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 2013  luglio 20 Sabato calendario

I GIUDICI RICONOSCONO LE NOZZE GAY

Lui è italiano, 40 anni, un la­voro «nel settore dell’intrattenimento»: così scrive il Secolo XIX che ha dato ieri la notizia. Lui è brasiliano, 30 anni, disoccupa­to. Lui e lui sono gay e volevano vivere assieme. Ma l’uno non poteva trasferirsi in Sudameri­ca perché avrebbe perso il lavo­ro, l’altro non poteva sbarcare in Italia perché senza il permes­so di soggiorno sarebbe stato un clandestino. Nel nostro Pae­se non vien­e riconosciuto il ma­trimonio tra persone dello stes­so sesso. Tuttavia grazie ai giu­dici della Cassazione e della Consulta, da qualche giorno i due omosessuali vivono sotto lo stesso tetto, a Genova, come una coppia di fatto.
Il percorso non è agevole, ma non è la prima volta che viene seguito. Il primo caso si era avu­to un paio di anni fa a Reggio Emilia. E quel precedente ha fatto scuola. Primo passo: biso­gna decidere di sposarsi in uno dei Paesi dell’Unione europea che riconoscono le nozze gay. Con il recentissimo «sì» della re­gina Elisabetta, ormai sono 15 su 28. Seconda tappa: il coniu­ge italiano chiede alla questura il permesso di soggiorno per il partner straniero. Ultimo pas­saggio: la questura rilascia il do­cumento in poche settimane perché non viene riconosciuto il matrimonio in sé, né lo sta­tus di coniu­ge; ma i due so­no considera­ti comunque «familiari» e come tali han­no diritto a convivere.
Così hanno fatto l’intratte­nitore genove­se e il disoccupato brasiliano. Sei mesi fa si sono sposati in Por­togallo, dove - hanno racconta­to gli amici al quotidiano ligure - «i due hanno fatto una grande festa». Il sudamericano era giunto in Europa con un visto turistico di tre mesi, scaduto il quale è dovuto tornare a casa. Nel frattempo il genovese ha presentato alla questura di via Diaz la domanda per ottenere al marito il permesso di soggior­no. Gli agenti hanno svolto bre­vi accertamenti e in meno di un mese, tempi rapidissimi per la burocrazia italica, hanno rila­sciato il documento al brasilia­no. Che dunque da qualche giorno vive con il partner italia­no.
Dicono gli amici che i due rin­graziano «le toghe illuminate». Hanno ragione, devono tutto ai giudici. Nonostante la legge non riconosca i matrimoni omosessuali, l’incrocio di una serie di sentenze consente ai gay sposati nell’Ue di essere considerati «familiari» e perciò di convivere. Non è il classico ri­congiungimento tra coniugi che vivono in Paesi lontani. Dal­lo scorso 26 ottobre è tutto disci­plinato dalla nota 8996 del Dipartimento di pubblica sicurez­za: il matrimonio gay celebrato all’esterotra uno straniero e un italiano dà diritto al rilascio del permesso di soggiorno come fa­miliare di un cittadino Ue.
In questa nota confluiscono sentenze della Cassazione e del­la Consulta utilizzate per pri­mo da un giudice di Reggio Emi­lia. Il caso era quello di un italia­no e un uruguaiano che si era­no sposati in Spagna, a Palma di Maiorca. Al loro rientro in Ita­lia la questura aveva negato il permesso di soggiorno per mo­tivi familiari al sudamericano, cittadino extracomunitario. Era scoppiata una polemica tra il mondo gay e l’allora ministro delle Politiche familiari, Carlo Giovanardi. Disse Sergio Lo Giudice, presidente onorario dell’Arcigay e oggi senatore del Pd (sposò il suo compagno in Norvegia), che esisteva un vin­colo familiare riconosciuto dal­la legislazione europea. Per Giovanardi, invece, la richiesta del permesso di soggiorno rien­tra tra i «diritti non esigibili» e così sarebbe rimasto «finché non sarà modificata la Costitu­zione».
Ma nel febbraio 2012 un giu­dice civile di Reggio Emilia accolse il ricorso dei coniugi gay concedendo all’uruguaiano il permesso di soggiorno. I coniu­gi anche non riconosciuti han­no diritto ad avere una vita fami­liare in Italia: questo il princi­pio sancito. Nel 2007 la Cassa­zione aveva stabilito che la no­zione di coniuge è determinata alla luce dell’ordinamento stra­niero in cui il vincolo matrimoniale è stato contratto. E nel 2010 la Corte costituzionale aveva equiparato la condizio­ne della coppia coniugata a quella omosessuale.