Antonio Rossitto, Panorama 18/7/2013, 18 luglio 2013
MESSINA LA MARZIANA
«Per favore, posso fare una telefonata?». Di fronte all’inusuale richiesta, la navigata segretaria ha guardato lo scavato volto barbuto di Renato Accorinti con bonarietà, prima di rispondere: «Certo, lei qua dentro può fare quello che vuole». Accorinti è stato eletto sindaco di Messina un mese fa. Ma la già vasta aneddotica è tenuta insieme dallo stesso sottotitolo: cronache di un marziano appena sbarcato sulla Terra. Basta guardarlo: maglietta blu con la scritta «Free Tibet», jeans, sandali, zainetto, barba e capelli bianchi da santone e bicicletta.
Direte: come Ignazio Marino, suo parigrado nella capitale, che ama farsi immortalare su una bicicletta con scorta al seguito? Tutt’altro: Accorinti era il più strambo in circolazione già prima di venire eletto. «Il pazzo della città» lo liquidavano senza eufemismi certi maldicenti abitanti. E da sindaco non ha cambiato usi e costumi, arrivando a presentarsi scalzo il giorno del suo insediamento: «Voglio rimanere umile, con i piedi per terra». Fino a poco tempo fa gli uscieri lo cacciavano dal comune a calci nel sedere. Ora lo osannano come un messia anticasta, venuto dal cielo per punire potenti e corrotti.
Perché Messina è un luogo immobile e disperante. Nepotismo e poteri forti sono l’unica malta da mezzo secolo. Comandano le stesse famiglie: nella politica, nell’imprenditoria, nell’università. La città dello Stretto sembrava irredimibile, comunque disposta a mandar giù tutto. Poi, dopo l’ennesimo commissariamento biennale, si è rivoltata. E, al secondo turno delle amministrative, ha votato un contestatore con trent’anni di onorata e insana carriera. Si è battuto contro il ponte sullo Stretto, le basi Nato, le guerre, la mafia, gli yankee, il servizio militare e tutti i sindaci che lo hanno preceduto. Sempre platealmente: a dimostrazione si ricorda quella volta che si arrampicò per 220 metri sul pilone di Torre Faro per srotolare uno striscione contro il ponte.
E mentre «’u Pazzu», un mese fa, entrava a Palazzo Zanca, sede del comune, come massima nemesi finiva nella polvere il politico più noto e potente della città: il parlamentare del Pd Francantonio Genovese, indagato assieme a cinque familiari per i suoi affari nella formazione professionale. Mentre l’università, la più nepotista e inquisita d’Italia, veniva ricacciata nel fango dall’ennesima inchiesta della magistratura su ‘ndrangheta ed esami facili. Proprio mentre si consuma la caduta dell’ex rettore Franco Tommasello, condannato a febbraio a 3 anni e 6 mesi per tentata concussione, con l’elezione del nuovo magnifico: Pietro Navarra, appena 45 anni, famiglia di influenti baroni accademici.
Accorinti, ossuto cinquantanovenne, insegnante di educazione fisica, è invece la palingenesi. «Questo è un nuovo ‘68!» urla in una sala al secondo piano del Palacultura. parallelepipedo di cemento che orna un vialone. Lo ascoltano alcune centinaia di persone: intellettuali, borghesi, popolani. «Dopo decenni di mortificazioni, ci siamo rialzati. Messina deve diventare la città della gioia!» continua al colmo della retorica. «La rivoluzione parte dall’anima. E se io cambierò, mandatemi a casa a calci nel culo. Quando faremo errori, dovete dirmelo. E se c’è da protestare, mi metto quella minchia di fascia bianca, rossa e verde per venire con voi». Ovvii applausi a scena aperta. Con trasporto e lievità, bacia donne, infanti e marcantoni. Come nell’isola sapeva fare solo l’ex governatore Totò Cuffaro, ora a Rebibbia per aver favoreggiato Cosa nostra.
Non ha mai avuto cellulari, camicie o cravatte. E ha promesso che guadagnerà lo stesso stipendio che aveva da insegnante: 1.800 euro. Anarchico e buddista, condisce ogni abbraccio di massime spirituali e pacifiste. Buddista e meditativo, impose ai suoi alunni pratiche contemplative. A mezzanotte e mezzo, finito l’incontro con i cittadini, mangia un panino e beve una birra in una bettola del centro. «Ormai sono prigioniero politico del comune, puttana Eva» ragiona vista l’ora tarda. «In balia dell’entusiasmo della gente: mi fermano ovunque, a tutte le ore, dalle 8 di mattina alle 2 di notte».
Bagni di folla e francescanesimo non risolveranno però i giganteschi problemi di Messina: a partire dalla voragine di 392 milioni di euro nei conti. I commissari sono appena usciti dal comune, ma continuano ad amministrare la provincia, l’asl, il porto, le case popolari. E anche per il sindaco le cose non si annunciano facili: Cambiamo Messina del basso, la lista di Accorinti, ha appena quattro consiglieri su 40. E lui, per far rinascere la città, ammette di non avere ancora ricette chiare. Ma delegherà molto agli assessori: «Gente perfettamente in linea con me, scelta con la frequenza dell’anima».
