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 2013  luglio 25 Giovedì calendario

IL M5S RIVALUTA LA VECCHIA POLITICA. VIA ALL’OSTRUZIONISMO SELVAGGIO

Giovani e in salute come sono, se disponessero dei vecchi regolamenti parlamentari, i deputati a cinque stelle infrangerebbero ogni record. Il detentore ufficioso, Massimo Teodori, riconobbe con fair play di essere stato battuto da Marco Boato: «Parlò più di me». Il celebre ostruzionismo del 1981, imperiosamente organizzato dai radicali contro la reiterazione delle leggi emergenziali anti-terrorismo, vide Teodori parlare consecutivamente per diciotto ore e cinque minuti. Boato cominciò alle otto di sera e concluse l’indomani alle 14.20. «Un primato che forse è mondiale», commentò Boato anni dopo ringraziando Teodori per l’ammissione di sconfitta. La settimana successiva allo spettacoloso filibustering, i regolamenti parlamentari vennero modificati togliendo agli onorevoli la facoltà di tenere parola fino a cedimento fisico, e oggi, per inchiodare l’aula due o tre giorni, alle truppe d’opposizione è toccato di federarsi, diciamo così. Duecentocinquanta iscritti a parlare, cinque minuti a testa, totale mille e duecentocinquanta minuti, cioè quasi ventuno ore. Questo è il tempo necessario per illustrare gli ordini del giorno (i quali, a differenza degli emendamenti, non vincolano l’esecutivo); più le repliche del governo, più le dichiarazioni di voto: si andrà sulle quaranta ore e infatti ieri sera è stato deciso di proseguire i lavori a oltranza.
L’ostruzionismo, come tante manovre parlamentari, non ha altra possibilità di successo che incuriosire chi sta fuori dal palazzo perché sappia che si combina dentro: tanto le leggi non si bloccano. I grillini - oltre ai leghisti, ai vendoliani e ai fratelli d’italia - si oppongono non soltanto al decreto del fare, ma anche alla richiesta di fiducia fatta dal premier che annulla il dibattito e la possibilità di minima modifica. Ma in situazioni come queste, o ci si inventa qualcosa o la trovata prende le forme del rito stanco e sterile. Nel vedere ieri questi ragazzi darsi il testimone fra gli sbadigli plenari, si notava tanta buona volontà e tanta fatica sprecata. Niente di eroico. Un passaggio del Corriere della Sera del 1949 - molto citato in occasioni simili - ricorda: «All’improvviso ecco balzare alto sulla mischia il comunista Pajetta (non Giancarlo, ma suo fratello Giuliano, ndr) che, partito come un razzo dal terzo settore, con tre balzi aerei, da un settore all’altro, è piombato a tuffo nel groviglio di teste, braccia e gambe e in quel groviglio sparisce inghiottito...». Si dibatteva dell’ingresso nel Patto Atlantico e, per rallentare i lavori, i comunisti li interrompevano con facezie, insulti, anche con virili corpo e corpo, come s’è visto.
Per dire che i modi affettati non erano prerogative dei bei tempi che furono: nel 1953, per insorgere contro la legge truffa, le opposizioni presentarono mille e seicento emendamenti, ognuno dei quali veniva presentato e discusso a maniche metaforicamente rimboccate. Si finì col regolare la faccenda a ceffoni e cazzotti, e peggio: Giulio Andreotti ricordò di essersi infilato in testa un cestino della carta come elmetto, fra i leggii che piovevano da sinistra (e il comunista Velio Spano si distinse per il prodigioso lancio di una poltrona verso il presidente del Senato). Non si stanno suggerendo strategie agli insorti di oggi. Però lo spettacolo inscenato ieri non parrebbe di quelli infiammabili. I giovanotti a cinque stelle - e i loro colleghi di opposizione - si sono prodotti come diligenti scolaretti nell’occupazione dei cinque minuti concessi per leggere ordini del giorno sull’interdizione anticipata dal lavoro per donne gravide, su un piano nazionale straordinario per il reclutamento di ricercatori universitari, sull’inquinamento e la manutenzione delle falde acquifere, sulla Metro C di Roma, sull’«annosa questione» dei doppi incarichi e sulla consultazione dell’area dedicata dell’Inps, il tutto nel disinteresse globale. Il brivido pomeridiano si è avuto quando il deputato Claudio Cominardi ha chiesto al presidente Laura Boldrini se disponesse di altro tempo (siccome lei - come tutti - era in preda a diversivi e non ascoltava, lui ne ha attirato l’attenzione picchiettando con l’indice sul microfono); scoperto di avere altri due minuti e mezzo, e non sapendo come impiegarli, Cominardi si è messo a leggere piano, sempre di più, fino a scandire le sillabe e concludere l’intervento in una liberatoria risata ginnasiale.
Oggi si ricomincia, e nessuna sorpresa, nessun dolore: trent’anni fa, nei giorni di Boato e Teodori, si doveva parlare a braccio (se si leggeva un testo, il limite massimo era di un’ora), era consentito bere acqua ma vietato mangiare, appoggiarsi al banco e soprattutto andare a fare pipì. Fu così, durante un ostruzionismo del 1970, che Giorgio Almirante si guadagnò il titolo di Vescica di Ferro. Un titolo che a Montecitorio non sarà mai più in palio.