Bruno Giurato, Lettera43 24/7/2013, 24 luglio 2013
ALLEVI, L’INCOMPRESO
Sembrava il new waver della musica, il Mozart del 2000, o come è stato scritto, «il più moderno compositore italiano». Solo che, passato qualche anno, si fa strada una domanda: non è che a conti fatti, Giovanni Allevi si sta rivelando un capellutissimo bluff del pianoforte, per di più con indomabili tendenze arriviste?
La sua uscita al Giffoni film festival, dove ha dichiarato «a Beethoven manca il ritmo, quello lo possiede Jovanotti», non solo ha provocato sui social network una slavina di insulti che nemmeno l’orango di Roberto Calderoli, ma ha fatto reagire male perfino un amico storico del pianista ascolano, nonché collaboratore da più di 20 anni di Jovanotti, Saturnino Celani.
«Caro Giovanni, il buon Ludovico Van non era un paraninfo, tu sì», ha scritto su Facebook il bassista: anche se alla fine ha aggiunto uno smile, la frase è suonata come una sberla in grado di pettinare i riccioli alleviani.
«Paraninfo», in fondo corrisponde a «ruffiano». Già una settimana dopo le elezioni di febbraio con il boom del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, Allevi aveva tentato il salto sul carro del vincitore dichiarando che tra il suo pensiero e quello dell’ex comico genovese c’erano «diversi punti di contatto, tra cui l’essere anti-Casta».
Qualcuno ha perfidamente notato che il dirsi anti-Casta, per uno che aveva diretto il concerto di Natale 2008 in Senato (senza nemmeno aprirlo come una scatoletta di tonno come invece vorrebbe Grillo) era un bel controsenso.
La paraninfaggine esige accortezza, in certi casi. Anche se probabilmente la Casta cui si riferiva Allevi è quella della musica italiana, quella conservatoriale, quella che, a ogni sua apparizione freme di gelosia (secondo lui), o magari, secondo altri, di indignazione.
Proprio dopo il concerto a Palazzo Madama, Uto Ughi disse: «Evidentemente i consulenti musicali del Senato sono persone di poco spessore». Secondo il violinista, infatti, la musica di Allevi è «un collage furbescamente messo assieme». Ma quello che più irrita Ughi è che il pianista «si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore»: «Ciò che mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà».
Un investimento mediatico poteva essere quello che stava per portare a un evento insolito. Un brano di Allevi era stato incluso tra le prove finali del concorso di Genova per violinisti intitolato a Niccolò Paganini, uno dei più prestigiosi al mondo. Nel 2012, quando si diffuse la notizia, successe una mezza rivoluzione tra musicisti, direttori d’orchestra e critici. E alla fine il concorso fu messo in stand by.
Del resto Paganini aveva dalla sua il diavolo, il buon Allevi va ripetendo a ogni cantone da anni: «La musica è la mia strega capricciosa». Via, non c’è confronto.
Anche se finora più che dalle forze occulte il pianista è stato favorito dal bisogno di consenso pop da parte di enti musicali in cerca di testimonial per svecchiare l’immagine.
Più che anti-Casta o «ribelle mio malgrado» come ama definirsi, Allevi è la faccia nerd, capelluta e occhialuta di un establishment pop musicale confuso e infelice.
Per un po’ il giochino della simpatia, della timidezza e della vocina-risatina nella presentazione dei brani ha funzionato. Per un po’ la strategia della rassicurazione musicale, del pianoforte di Nonna Speranza rallegrato da riccioli e sneakers, ha retto.
Magari si nota che nella parodia che gli ha dedicato, Checco Zalone sembra un pianista migliore di lui.
Soprattutto si noti che tra i sette album originali (il primo, 13 dita, fu prodotto proprio da Jovanotti nel 1997) i brani che rimangono sono pochissimi.
Forse solo Panic, che sembra riprendere ai limiti del plagio la sigla del cartone animato Mio mini pony. E comunque nulla di paragonabile a Ballade pour Adeline, resa famosa da Richard Clayderman, pianista easy listening degli anni ’70 senza le grottesche pretese autoriali di Allevi.
Insomma, nonostante i rallentando e le tessiture di arpeggi sul registro medio siano ottime sonorizzazioni per spot automobilistici, per sale d’aspetto di dentisti o magari aeroporti, quella di Allevi sembra sempre più muzak.
Come ha notato con magistrale perfidia un fumetto in cui Allevi viene visitato dal fantasma, ebbene sì, di Valentino Liberace, che lo obbliga a confessarsi come suo erede spirituale. Ecco, non il Beethoven senza ritmo e nemmeno il ritmico Jovanotti. Un Liberace ti salverà, Giovanni.