposato con Lisa Giua, lei con Sergio Garavini: «Sposarci fu una decisione improvvisa dovuta all’idea che le coppie di fatto non hanno gli stessi diritti di quelle sposate. Venivamo da storie fallite, e pensavamo che non sarebbe accaduto più, di innamorarsi».
Per le nozze — la festa della Repubblica del 2005, «il giorno giusto per farlo» — Sesa comprò un cappello a Parigi, e Vittorio le regalò un anello in oro bianco e rosso; durante la cerimonia il sindaco Sandro Bartolomeo — che è appena stato eletto per la quarta volta — costretto dal codice, ricordò loro che «il matrimonio impone ai coniugi il compito educare e mantenere la prole». Foa, già bisnonno, sorrise. E forse è lì il segreto della loro vita assieme, racchiuso in quell’abitudine: «Sorridere. Ma perché Vittorio era così, alleggeriva tutto. A ripensarci oggi quel matrimonio fu una festa d’addio, sì, ma meravigliosa». Ha questa foto in salotto, proprio del giorno delle nozze: lei e lui battono le mani, il viso aperto in un sorriso che pare quasi di spensieratezza, quasi di gioventù.
Alessandro Capponi