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 2013  luglio 23 Martedì calendario

IL DEFAULT DI DETROIT ARRIVA IN EUROPA


«Chi ha prestato denaro a una città come Detroit negli ultimi cinque anni non capiva che c’era qualche problema? Bastava guardare i rendimenti elevati dei bond, rispetto a quelli di altre città, per capire che qualcosa non quadrava». Ha usato un giro di parole, ma il governatore del Michigan Rick Snyder si è ugualmente fatto capire bene: gli obbligazionisti, cioè gli investitori che hanno finanziato la città di Detroit finita in bancarotta per 18 miliardi di dollari, pagheranno un conto salato. E dato che i mercati finanziari a volte sono ironici, a perderci saranno anche le già deboli banche europee: gruppi come Dexia, Ubs o Depfa sono infatti esposti su Detroit. E tante altre banche del Vecchio continente, francesi e tedesche in primis, hanno finanziato la città Usa. Secondo una prima ricognizione del «Sole 24 Ore, sono invece esenti dal pericolo le principali banche italiane.
Il "baco" di Detroit è arrivato in Europa con lo stesso meccanismo di sempre: quello dei mercati finanziari. Quello stesso che ha portato da questa parte dell’Atlantico i mutui subprime Usa nel 2007. Questa volta il "baco" è arrivato tramite un’emissione di titoli realizzata dalla città Usa nel 2005. Già allora Detroit aveva problemi finanziari e cercava di racimolare un po’ di soldi per pagare le pensioni e gli stipendi. L’aiuto arrivò dalla Svizzera: Ubs – secondo una ricostruzione effettuata dal Wall Street Journal – aiutò infatti la città americana a collocare in Europa speciali titoli di debito ventennali (chiamati «certificates of participation») per 1,4 miliardi di dollari.
In quegli anni le banche europee avevano ben altri problemi rispetto ad oggi: la loro preoccupazione era fare utili, investendo anche dall’altra parte del mondo. Per Ubs non fu quindi difficile trovare acquirenti per quei titoli che pagavano una cedola fissa e che, nell’arco di 20 anni, avrebbero dato ai sottoscrittori 827 milioni di dollari di interessi. Detroit ha sottoscritto con Ubs anche un contratto derivato (swap) per coprirsi dal rischio di rialzo dei tassi. E, come accaduto a molte città anche italiane che hanno perso centinaia di milioni con i derivati, anche per Detroit è stato un bagno di sangue: attualmente il costo per chiudere lo swap ammonterebbe a 297 milioni di dollari.
Il titolo fu collocato in gran parte in Europa. Di certo è stato sottoscritto da Depfa Bank, che si è presa 200 milioni di dollari di debito di Detroit. Poi da Dexia, che – secondo De Tijd – potrebbe oggi perdere qualcosa come 100 milioni di dollari. E altri titoli sembra siano finiti in banche francesi e tedesche. Come detto, le italiane dovrebbero scampare questo pericolo: questo è quanto hanno dichiarato i principali istituti al «Sole 24 Ore».
Dopo anni in cui sono stati pagati gli interessi, ora il titolo è finito in default insieme a tutta la città. Oberata da 18 miliardi di dollari di debiti, dei quali 9,2 miliardi nei confronti dei pensionati, settimana scorsa Detroit ha dichiarato la bancarotta. L’emergency manager Kevyn Orr aveva provato a trovare un accordo con i creditori: ma l’esiguità della sua offerta rivolta anche ai fondi pensione ha fatto saltare il banco. A pagare le spese di una bancarotta causata dalla deindustrializzazione accompagnata da un enorme accumulo di debiti, saranno tutti: anche i 23mila pensionati e i 9mila dipendenti.
Ma le perdite maggiori, per cercare di tutelare il più possibile i pensionati, toccheranno agli obbligazionsti. «Tutti saranno sacrificati – osservava ieri Frank Shafroth della George Mason University –, ma per alcuni il sacrificio sarà più duro». È probabile che gli obbligazionisti saranno tra questi. Ancora è impossibile stimare le perdite possibili, ma gli esperti scommettono che saranno ingenti. Così, per la concatenazione dei mercati finanziari, le già deboli banche europee dovranno assorbire anche il crack di Detroit. Come già hanno assorbito quello dei mutui subprime nel 2007. La storia si ripete. E non migliora mai.