Enrica Brocardo, Vanity Fair 24/7/2013, 24 luglio 2013
IL KAZAKISTAN? CANTA NAPOLI
Dell’espulsione di Alma Shalabayeva non vuole parlare. «Immaginavo che me l’avrebbe chiesto. Purtroppo devo rispondere: no comment. Lei mi capisce, no?». Pasquale Caprino, 27 anni, nome d’arte Son Pascal, originario della Campania (l’accento è rimasto quello) in Kazakistan è una pop star. Tanto che su di lui hanno realizzato uno show a metà tra reality e docu-fiction, Pascalistan, che va in onda su Deejay Tv (da martedì a venerdì, alle 23). Lo raggiungo via Skype ad Almaty (l’ex capitale del Paese), dove vive.
Mi dica solo se anche lì è un caso da prime pagine dei giornali come da noi.
«Diciamo che c’è un medio interesse, ma non come in Italia».
Com’è fare il cantante da quelle parti?
«È un mercato nuovo. Anche solo organizzare un concerto non è facile. I soldi ci sono, mancano le risorse umane. Qualche settimana fa, sono arrivato sul palco e non c’era niente di niente. A sentire il concerto c’erano 12 mila persone e l’ospite d’onore era Nicole Scherzinger delle Pussycat Dolls. Non stiamo parlando della festa della salsiccia. Il fatto è che qui cantano ancora in playback o con la base».
Com’è la vita in Kazakistan?
«Noi europei siamo pieni di pregiudizi, crediamo che qui siano dei cavernicoli. Pensano a Borat (il film con Sacha Baron Cohen su un finto giornalista kazako in trasferta negli Stati Uniti, ndr). La gente mi twitta: “Ma in Kazakistan esiste la Nutella?”. Almaty è una città globalizzata. Abbiamo la fibra ottica. C’è anche il Burger King. McDonald’s no: non so perché».
Sono tanti gli italiani?
«Qui ad Almaty saremo 200, 300, forse anche meno. La maggior parte si trova dove ci sono i giacimenti di petrolio».
E lei è l’unico famoso?
«No, ci sono altri che suonano nei locali».
Pensavo che avesse smesso con le feste private, che avesse fatto il salto.
«A volte le faccio ancora. In Italia, i musicisti storcerebbero la bocca, ma qui il budget di certi matrimoni è altissimo. Un po’ come a Napoli con i cantanti neomelodici».
E alla fine della festa gli ospiti tirano fuori le pistole. L’ha raccontato lei.
«Sì, ma rispetto a Napoli qui sono più blues: prima delle pistole, bevono latte di cavallo».
Cosa?
«Fa parte della loro storia: tradizionalmente il popolo kazako era nomade. I cavalli li usi per andarci in giro, alla fine te li mangi».
Insomma, si trova bene?
«È un’esperienza interessante ma non è facile. Non è che lo show business locale mi adori. Gli stranieri rischiano di passare per invasori. E, in effetti, tanti vengono qui solo per fare soldi e poi tornarsene a casuccia. Non è il mio caso: io sono rimasto per amore di una ragazza e perché qui mi hanno dato possibilità che in Italia non avevo».
L’accusano di rubare lavoro e donne?
«Esatto. Una volta, in Tv, ho sbroccato. E mica con uno chiunque, era una produttrice musicale e cinematografica molto potente: una sorta di Rita Rusic mista a Maria de Filippi mista a Mara Maionchi».
Chi sono i cantanti italiani più noti?
«Ai primi tre posti ci sono: Toto Cutugno, Adriano Celentano e Al Bano. Con Al Bano abbiamo anche registrato una canzone insieme. Si intitola Ainalain».
Che cosa vuol dire?
«Qualcosa tipo: “Lattuccio mio”. È un vezzeggiativo. Ma è anche legato a una tradizione kazaka: un uomo che corteggia una donna girandole intorno col cavallo».
Quindi, da lì lei non si muove.
«Al contrario. Suono spesso in giro per il mondo per studenti kazaki: ricevono borse di studio per andare all’estero e mi invitano alle loro feste. Sono stato a New York, Kuala Lumpur, Parigi».
A proposito: per lavorare lì come si fa? Lei, per esempio, che visto ha?
«Di servizio. Siccome ho inciso alcune canzoni in kazako, le autorità locali mi appoggiano. Sul mio visto c’è scritto che mi occupo di promozione della lingua e cultura kazaka nel mondo».