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 2013  luglio 23 Martedì calendario

DUCCIO GALIMBERTI, L’ATTO DI NASCITA DELLA RESISTENZA - DI MARIO BAUDINO

DUCCIO GALIMBERTI, L’ATTO DI NASCITA DELLA RESISTENZA - DI MARIO BAUDINO -
Il suo fu il primo discorso della Resistenza, l’atto di nascita pronunciato, all’indomani della caduta di Mussolini, dal balcone dello studio di avvocato, a Cuneo, in quella che allora si chiamava piazza Vittorio e in seguito è stata dedicata a lui, Duccio Galimberti. Esponente di punta del Partito d’Azione, che aveva contribuito a fondare nel ’42, il giovane avvocato cuneese vide con chiarezza che cosa aspettava l’Italia del dopo 25 luglio. E contro il clima di euforia e attendismo lanciò già la mattina del 26, circondato dai collaboratori e dagli esponenti dell’antifascismo locale, quello che sarebbe stato l’imperativo categorico della Resistenza: la guerra continua sì - come aveva detto Badoglio - ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco e alla sconfitta definitiva del fascismo.
Sapeva che l’esercito tedesco stava occupando militarmente il territorio di quelli che considerava già ex alleati. Sapeva che bisognava agire subito, perché «i tedeschi e i loro complici fascisti non rinunceranno a perdere le posizioni di forza possedute in Italia... Sarà guerra di liberazione contro i tedeschi e i fascisti». Questo discorso non venne registrato, né trascritto. Le sagome fotografiche con i protagonisti di quel giorno, poste sul terrazzo dal Comune, sembravano destinate a restare mute. Il senso generale è ben noto, ma le parole che Galimberti pagò con la vita (catturato come partigiano, fu assassinato dai fascisti nel ’44) parevano irrimediabilmente svanite nel tempo.
Ora Livio Berardo, presidente a Cuneo dell’Istituto Storico della Resistenza, le ha ricostruite, mettendo insieme le poche fonti e avvalendosi di documenti inediti: lettere di Galimberti, e soprattutto gli appunti presi forse nello stesso giorno sulla situazione politica, quasi un canovaccio di ciò che aveva detto, annotato a posteriori. Venerdì sera, settant’anni dopo, quelle parole torneranno così per la prima volta a risuonare in piazza, nel cuore di uno spettacolo organizzato con la compagnia Assemblea Teatro. Sono le stesse? Livio Berardo ha fatto precedere la sua «trascrizione» da un celebre passo di Tucidide sulla necessità di riportare le parole «così come sembrava che ciascuno avesse potuto dire».
Rispetto allo storico greco, però, ha un vantaggio. Esistono ricordi scritti di combattenti della Resistenza, c’è la testimonianza di Nello Streri, protagonista della vita politica cuneese che allora era un ragazzo e ascoltò con attenzione; e c’è soprattutto un blocco di sei foglietti scritti a matita, «nervosamente corretti e ricorretti, posteriore di una giornata, forse anche meno, come si può dedurre dai riferimenti interni» che contengono «un bilancio delle manifestazioni popolari del 26 luglio» e indicano i nuovi obiettivi politici del PdA, come ci spiega Berardo. «Per quanto riguarda la sostanza non ci sono dubbi; per lo stile, sono sicuro al novanta per cento».
Far emergere dal tempo la voce di Galimberti è stato certo un azzardo. L’ultimo discorso trascritto è del ’37, e la sua retorica è ancora aulica, in fondo convenzionale. «I suoi appunti sono stati il vero canovaccio stilistico su cui lavorare». A posteriori, perché quello fu certamente un discorso improvvisato. Ma in quei giorni frenetici, le stesse parole dovettero essere ripetute più volte, tant’è vero che nel pomeriggio Galimberti era già a Torino, dove tentò di arringare la folla in piazza Castello (e fu colpito da un mandato di cattura, poi ritirato). A Torino non c’era però microfono, la gente non si accorse di nulla, e non si fermò. A Cuneo invece lo si era fortunosamente trovato, da un elettricista che possedeva un rarissimo apparato di amplificazione. La folla fu tale che venne dispersa a manganellate dalla polizia. Come spesso accade, il caso fissò la storia.

