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 2013  luglio 24 Mercoledì calendario

IL SILENZIO DEL CAVALIERE DOPO I PROCLAMI ELETTORALI

Chissà se saremo smentiti già oggi, e Silvio Berlusconi dirà se sta con Daniela Santanché e Renato Brunetta, favorevoli alla cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, oppure col cassiere Maurizio Bianconi (appoggiato da colonnelli come Fabrizio Cicchitto), più affezionato ai denari statali. È strano che il capo supremo del centrodestra non abbia speso sillaba né a incoraggiare gli abolizionisti né a scoraggiare i conservatori, lui, abolizionista storico. Perlomeno nei propositi. Durante la scorsa campagna elettorale, la soppressione delle dotazioni pubbliche era stata inserita da Berlusconi fra le «otto proposte choc» pensate per rilanciare l’economia, e che senz’altro rilanciarono il Pdl alfaniano stramazzato appena sopra il dieci per cento. E che piglio aveva, il Cavaliere: «Bisogna abrogare il sistema di finanziamento di gruppi e partiti così come l’abbiamo conosciuto», diceva a fine settembre. E a gennaio, ospite di Sky , si mostrò a pettorali in fuori: «Mi impegno a presentare in Parlamento, nel primo mese del mio governo, una legge che abolisca il finanziamento pubblico dei partiti (...) e a dimezzare il numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali».

A nessuno sfugge che questo non è il governo di Berlusconi, o lo è soltanto in parte. E quindi non ci è dato sapere se avesse vinto il Pdl - ora vedremmo davvero una portentosa morìa di politici. Però l’annullamento dei fondi per i partiti sembrerebbe un punto d’onore (o un calcolato cedimento all’antipolitica) dell’esecutivo di Enrico Letta. E contro il quale si muovono, non tutti apertamente, i gruppi parlamentari tranne quello grillino. Sarebbe sufficiente una parola del Capo perché gli emendamenti meno vitali del Pdl (una parte dei centocinquanta presentati alla Camera) venissero ritirati permettendo un’approvazione rapida della nuova legge. Il tempo stringe: si va in aula dopodomani. Se Berlusconi conservasse una percentualedelladeterminazione mostrata a febbraio («Nella prima riunione del Consiglio dei ministri aboliremo il finanziamento pubblico dei partiti») o ad aprile a elezioni già fatte («Mentre le altre forze politiche sembrano impegnate a perdere tempo, noi presenteremo in Parlamento le otto proposte choc»), il finanziamento sarebbe depennato in un quarto d’ora. E invece non sono bastati vent’anni.

Nel 1994, nella corso della sua prima esperienza di governo, Berlusconi avanzò il proposito di dare seguito al referendum radicale che l’anno prima aveva dato opportunità agli elettori di spazzare via la contribuzione pubblica. Gustate l’intransigenza: «Il mio parere è che lo Stato non debba finanziare i partiti, neanche attraverso esenzioni fiscali, anche perché ciò è stato deciso tramite un referendum». Si sa che quel governo resse poco, e Forza Italia con alleati non ebbe il tempo di mettere mano alla questione. Ma Berlusconi non se ne dimenticò. Almeno non immediatamente.

Nel 1999, all’opposizione ormai da una vita, diede il ragguaglio: «La nostra posizione la conoscete: noi vorremmo che i cittadini fossero lasciati liberi di scegliere a quale partito dare il loro supporto». Con una nuova remora: «Se noi dichiarassimo una rinuncia totale al finanziamento, i nostri avversari ne approfitterebbero accusandoci di essere un partito ricco che non ha di questi problemi». Di conseguenza, un paio di mesi più tardi, obbligato dagli eventi e dal contesto, allargò le braccia: «Sappiamo che è necessario finanziare la politica e vorremmo che fosse attraverso una contribuzione volontaria». Dunque «presenteremo una proposta di legge in questo senso». Ma intanto, ahinoi, «prenderemo quei soldi: sarebbe autolesionistico non richiedere i denari che la legge concede».

Mancavano soltanto due anni al ritorno al governo del centrodestra (2001). La guerra al finanziamento sarebbe ripresa. Forse. Macché: nel 2002 i partiti si aumentarono l’approvvigionamento di 125 milioni di euro. Berlusconi commentò così: «Non vedo nessuno scandalo. Ci deve essere la giusta considerazione per il ruolo dei partiti e le loro spese. I partiti devono fare conferenze, convegni, attività varie. Credo che sia una cosa così chiara che i partiti abbiano bisogno di essere finanziati che non vedo dove sia lo scandalo». Eccolo il punto: quello di oggi sarà il Silvio-Santanché o il Silvio-Cicchitto?