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 2013  luglio 22 Lunedì calendario

IVREA, L’UTOPIA DI ADRIANO

In un’Italia ricca ma in declino, dove la finanza conta più della produzione e la ricchezza si costruisce con le tariffe e i mercati protetti, si fa fatica a capire l’avventura di Adriano Olivetti, campione di un’Italia povera ma in espansione. Imprenditore di successo, innanzitutto. Appassionato del suo lavoro. Ma anche uomo di cultura, urbanista, editore, perfino politico: un Grillo saggio, che voleva riformare il sistema dei partiti già sessant’anni fa. Mischiando impresa e saperi, si è circondato di alcune tra le migliori intelligenze del Paese, ingegneri e tecnici, architetti e designer, urbanisti e sociologi, scrittori e poeti.
Nasce a Ivrea nel 1901, figlio di un ebreo, Camillo Olivetti, e una valdese, Luisa Revel. Suo padre era una forza della natura: dopo aver studiato ingegneria a Torino con il professor Galileo Ferraris, era andato a Londra e negli Stati Uniti a vedere come funzionava la produzione industriale nei Paesi più avanzati del nostro e poi, tornato in Italia, aveva cominciato a commerciare e a produrre. Nel 1908 aveva fondato, nella sua Ivrea, la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Voleva che il figlio si laureasse, come lui, in ingegneria meccanica, ma Adriano si concede una mezza trasgressione diventando, invece, ingegnere chimico. A 23 anni entra in fabbrica come operaio. Un anno dopo va anch’egli negli Stati Uniti, dove visita più di cento fabbriche americane, annotando meticolosamente i sistemi di produzione e di organizzazione del lavoro. Tornato a Ivrea, propone al padre la riorganizzazione della produzione, la razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, lo sviluppo della rete di vendita. Ma, soprattutto, arriva con un’idea destinata a cambiare gli scenari produttivi: propone la progettazione della prima macchina per scrivere portatile, che sarà prodotta a partire dal 1932 con il nome di Mp1. Quello stesso anno Adriano, appena trentenne, è nominato direttore generale dell’Olivetti. L’anno seguente è amministratore delegato. Nel 1938 presidente.
Nel frattempo legge, scrive, studia, segue attentamente il dibattito politico e sociale. Frequenta fin da ragazzo gli ambienti liberali, collabora a riviste, entra in contatto con Piero Gobetti. Nel 1924, dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti, organizza una manifestazione di protesta al teatro Giacosa di Ivrea. Partecipa direttamente all’azione per liberare Filippo Turati, insieme a Carlo Rosselli e Ferruccio Parri: è lui a guidare l’auto su cui il dirigente socialista viene portato da Ivrea a Savona, dove lo aspetta Sandro Pertini con cui Turati s’imbarca per la Corsica per poi raggiungere Parigi. Dichiarato sovversivo dal prefetto fascista, ripara in Svizzera, dove resta in contatto con la Resistenza.
