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 2013  luglio 23 Martedì calendario

LA MALEDIZIONE DEL RAPPORTO DEBITO/PIL


Chi si fosse collegato ieri ai siti dei principali quotidiani italiani avrebbe potuto leggere una notizia data con particolare enfasi e cioè che alla fine del primo trimestre 2013 il nostro debito pubblico ha toccato un nuovo record, sia in valore assoluto sia in rapporto al Pil.

La realtà è che ciò sta succedendo da tempo - ed è successo regolarmente anche nel primo trimestre di quest’anno - in quasi tutti i maggiori Paesi avanzati. In Europa, nuovi e ripetuti record dei livelli del debito pubblico sono stati raggiunti non solo dall’Italia ma anche da Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna, per non parlare di Portogallo, Irlanda, Cipro (mentre i dati greci ormai non sono più raffrontabili con quelli passati dopo la ristrutturazione del debito di Atene).
Ma sui siti di Le Figaro, Le Monde o Les Echos ieri non vi era traccia alcuna della notizia del nuovo record del debito pubblico francese, né su Handesblatt o Frankfurter Allgemeine Zeitung del nuovo record tedesco e men che meno sul Financial Times o sul Times di quello britannico. Eppure il comunicato Eurostat sui debiti pubblici dei Paesi Ue è stato reso noto a tutti i Paesi e non solo all’Italia. Persino in Spagna, nazione in cui il debito pubblico corre al galoppo, era impossibile ieri trovare alcuna notizia via web sul nuovo record negativo per i conti pubblici iberici. Sembra, cioè, che il problema del debito pubblico esista solo in Italia e che solo da noi il debito tocchi ogni mese un nuovo massimo storico che terrorizza cittadini e investitori. Mentre non è proprio così, anche se noi italiani con il nostro continuo piangerci addosso contribuiamo enormemente ad avallare questa versione dei fatti.
In valute nazionali, da quando è scoppiata la crisi dei mutui subprime, cioè dal terzo trimestre 2008 al primo trimestre di quest’anno, il debito pubblico italiano è quello aumentato percentualmente di meno (+23%) nell’Ue a 27 dopo quello della Svezia (+15%). Hanno fatto peggio dell’Italia, tra gli altri, Belgio (+31%), Germania (+32%), Austria (+33%), Francia (+45%), Olanda (+56%), Portogallo (+74,5%), Gran Bretagna (+101%), Spagna (+130%) e Irlanda (+186%), senza considerare la Grecia (non più comparabile). E la maggior parte dell’incremento del nostro debito pubblico è ascrivibile agli interessi, non a ulteriori clamorosi sperperi di denaro pubblico o a sostegni all’economia, perché durante la crisi l’Italia ha cumulato un avanzo primario molto significativo, tra i più alti al mondo.
Persino in rapporto al Pil, il nostro debito pubblico è tra quelli cresciuti di meno dall’inizio della crisi. Sicuramente eravamo alla pari con i tedeschi per "virtuosità" fino al terzo trimestre 2011, proprio quando istituzioni europee e mercati internazionali invece ci criticavano molto per l’impresentabilità (vera) del nostro Governo e ci hanno perciò imposto una salutare cura "greca" di austerità che avrebbe guarito la nostra economia (falso). Infatti, da quel momento, il nostro rapporto debito/Pil ha presentato un’accelerazione negativa. Ma non perché il debito abbia cominciato a crescere forsennatamente in termini monetari, bensì perché è letteralmente crollato il Pil.
Ancora nell’ultimo anno, dal primo trimestre 2012 al primo trimestre 2013, in valute nazionali il debito pubblico italiano è tra quelli aumentati percentualmente di meno (+4,1%). Meglio di noi hanno fatto solo Lettonia, Lituania, Danimarca, Germania ed Austria. Peggio dell’Italia sono andate Francia, Gran Bretagna e Olanda, mentre hanno continuato a correre senza freni i debiti di Portogallo (+9,1%), Cipro (+14,7%), Irlanda (+17,2%) e Spagna (+19,1%). Tuttavia, a causa della caduta del denominatore che ha vanificato i nostri sforzi fiscali, il rapporto debito/Pil dell’Italia alla fine del primo trimestre 2013 risultava di 6,6 punti più alto rispetto allo stesso trimestre del 2012. Un incremento pur sempre molto inferiore a quelli dei Pigs, ma più alto di quelli di Germania, Gran Bretagna e Francia.
I sacrifici fatti con l’austerità ci hanno permesso di uscire dalla procedura di infrazione europea ma dopo poche ore Standard and Poor’s, anziché premiarci, ci ha declassati. Motivo del declassamento: il nostro Pil va all’indietro e non vi sono prospettive di crescita all’orizzonte. Chi ci giudica sembra non aver capito che è stato proprio per "tenere sotto controllo" a modo loro i conti pubblici – in realtà già sotto controllo – che a partire dal 2011 abbiamo fatto crollare l’economia. Dovevamo solo cambiare presidente del Consiglio e Governo. Non modificare in modo radicale la nostra politica economica e imboccare una china ateniese.
Nel nostro Paese consumi e investimenti ora sono in uno stato pietoso e il Governo vive ogni giorno fasi difficili con continue tensioni nella maggioranza che speriamo non pregiudichino gli sforzi fatti sul fronte dei pagamenti dei debiti della Pa e del decreto del "fare". Solo il commercio estero, pur in rallentamento, ci tiene un po’ in piedi e nei primi cinque mesi dell’anno l’Italia ha fatto meglio nell’export non solo della Francia ma anche della Germania. In particolare, ciò è avvenuto sui mercati extra Ue, dove nel periodo gennaio-maggio il nostro Paese ha messo a segno una crescita delle sue esportazioni del 4,2% mentre la Germania si è fermata a +2,6% e la Francia addirittura a +0,6%. Ma con la domanda interna che resta tuttora debolissima non si vedono reali segnali di ripresa.
È indubbio che il debito pubblico italiano sia troppo alto e che vada ridotto attraverso tagli ormai più non rinviabili alla spesa e agli sprechi. Ma è impossibile migliorare il rapporto debito/Pil, che sembra essere l’unica bussola con cui, bene o male, i mercati giudicano i debiti sovrani, se l’eccessiva austerità uccide la crescita. Altrove nel mondo stanno cercando di contenere l’incremento del debito rilanciando fortemente l’economia con politiche espansive. Forse stanno persino esagerando. Ma è altrettanto certo che in Europa e soprattutto in Italia stiamo esagerando nel senso esattamente opposto.