Elisabetta Rosaspina, Corriere della Sera 23/07/2013, 23 luglio 2013
QUELLE DUEMILA LETTERE TRA WALPOLE E MADAME DU DEFFAND
Nessuno potrà provare che fu amore. Ma di sicuro fu passione. Una straordinaria, divorante, inesauribile passione platonica. Tra un’ex libertina francese di 68 anni, quasi cieca, ma sempre lucida e sagace, e un intellettuale anglosassone di 20 anni più giovane, incapace di ammettere il fascino che quella veneranda e brillante nobildonna esercitava su di lui, suo malgrado. Come testimoniano le oltre duemila lettere che si scambiarono per quindici anni, in una vivace schermaglia epistolare che aveva un drastico obiettivo: bandire ogni sentimento. E lo mancò completamente.
Oggi, nei salotti del gossip, la definirebbero, sbagliando, una donna «cougar»: un’attempata predatrice di giovanotti di belle speranze e miglior aspetto. Errore. Madame du Deffand aveva semmai costruito la sua carriera di seduttrice sugli uomini maturi. Tralasciando il marito, di 12 anni più anziano, un colonnello di un reggimento di dragoni di cui conservò dopo la separazione soltanto il cognome, era diventata famosa come la favorita (per due settimane) del Reggente di Francia, Filippo II d’Orléans, più grande di 23 anni. E il suo amante ufficiale, lo storico Charles-Jean-François Hénault, per tutti «il presidente», era coetaneo dell’ex marito.
Quando la conosce, nel 1765, Horace Walpole ha appena terminato di scrivere Il Castello di Otranto, il suo capolavoro, e si è concesso un viaggio a Parigi, abbandonando la sua eccentrica dimora neogotica, personalmente progettata a Strawberry Hill. È il figlio minore di Robert Walpole, per vent’anni primo ministro del governo inglese. «Fornito di un nome illustre, pieno di lettere di presentazione, già in relazione con quegli aristocratici francesi», come scrive Benedetta Craveri nella sua ampia ricostruzione di Madame du Deffand e il suo mondo (Adelphi editore), Walpole ha un’agenda fitta di impegni il 17 settembre, quando viene introdotto nel salotto di Madame du Deffand: «Una vecchia cieca, dissoluta», sono le prime, feroci impressioni del letterato. Ma destinate a resistere solo poche settimane.
All’inizio dell’anno successivo Walpole cambia tono parlando di lei con l’amico poeta Thomas Gray, riconoscendole «vivacità, spirito, memoria, giudizio, passione, fascino». Non ne è certo innamorato, ma il fatto che l’anziana marchesa sia la corrispondente preferita di Voltaire, cui indirizza, dettandole, «lettere incantevoli», e tenga testa al più temuto e famoso filosofo ed enciclopedista di Francia, lo impressiona parecchio: «Perché è tutta amore o tutta odio, appassionata fino all’entusiasmo per gli amici, ancora preoccupata di essere amata, non da amanti, beninteso, e nemica violenta ma aperta». I loro incontri si intensificano.
Madame du Deffand, nata nel 1697 con il nome di Marie Anne de Vichy-Chamrond, capisce prima del suo assiduo ospite britannico che il loro legame sta assumendo una deriva da lei mai esplorata prima: tanto scettica, quanto disinvolta in gioventù, si vanta di essere immune dal romanticismo, e più conosce gli uomini più si annoia a morte. Finché la voce di Horace, «estremamente gradevole e sommamente signorile» irrompe nella notte della sua esistenza blasé e la sconvolge: «S’iniziava così, nel suo celebre salotto dalla tappezzeria a nodi rossi, dove erano passati tutti i forestieri di gran nome in visita a Parigi, quella straordinaria relazione sentimentale che costituisce un capitolo unico nella storia dei grandi amori», scriverà Piero Gadda, poco meno di 200 anni dopo, affascinato anche lui da quella «esclusiva adorazione sentimentale» dalla quale — in verità — Walpole cercava invano di smarcarsi, arroccato nel suo maniero di Strawberry Hill.
«Se durante quei quindici anni che durò la strana affezione, di una profondità quasi tragica, di Madame du Deffand — ipotizzerà Gadda —, Walpole fosse vissuto a Parigi, probabilmente, col suo carattere sospettoso ed imperioso, la vecchia geniale cieca si sarebbe bisticciata con lui. La lontananza è, sovente, pei sentimenti, un balsamo conservatore». Nessuno dei due orgogliosi corrispondenti cerca di accorciarla, al di là del contatto tra i rispettivi fogli di carta da lettere.
In un bizzarro capovolgimento anagrafico, lui le scrive «mia cara piccola» e lei ricambia con «mio tutore», ma la parola «amore» è espressamente proibita fra loro: «Walpole — analizza Benedetta Craveri — non è abbastanza padrone dell’uso del francese per non preoccuparsi di un vocabolo che è anche pericolosamente corrispondente alla situazione reale». Che la vecchia cieca vede chiaramente, infrangendo il veto: «Non si può amare più teneramente di quanto vi amo». Walpole ha il terrore del ridicolo. Ma non interrompe mai l’invio di quelle lettere che chiede regolarmente indietro, senza distruggerle.
E quando Walpole, «l’uomo di ghiaccio», si scioglie di fronte alle difficoltà finanziarie della «cara piccola» e reclama il diritto di soccorrerla, lei capisce di essere corrisposta. Forse sì. Forse no. «Mi rimpiangerete, perché fa piacere sapersi amati» gli scrive nell’ultima lettera, prima di morire, a 83 anni.
Elisabetta Rosaspina