La rosa nel calamaio
Torna in Italia (e in fabbrica) nel 1945. In pochi anni, rende l’Olivetti la prima azienda al mondo nel settore dei prodotti per ufficio. Introduce nel mercato alcuni prodotti destinati a diventare oggetti di culto per la bellezza del design e, insieme, la qualità tecnologica e l’eccellenza funzionale. Nel 1948 la macchina per scrivere Lexikon 80. Nel 1950 la mitica portatile Lettera 22. Nel 1956 la calcolatrice Divisumma 24. Meccanica perfetta, forma disegnata da Marcello Nizzoli. La Lettera 22 viene indicata da una giuria internazionale come il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni. Crescono fatturati, dimensioni, occupati. Allo stabilimento di Ivrea si aggiungono nel 1955 quelli di Pozzuoli e di Agliè, nel 1956 quello di San Bernardo di Ivrea, nel 1957 apre la nuova Ico e la fabbrica di Caluso. Nel 1959 si inaugura il nuovo stabilimento di San Paolo in Brasile. Quello stesso anno, la Olivetti rende plasticamente visibile la propria posizione di leader mondiale comprando il suo concorrente americano, la Underwood, 11 mila dipendenti e una formidabile rete di vendita nel mondo. Alla Underwood si era ispirato il padre Camillo quando aveva fondato la Olivetti: ora il figlio la compra e la ingloba. In un manifesto del 1952 per pubblicizzare la Studio 44, Giovanni Pintori disegna una rosa in un calamaio: l’idea è di Leonardo Sinisgalli, poeta e capo dell’ufficio pubblicità della Olivetti, che voleva evocare con un’immagine la fine dell’epoca della scrittura a mano. Ma anche l’epoca della meccanica è destinata a finire: Adriano lo intuisce e avvia la ricerca e la sperimentazione nel campo dell’elettronica. Già nel 1952 apre a New Canaan, Stati Uniti, un laboratorio di ricerche sui calcolatori. Nel 1955 impianta a Pisa il Laboratorio di ricerche elettroniche. Nel 1957 fonda con Telettra la Sgs, Società generale semiconduttori. Nel 1959 mette in produzione Elea, il primo calcolatore elettronico a transistor. Un mastodontico computer rivestito da Sottsass di grandi lastre d’alluminio lucido “per nascondere”, spiegava il designer, “quella che allora consideravo la presenza inquietante dell’elettronica”. Nel 1965 nasce la P101, un calcolatore da tavolo che può essere considerato il primo desktop al mondo. Apple e Ibm ci arriveranno più di dieci anni dopo.
Il principio delle terne
Imprenditore appassionato, molto attento all’organizzazione del lavoro e al marketing, Adriano non perde mai di vista la cultura e l’impatto sociale dell’impresa. È convinto che l’imprenditore abbia dei doveri culturali, sociali e, in ultima analisi, politici. Così introduce nella sua azienda il “principio delle terne”: per ogni nuovo ingegnere o tecnico che entra in Olivetti, assume anche una persona di formazione economico-legale e una di formazione umanistica. Grazie al “principio delle terne” arrivano nel mitico Ufficio sviluppo e pubblicità poeti come Leonardo Sinisgalli e Giovanni Giudici (che scrive i testi della campagna pubblicitaria per la rossa macchina per scrivere Valentine, disegnata da Sottsass con Perry King e pensata come “la nuova forma della penna a sfera”); scrittori come Giorgio Soavi (che cura eventi culturali coinvolgendo artisti come Munari, Folon, Botero), Libero Bigiaretti (che dirige l’ufficio stampa), Franco Fortini (che inventa i nomi Lexikon, Tetractys, Lettera 22, Elea). Paolo Volponi dirige i servizi sociali aziendali e poi diventa capo del personale. Ottiero Ottieri fa la selezione del personale e proprio dalla sua esperienza di scelta degli operai per la fabbrica di Pozzuoli nasce il suo romanzo più famoso, Donnarummaall’assalto. Geno Pampaloni dirige le relazioni culturali e poi diventa segretario del Movimento Comunità. Adriano pensa che l’imprenditore debba occuparsi dei fenomeni sociali che innesca e del territorio in cui le sue aziende sono insediate. Così è attento a nuove discipline come la sociologia (chiama a Ivrea Luciano Gallino, uno dei padri di questa scienza in Italia). Così promuove analisi, ricerche e interventi nel campo del-l’urbanistica e della pianificazione, intesi come strumenti “politici” per affermare gli interessi collettivi (nei decenni seguenti, gli imprenditori si occuperanno semmai di forzare in ogni modo i piani regolatori e di fare profitti con la speculazione urbanistica e immobiliare). Chiama i migliori architetti (Luigi Figini, Gino Pollini, Marco Zanuso, Ignazio Gardella) per costruire a Ivrea nuovi edifici industriali e uffici, ma anche case per i dipendenti, mense, asili, biblioteche e servizi aperti a tutti. Edifica un quartiere residenziale per i dipendenti, progettato da Luigi Cosenza, anche a Pozzuoli, nei pressi di Napoli. Già nel 1948 vara nello stabilimento di Ivrea il Consiglio di gestione, per molti anni unico esempio in Italia di organismo paritetico impresa-lavoratori con poteri consultivi. Nel 1956 l’Olivetti riduce l’orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali a parità di salario, in anticipo di anni sui contratti nazionali di lavoro. Durante l’esilio in Svizzera, Adriano aveva scritto il suo libro più importante, L’ordine politico delle comunità, in cui espone le basi teoriche del Movimento Comunità che poi fonda nel 1947 con l’obiettivo di spezzare l’egemonia dell’antagonismo Dc-Pci, delineando una terza via di riformismo comunitario. Nel 1958 il movimento si presenta alle elezioni amministrative e Olivetti viene eletto sindaco di Ivrea. Alle politiche successive, nel 1958, Comunità tenta di sbarcare nei palazzi della politica a Roma, ma ottiene un solo deputato, lo stesso Adriano. Due anni dopo il sogno s’interrompe. Olivetti muore improvvisamente per trombosi cerebrale il 27 febbraio 1960, in treno, durante un viaggio da Milano a Losanna. Lascia un’azienda leader di mercato con 36 mila dipendenti. S’interrompe un cammino culturale e politico di cui restano tracce in libri come Democrazia senza partiti, riedito nel febbraio 2013 dalla Fondazione Adriano Olivetti e dalle rinate Edizioni di Comunità. “Non chiedete nulla”, scrive Adriano, “ma unicamente che la libertà che lo Stato e i partiti vi riconoscono a parole - quella di scegliervi i vostri rappresentanti - non sia una mistificazione. Il mandato politico, nella sua vera essenza, è soltanto un atto di fiducia degli uomini in un uomo” : oggi sarebbe liquidato come “antipolitica”?
La dispersione di un patrimonio
“Olivetti è un caso unico per le sue dimensioni internazionali”, dice al Fatto il professor Gallino, “ma nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta c’erano altre aziende che inventavano prodotti (la Vespa, gli elettrodomestici...) e che condividevano i principi dell’Olivetti, i buoni salari, l’attenzione sociale. C’erano i Piaggio, i Necchi, i Bassetti”. Dopo la morte di Adriano, un patrimonio imprenditoriale si disperde. Scompare di lì a poco anche il continuatore, il figlio Roberto. Muore in un incidente stradale nel 1961 l’ingegner Mario Tchou, lo Steve Jobs dell’Olivetti. “Trionfa allora l’insipienza e la miopia del gruppo d’intervento che arriva a gestire la situazione”, racconta Gallino. “Privilegiano l’elettromeccanica, che aveva fatto fare grossi guadagni, e sbaraccano la divisione informatica: ’un neo da estirpare’, secondo Vittorio Valletta della Fiat”. In un paio di decenni, l’Olivetti muore. Oggi, di fatto, non c’è più. Passata a Carlo De Benedetti, è stata poi venduta e smembrata. Simbolo del declino è la fabbrica di Scarmagno. Diventata Celltel, è vuota a metà. Non produce più nulla, ripara apparecchi elettronici. Ivrea è diventata uno struggente museo architettonico e urbanistico a cielo aperto, via Jervis è il più grande museo industriale d’Europa. “Il suo declino coincide con il declino del Paese, con la scomparsa dell’Italia industriale per l’insipienza di imprenditori e politici”, constata Gallino. “Negli anni Ottanta producevamo 2 milioni di automobili, oggi non più di 400 mila. La chimica è scomparsa. L’elettromeccanica è in crisi. Nell’era dei telefonini, non ne produciamo neppure uno. Adriano era un grandissimo imprenditore che invece di assegnarsi compensi principeschi e benefit, usava i soldi per costruire scuole, asili, colonie, servizi sociali per i dipendenti. Oggi ha vinto invece la finanziarizzazione: non conta quello che produci, ma il valore del titolo in Borsa”.