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 2013  luglio 22 Lunedì calendario

ECCO I MANAGER PIU’ PAGATI D’ITALIA

Cinquanta milioni di euro, circa 100 miliardi delle vecchie lire. È il maggior compenso rice­vuto nel 2012 dai cento princi­pali dirigenti delle società italia­ne quotate in Borsa rispetto al­l’anno precedente. I «salari» elargiti nello scorso esercizio, ha rivelato un’analisi elaborata dal Sole24Ore, sono ammonta­ti a 402 milioni di euro, a fronte dei 352 milioni del 2011.
Potrebbe sembrare che i ma­nager se ne siano infischiati del­la crisi e si siano «premiati» più del dovuto. Ma il condizionale è d’obbligo. La recessione glo­bale ha generato risultati eco­no­mici deludenti che hanno co­stretto molte aziende a cambia­re guida. E su ogni manager «liquidato» fiocca quasi sempre una buonuscita monstre. In se­condo luogo, è ormai prassi consolidata «stipendiare» i diri­genti con azioni della società. E nel 2012 la voce «azioni» ha fat­to lievitare molte paghe.
È il caso del leader di questa speciale classifica: l’amministratore delegato di Fiat e presi­dente di Fiat Industrial, Sergio Marchionne, che l’anno scorso ha guadagnato 47,9 milioni lor­di. Per le due cariche ha ricevuto circa 7,2 milioni (4,3 da Fiat e 2,9 da Industrial), i restanti 40,7 milioni provengono da 8 milio­ni di azioni gratuite (4 del Lin­gotto e 4 della «sorella») che gli erano state assegnate gratis nel 2009. Giusto per restare a Torino, è da notare come il presiden­te di Ferrari e vicepresidente di Unicredit (nonché consigliere Fiat e Tod’s), Luca Cordero di Montezemolo, guadagni più di John Elkann (5,6 milioni contro 3,4) che però ha le chiavi di tut­to l’impero in quanto alla guida della cassaforte di famiglia.
Analogamente, non è un ca­so che dal secondo al quinto po­sto si trovino manager che nel 2012 hanno esercitato le pro­prie stock option (pacchetti di azioni acquistabili a un prezzo fisso che determina grandi plu­svalenz­e se inferiore alle quota­zioni di Borsa). Luigi Francavil­la (28,8 milioni), Roberto Che­mello (15,4 milioni) e Andrea Guerra (14,2 milioni) di Luxotti­ca hanno incassato il grosso dei compensi grazie ai titoli distri­buite dal gruppo di Leonardo Del Vecchio. Idem per Federi­co Marchetti (22,6 milioni), il fondatore di Yoox, piattaforma web della moda.
Discorso diverso per le «su­perbuonuscite». Al settimo posto c’è l’ex ad di Generali Gio­vanni Perissinotto (11,6 milio­ni di cui 10,6 di «esodo»), all’ot­tavo Diego Bolzonello di Geox (10,8 - 9,6). Al dodicesimo po­sto Pietro Franco Tali di Sai­pem, costretto al passo indietro dal «caso Algeria» (6,9 - 3,8). Più in giù si trovano Piergiorgio Peluso di Fonsai (4,9- 3,8) e An­tonello Perricone di Rcs (3,9 -3,3). Eccezion fatta per la con­trollata Eni, si tratta di società che non hanno brillato e, in al­cuni casi, come Fonsai e Corrie­re, hanno avuto bisogno di un aumento di capitale per evitare di portare i libri in tribunale.
Per trovare uno stipendio sen­za voci «extra» si deve arrivare al nono posto con i 9,3 milioni dell’ad di Ferragamo Michele Norsa che precede i capi di Eni Paolo Scaroni (6,7 milioni) e di Enel Fulvio Conti (3,9 milioni).
Infine, due piccole annota­zioni. Il primo esponente del capitalismo f­amigliare tradiziona­le è Giampiero Pesenti, al quin­dicesimo posto con 5,2 milioni.
Più indietro Marco Tronchetti Provera (3,7 milioni) e Alberto Bombassei di Brembo (2,7 mi­lioni). Per trovare un banchiere bisogna scendere al 38simo po­sto: è il capo di Intesa Sanpaolo, Enrico Tomaso Cucchiani (2,6 milioni). Stipendi vicini ai due milioni solo per gli omologhi di Unicredit Federico Ghizzoni (2,06 milioni) e di Mediobanca Alberto Nagel (1,92 milioni). In banca non si guadagna più co­me una volta.