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 2013  luglio 24 Mercoledì calendario

RISTORANTE ETNICO? MULTIKULTI

Chi si preoccupa per la presenza di troppi stranieri nella strada di casa sua, dovrebbe fare un salto a Berlino. Il recente censimento ha tolto 180 mila abitanti alla capitale, che pensava di averne 3 milioni e mezzo. Una correzione che costerà quasi 500 milioni di euro in sovvenzioni da parte del Bund, la federazione.
Ma gli stranieri sarebbero, anzi saremmo, 457.806 provenienti da 190 paesi. E si convive senza problemi, o quasi, anche se in certi quartieri come Kreuzberg, roccaforte dei turchi, a prima vista gli Ausländer sembrerebbero in maggioranza.
Il multikulti, il multiculturalismo, però è fallito. Era un’illusione dei soliti buonisti. Tutti insieme in un frullatore per ottenere un centrifugato di tutte le culture. Il risultato è stato disastroso, soprattutto nelle scuole elementari dove con 28 stranieri su 30, i bambini non riescono a comunicare tra loro perché manca una lingua base. Molti alunni poi non parlano neppure turco o arabo, ma il dialetto del proprio villaggio. I tentativi di imporre la conoscenza del tedesco come lingua base sono stati osteggiati, sarebbe stata una misura nazionalista e fascista, nonostante che i rappresentanti delle comunità straniere fossero d’accordo. Se si vuol vivere qui la conoscenza del tedesco è essenziale per andare avanti, dovrebbe essere scontato.
Ma c’è un posto dove il multikulti funziona. A tavola, retorico eppure vero. A Kreuzberg, funziona il ristorante «Weltküche», la cucina del mondo, in Graefenstrasse 18 (tel. 26323370), ai suoi tavoli e in cucina lavorano una trentina di esuli politici, da altrettanti paesi, che offrono le specialità di casa loro. E, giustamente, non mischiano piatti e ingredienti. Ognuno per sé, e tutti insieme.
Nello staff troviamo Moribo Diakite, 19 anni, del Mali. Non ha alcun ricordo dei genitori, morti quando aveva un paio d’anni. È cresciuto nelle strade di Bamako mangiando quel che trovava nei bidoni della spazzatura, finché è riuscito a fuggire in Europa. Adesso pela patate e pulisce i piatti al ristorante e guadagna 1.070 euro. In Mali la paga di un operaio non raggiunge i 20 euro, e dovrebbe lavorare quattro anni per guadagnare quanto Moribo riceve in un mese.
Melanie Domingo, 32 anni, è giunta dalle Filippine, ha due figli da due mariti. Sua madre fuggì in Germania 25 anni fa, lei la raggiunse molto tempo dopo. Non è stato facile trovare un lavoro stabile. Oggi alla «Weltküche» dirige i camerieri, e si preoccupa delle provviste in magazzino. Per le specialità servono spezie esotiche che non sempre si trovano a Berlino. Ognuno dei trenta dipendenti, o soci, ha una lunga storia alle spalle, e una ricetta: sul menù troviamo minestra di lenticchie al cocco dalle Hawaii, spiedino di agnello dall’Anatolia, polpette di piselli dallo Sri Lanka. Roberto Volkwein, del Cile, ha successo con la sua specialità, chili con carne, ormai diventata internazionale, come gli onnipresenti spaghetti alla bolognese, anche se ovviamente non ci sono italiani in squadra.
Alla Weltküche lavorano rifugiati dal Togo e dal Kazakistan, dall’India e dall’Iran, e dall’Afghanistan, tutti tollerati dalle autorità in attesa di un permesso di soggiorno che potrebbe non arrivare. Il ristorante è tollerato come una misura temporanea, che magari durerà anni. Il ristorante come una zattera dove tutti sono provvisori, e nessuno parla di multikulti. Semplicemente lo vivono. E i tedeschi cercano di venire incontro per far sopravvivere il locale. A fine maggio è arrivata un’ordinazione proprio dal ministero del lavoro, un catering per 700 persone. Una solidarietà concreta, sia pure provvisoria.