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«LA GUERRA CONTINUA: CONTRO I TEDESCHI E I FASCISTI» - DI DUCCIO GALIMBERTI -

Cittadini di Cuneo, Italiani,
la notizia che da tanto tempo attendevamo è giunta. Mussolini è stato deposto o, come dice l’eufemistico comunicato di Sua Maestà il Re, ha rassegnato le dimissioni. Da giorni aspettavamo qualcosa del genere. La situazione militare e sociale dell’Italia si era fatta insostenibile. Ogni giorno nuove sconfitte si aggiungevano a quelle patite sul fronte africano e su quello russo. Metà della Sicilia è stata occupata dagli Angloamericani. Ogni giorno centinaia di soldati italiani cadono in combattimento e tanti civili muoiono sotto i bombardamenti. Molte città sono colme di macerie. Dove non si muore per armi, si rischia di morire di fame. Manca il pane, manca l’indispensabile per vivere. Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria, ma anche la sua dignità e il suo onore.
L’iniziativa del Re è stata accolta con tripudio dal popolo italiano. Ovunque la folla festante invade le piazze, abbatte i simboli del regime, riscopre la gioia del parlare di politica, di lanciare slogan senza il terrore della denuncia e dell’arresto. Tutti noi partecipiamo a questo sentimento. Tutti noi viviamo il senso di liberazione che la caduta della dittatura suscita.
Ma non lasciamoci prendere dall’entusiasmo ingenuo. La deposizione di Mussolini non riporta indietro le lancette della storia, come se vent’anni di regime non fossero mai esistiti e l’Italia potesse riavere di colpo libertà, pace e benessere.
Il Duce non è stato travolto da una rivoluzione popolare, ma da una manovra di palazzo. Anche noi sentiamo gridare «Viva il Re», «Viva Badoglio», sappiamo però che la rottura tra il Re e Mussolini è giunta molto tardi, dopoché tanto sangue italiano è stato vanamente versato per soddisfare le ambizioni sfrenate di un dittatore. Ancor più siamo preoccupati per gli obiettivi che intende perseguire il nuovo Governo e per i metodi con cui vuole agire. Il maresciallo Badoglio, ora primo ministro, nel suo messaggio alla nazione ha dichiarato: «La guerra continua a fianco dell’alleato germanico. L’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni» e ha aggiunto: «Chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito».
Ora io mi chiedo: come può continuare la guerra a fianco dei tedeschi e come possono al contempo le millenarie, o anche solo secolari, tradizioni nazionali essere rispettate? Il balcone da cui vi parlo, affiancato da tanti amici, sinceri patrioti, di diverso orientamento politico, è quello stesso dal quale nel novembre 1918 mio padre assieme a voi cuneesi salutò la battaglia di Vittorio Veneto, la sconfitta degli Imperi centrali e, con la liberazione di Trento e Trieste, il compimento del Risorgimento. È contro il dominio austrogermanico che il popolo italiano ha dovuto combattere per conquistare la sua indipendenza. E allora, se crediamo nel destino e nel senso della storia dell’Italia, noi ribattiamo che, sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana.
Ma forse, potrebbe obiettare qualcuno, il Re e Badoglio agiscono in modo contraddittorio e occulto perché pensano di poter gradualmente uscire dal conflitto senza che l’Italia debba patire danni ulteriori.