Il suo alter ego è il deputato del Pd, Genovese. Bassino, felpato e curiale, arriva in piazza Cairoli a mezzogiorno spaccato su una Smart. Ha 45 anni, una calvizie ormai dilagante e il volto rotondo come gli occhialini. Ex sindaco, già segretario regionale del Pd, il più votato d’Italia alle primarie, è il grande sconfitto: il suo candidato, Felice Calabrò, ha mancato il successo al primo turno per 59 voti per essere poi sconfitto al ballottaggio da Renatu u Pazzu. Era convinto di avere la vittoria in tasca. Genovese. «Invece le elezioni si sono trasformate in un referendum contro di me» ammette mentre sorseggia un aperitivo analcolico con movimenti lenti e controllati. Odora di incenso democristiano: come il potentissimo zio Nino Gullotti, che fu pluriministro doroteo, e il padre Luigi Genovese, più volte senatore. Condivide il ruolo di dominus politico della città con Gianpiero D’Alia, ministro della Pubblica amministrazione e segretario dell’Udc in Sicilia, ultimo granaio di consensi rimasto ai centristi. Genovese però è anche un uomo d’affari, con interessi nella navigazione, nel turismo, nell’immobiliare. E nella formazione professionale, dove la sua famiglia controlla quattro enti, che tra il 2011 e il 2012 avrebbero ricevuto quasi 2 milioni di euro. Un sistema di finanziamenti pubblici e interessi elettorali contro cui si è scagliato il presidente della regione, Rosario Crocetta. Che ha pressato la maggioranza per avere al più presto una legge antiparentopoli. I maligni sostengono che il suo attivismo serva a indebolire il Pd a Messina per rafforzare il suo Megafono. Genovese però accenna un sorriso bonario e, da buon cristiano, si ritrae: «Non credo che Crocetta volesse colpire me» sibila poco convinto. «E comunque, tornassi indietro, nella formazione non mi infilerei più».
Anche la Procura di Messina ha messo gli occhi sugli affari di famiglia. Il deputato è indagato assieme a cinque parenti: la sorella Rosalia, la moglie e la cognata, Chiara e Giovanna Schirò, il nipote Marco Lampuri e il cognato Franco Rinaldi, onorevole regionale del Pd. Il reato ipotizzato è associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Insomma, nel settore il futuro non è roseo. Poco male per Genovese, che resta in affari con la famiglia Franza, simbolo del potere imprenditoriale, ramificato e storico, nella città. Il quartiere generale del gruppo si trova nell’area industriale. Vincenzo è il giovane amministratore delegato della Caronte & Tourist, che gestisce «i collegamenti tra Sicilia e continente». È socio e amico di Genovese, ma il sindaco scalzo piace anche a lui: «È un genuino elemento di novità» sorride Franza. «E darà una frustata salutare alla politica tradizionale, che sarà costretta a migliorarsi». Anche se sulle capacità di governo lascia trapelare qualche dubbio: «Per ora non gli farei amministrare nemmeno un condominio. Ma Accorinti è una persona umile e onesta. Magari sorprenderà».
Con retropensieri e linguaggi diversi, è quello che pensa la maggioranza dei residenti: «Renatu ‘u Pazzu» è il meglio che potesse capitare. Giuseppe, titolare di un bar in via Garibaldi, usa parole semplici: «Peggio di quelli che c’erano prima non può essere». Il costituzionalista Antonio Saitta, prorettore dell’Università di Messina, fa analisi più sofisticate: «Ho votato per il Pd, ma speravo vincesse Accorinti: la filiera del potere doveva implodere».
Anche il mondo accademico festeggia il rinnovamento: dopo nove anni di reggenza e quattro inchieste che lo hanno coinvolto, l’ex rettore Franco Tommasello ha ceduto il passo. Al suo posto è stato eletto il suo ex delfino, Pietro Navarra: 45 anni, padre ex barone della medicina e due fratelli in cattedra. Molto si è malignato sulla parentela con il boss Michele Navarra, che del magnifico era zio. Ma il capo dei corleonesi venne ucciso nel 1958, quando il futuro rettore doveva ancora nascere.
Fatto sta che appena insediato, Navarra si è trovato di fronte l’ennesima inchiesta di esami comprati e criminalità nell’ateneo, con un docente finito agli arresti: Marcello Caratozzolo. Saitta ora promette: «Accorinti ha rotto un sistema. L’università farà altrettanto». Sul futuro del sindaco scalzo però adesso pende un ricorso al tar, presentato da alcuni candidati non eletti. Potrebbe portare a un nuovo conteggio dei voti del primo turno: quello in cui Calabrò, il candidato del Pd, mancò la vittoria per 59 voti. Un soffio che potrebbe essere colmato da schede nulle o da convalidare. A quel punto Messina la stramba tornerebbe immobile. E sarebbe chiaro perché William Shakespeare ambientò in città Molto rumore per nulla. (twitter@AntonioRossitto)