Stefano Vespa, Panorama 18/7/2013, 18 luglio 2013
HA ARRESTATO PROVENZANO, ORA È OSTAGGIO DELLA GIUSTIZIA
Condannato ad aspettare, senza sapere che vita avrà. Sei mesi e 28 giorni di reclusione ancora da scontare, non si sa quando e come, nonostante abbia perfino chiesto di andare in carcere. È l’assurda vicenda di uno dei più brillanti poliziotti italiani, Gilberto Caldarozzi, 56 anni, direttore del Servizio centrale operativo fino al luglio 2012, quando fu sospeso per l’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici dopo la sentenza definitiva della Cassazione. Caldarozzi ha scritto una lettera al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, riassumendo le peripezie giudiziarie degli ultimi anni.
L’ex capo dello Sco è uno dei poliziotti accusati per i fatti del G8 di Genova del luglio 2001, ma i 3 anni e 8 mesi che gli hanno inflitto, di cui 3 condonati per l’indulto, riguardano il falso ideologico che avrebbe commesso in un verbale di arresto, anche se gli contestano pure verbali non firmati. Già nel 2005, infatti, il gip di Genova aveva archiviato l’accusa di lesioni aggravate. Assolto con altri colleghi nel novembre 2008 dal Tribunale di Genova dopo 172 udienze, Caldarozzi è condannato in appello nel maggio 2010 dopo appena 18 udienze, sentenza confermata in Cassazione il 5 luglio 2012 negandogli anche le attenuanti generiche, sempre concesse agli incensurati. Il mancato rinnovamento dibattimentale in appello e altri elementi lo hanno fatto ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel dicembre scorso.
Nel marzo 2013 la procura generale presso la Corte dei conti della Liguria contesta a Caldarozzi e ad altri un danno erariale di 334 mila euro per le lesioni subite dal giornalista Mark Covell nella scuola Diaz: il motivo sta nel ruolo di vertice ricoperto, che l’ex capo dello Sco invece non aveva. E, comunque, il gip non aveva escluso sue responsabilità? Il 17 maggio, poi, gli notificano un procedimento disciplinare del sostituto procuratore generale di Genova Ezio Castaldi che lo considera ufficiale di polizia giudiziaria. Peccato che Caldarozzi non lo sia più dal 2006, quando venne promosso dirigente superiore. Castaldi, per inciso, è quel magistrato rinviato a giudizio per aver incollato la serratura della porta di un vicino e pizzicato grazie a una telecamera nascosta. Ma non è tutto: già dall’ottobre 2012 il Viminale aveva avviato un procedimento disciplinare e quindi Castaldi viola il principio del «ne bis in idem».
Per scontare gli 8 mesi, l’11 aprile 2013 il tribunale di sorveglianza rigetta la richiesta di affidamento ai servizi sociali (concesso ai peggiori pregiudicati) e manda Caldarozzi ai domiciliari applicando il decreto «svuotacarceri» del 2010. Può uscire due ore al giorno, ma non può continuare il volontariato e un lavoro esterno per la «scarsa significatività sotto l’aspetto dell’emenda». In poche parole: i giudici pretendevano che Caldarozzi ammettesse i danni d’immagine al Viminale e gli imputano indifferenza nei confronti delle vittime. Il superpoliziotto, invece, si considera innocente e in una memoria del 5 aprile si è rammaricato per l’accaduto nella scuola Diaz, pur non essendone responsabile. Il 2 maggio Caldarozzi comincia la detenzione domiciliare che sarà interrotta il 3 giugno. L’11 maggio, infatti, la procura generale ricorre in Cassazione contro l’automatica applicazione dello svuotacarceri. Due le contraddizioni: su quella modalità di applicazione nove procure generali, compresa quella di Genova, si erano dette d’accordo pochi mesi prima e il magistrato, Luigi Carli, è lo stesso che l’11 aprile era favorevole ai domiciliari. Non solo. Il tribunale di sorveglianza accoglie la richiesta di sospensione della detenzione, avanzata dalla procura generale, pur ammettendo che si tratta di un’eccezione e contraddicendo così un altro collegio dello stesso tribunale.
Insomma, un caos. Il 28 maggio anche Caldarozzi ricorre in Cassazione contro il mancato affidamento ai servizi sociali o comunque la concessione dei domiciliari. Ma, soprattutto, il 12 giugno scrive al presidente del tribunale di sorveglianza, Giorgio Ricci, chiedendo la revoca della sospensione per espiare la pena, perfino da recluso in un carcere militare. Il 4 luglio l’istanza viene respinta, come una analoga del suo avvocato, Marco Valerio Corini.
La vita dell’ex capo dello Sco è sospesa. Quanto impiegherà la Cassazione? Un anno? E poi toccherà di nuovo al tribunale di sorveglianza? Quando sconterà quei 6 mesi e 28 giorni rimanenti, forse anche ridotti dei 45 giorni di liberazione anticipata? Vorrebbero saperlo anche sua moglie e suo figlio. (Stefano Vespa)