Come pensano di poter ingannare i tedeschi? Da quando gli Angloamericani sono sbarcati in Sicilia, molte Divisioni tedesche hanno attraversato le Alpi e non tutte si sono dirette in Sicilia a combattere, ma hanno preso posizione in altri punti strategici della penisola. L’invasione dell’Italia da parte germanica è già cominciata. Per questo non possiamo accodarci a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani. Il Re e Badoglio con le loro mosse miopi e grette rischiano di consegnarci indifesi e impreparati nelle mani di un feroce occupante. Rischiano anche di far risorgere o lasciar vivere più rigoglioso di prima il fascismo, anche se orfano del Duce. La Milizia è stata messa al sicuro, inserendola nell’Esercito: un riconoscimento mai ottenuto neppure negli anni di maggior forza del regime. I fascisti possono continuare a camminare impettiti per le strade e esibire il loro potere. Gli antifascisti che in questi anni hanno osato sfidare il carcere o il confino restano in prigione, e molti altri sono destinati a raggiungerli in quei luoghi di sofferenza.
Mentre io parlo, le autorità militari stanno traducendo in bandi le direttive di Badoglio e del generale Roatta, che impongono il coprifuoco, proibiscono ogni manifestazione e minacciano il ricorso alle armi contro i civili. Sono ordini spietati che vengono motivati con le esigenze di guerra. Ma la loro guerra è incompatibile con la volontà di liberazione e di rinnovamento del paese. L’Italia vuole liberarsi dal giogo della dittatura e vuole anche farla finita con la barbarie nazista che tante rovine ha portato all’Europa. La guerra continuerà, perché i tedeschi e i loro complici fascisti non rinunceranno a perdere le posizioni di forza possedute in Italia. La guerra dovrà quindi continuare, ma non sarà quella di cui parla il maresciallo Badoglio: sarà guerra di Liberazione contro i tedeschi e i fascisti.
Il prezzo da pagare sarà alto e andrà ad aggiungersi a quelli già pagati dall’inizio della guerra, anzi i patrioti saranno costretti a prendere le armi non solo contro i tedeschi, ma anche contro i fascisti. Sarà una pena atroce combattere contro degli italiani, ma inevitabile. Pensate: come è possibile che una nazione la quale per vent’anni ha sopportato le continue violazioni dei diritti e della dignità umana da parte di una dittatura, fino alla proclamazione delle guerre di aggressione, in poche ore ne venga liberata dall’alto da chi fino a ieri spartiva il potere con Mussolini oppure da un esercito straniero, sia pure inviato da paesi democratici?
No, il Risorgimento non sarebbe stato possibile senza il sangue versato dai cospiratori di Mazzini, senza l’eroismo e l’audacia di Garibaldi. Solo una libera scelta, compiuta dal basso, di massa, può riscattare gli Italiani dalla vergogna di vent’anni di fascismo.
Sarà una guerra popolare e nazionale; dunque, combattuta volontariamente dal popolo preparato e guidato da chi è consapevole della gravità del momento storico. Una guerra che esige, accetta e anzi cerca, il sacrificio non mai è sterile, mai. Soltanto essa, tramontate le menzogne e le illusioni del regime, può creare i nuovi valori morali di cui l’Italia ha bisogno. Soltanto essa può garantire all’Italia quella vera pace a cui aneliamo, contribuendo alla costruzione di un nuovo ordine europeo democratico e confederale.
Non potrà essere una parte politica sola a costruire o ricostruire quei valori. Proprio qui nel mio studio, si sono or ora incontrati esponenti dei Partiti liberale, socialista e comunista, della Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione. Assieme abbiamo costituito un Comitato provinciale provvisorio che lancerà un appello alla popolazione. Chiediamo giustizia, non vendetta. Vogliamo che le insegne fasciste siano rimosse anche dai luoghi presidiati dalle forze militari, al gen. Vasarri comandante di zona avanzeremo questa richiesta e inoltre chiederemo che le direttive sull’ordine pubblico siano applicate con prudenza e buon senso. Dodici ore fa, dopo vent’anni di oppressione, abbiamo riconquistato la libertà. Non vogliamo separarcene mai più. W l’Italia, W la libertà!