Ugo Bertone, Libero 20/7/2013, 20 luglio 2013
IL TESORO CHE FA GOLA A MEZZA EUROPA
No, non è vero che in Italia le privatizzazioni non vanno avanti. Il 14 maggio scorso sulla Gazzetta Ufficiale è uscito il Decreto recante la privatizzazione dell’ente pubblico non economico Unione nazionale degli ufficiali in congedo. Non è stata un’impresa da poco, visto che ha coinvolto nel 2012 le migliori menti del governo Monti che, causa la cauta dell’esecutivo, non ce l’hanno fatta a completare l’iter dell’operazione. Da qui all’idea di far fruttare l’ingente patrimonio pubblico italiano corrono distanze galattiche.
UN FIUME DI DENARO
Anche perché resta il nervo scoperto delle privatizzazioni effettuate tra il 1993 ed il 2005: un fiume di denaro, ovvero circa 121,3 miliardi di euro, ricavato da banche, supermercati e merendine, tabacchi, assicurazioni, quote di Eni, Enel, Finmeccanica, autostrade senza dimenticare la madre di tutte le privatizzazioni, quella di Telecom Italia.
Che bilancio trarre da quella lezione? Sul piano tecnico, gli incassi furono più che discreti (basti pensare al prezzo della prima tranche di Enel). Dal punto di vista dell’interesse generale, le condizioni attuali di Telecom Italia, già quarto gruppo mondale ai tempi delle Partecipazioni Statali, gettano un’ombra sull’intero programma.
CEDOLE RICCHE
In Piazza Affari, ormai, la presenza del Tesoro si è ristretta. Il ministero dell’Economia controlla direttamente od indirettamente tramite la Cassa depositi e prestiti (posseduta assieme alle Fondazioni ex bancarie) quote di Enel, Eni, Finmeccanica, Snam e Terna.
L’eventualità di una cessione, seppur parziale, di quote di Enel, Eni e Finmeccanica ha scatenato ieri una pioggia di reazioni politiche ma non ha scaldato i listini. «L’upside speculativo derivante dalla discesa sotto il 30 per cento del governo - si legge in un report di Equita sim - rimarrebbe limitato dalla presenza della golden share». Per la verità, ieri Fabrizio Saccomanni ha lasciato cadere un’ipotesi diversa da quella della vendita. «Dobbiamo considerare anche la possibilità di utilizzarle come collaterale per gli schemi di riduzione del debito pubblico su cui stiamo ragionando», ha detto il ministro dell’Economia. Perché questa soluzione? Perché in questo modo il Tesoro potrebbe trovare una formula che consenta di incassare le cedole ricche di Eni ed Enel. Il cane a sei zampe ha garantito per quest’anno al Tesoro un dividendo di un miliardo circa: 170,1 milioni in via diretta più una quota sulla cedola incassata dalla Cassa depositi e prestiti cui spettano 1,011 miliardi. Dall’Enel lo Stato ha incassato lo scorso 27 giugno un assegno da 440,7 milioni. Niente cedola, quest’anno, da Finmeccanica, che un anno fa aveva versato 71 milioni nelle casse del ministero.
Insomma, un bel tesoretto che suscita qualche sospetto: lo Stato azionista ha tutto l’interesse a tenere alti tariffe e prezzi...
LE PARTECIPAZIONI.
Ma l’ipotesi di utilizzare i pacchetti delle società quotate come collaterale (una sorta di garanzia) ha un difetto di fondo: rende poco. La vera partita, poi, riguarda una posta ben più ambiziosa: Poste, Ferrovie, ma anche la rete delle utilities controllate da amministrazioni pubbliche sul territorio.
Secondo il censimento dell’istituto Bruno Leoni, la roccaforte dei privatizzatori, il valore delle attuali partecipazioni pubbliche a livello nazionale, includendo sia le società quotate sia le non quotate, ammonta a circa 130 miliardi di euro. Se questa cifra fosse impiegata, come prevedono gli accordi con Bruxelles, per ridurre il debito pubblico, il risparmio in termini di interessi sarebbe rilevante. Ciascun euro di minore debito, infatti, corrisponde a circa 5 centesimi di minore spesa per interessi, ogni anno e per sempre. Purché l’incasso finisca a ridurre i debiti e non pagare qualche casta.
MATTONI PER 350 MILIARDI
Tra palazzi, caserme, scuole, ospedali e altre costruzioni lo Stato controlla 543 mila unità immobiliari alle quali vanno aggiunti 760 mila terreni. Il patrimonio riferito allo Stato centrale pesa per 55 miliardi, mentre quello delle altre amministrazioni, in base ai prezzi medi di mercato elaborati dall’Agenzia del Territorio, viaggia intorno ai 285 miliardi. Un patrimonio immenso che rende poco e che lo Stato non è finora riuscito, tra cartolarizzazioni, società ad hoc e così via, a valorizzare.
Nel bilancio dello Stato, alla voce «alienazione di beni patrimoniali», per gli anni 2013, 2014 e 2015 si fa riferimento a ricavi per 1,25 miliardi di euro. Non si può fare di più? Ci proverà la Sgr istituita dal governo Monti che gestirà il «fondo dei fondi» cui spetterà il compito, mai riuscito finora, di fare cassa con la valorizzazione del patrimonio immobiliare di Stato ed enti locali. Speriamo che, prima o poi, il caso degli ufficiali in congedo non resti isolato.