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 2013  luglio 23 Martedì calendario

ANCHE LA SPECULAZIONE ORA TIRA A CAMPARE

Da una settimana anche gli hedge fund possono farsi pubblicità. La Sec, il grande controllore di Wall Street, ha rimosso una regola del 1933 che impediva alle società di investimento più aggressive di incantare il pubblico con le loro promesse di sconfinati guadagni. La norma, concepita nel pieno della Grande Crisi, serviva a evitare che il piccolo rispar­miatore sedotto da una réclame ben riusci­ta si facesse coinvolgere in operazioni fi­nanziarie rischiose che non era in grado di capire. Evidentemente il regolatore ameri­cano, ottant’anni dopo e nel bel mezzo di un’altra terribile crisi, ritie­ne che quel rischio non ci sia più. Può darsi che la Sec sbagli. Nel dubbio, il setti­manale finanziario Bloom­berg Businessweek si è dato da fare per spiegare, con u­na riuscitissima copertina e numeri precisi, che «gli hedge fund sono per i bab­bei ». Non male, come pri­ma pubblicità. Il fatto è che, dopo cinque anni di insuccessi, quelli che all’i­nizio del millennio sembravano i nuovi leoni della finanza mondiale adesso sono gattoni malconci che non intimoriscono nessuno. I fondi hedge sono strumenti di investimento altamente speculativi che at­traverso operazioni rischiose (in molti casi nemmeno consentite ai normali investito­ri) puntano a ottenere rendimenti molto e­levati e “decorrelati”, cioè slegati dall’anda­mento dei mercati finanziari. Visto che so­no strumenti particolarmente pericolosi, gli è consentito rivolgersi solo a clienti che possono permettersi anche perdite pesan­ti: persone che hanno una ricchezza netta di almeno 1 milione di dollari, prima casa esclusa, e un reddito annuo di 200mila dollari. Requisiti alti, per i nostri standard, ma non per quelli americani, dove il 7,4% delle famiglie è nelle condizioni di affidare i suoi risparmi a uno di questi fondi. A quanto pare, però, farlo sarebbe una pessi­ma idea. Perché è dal 2008 che la gloriosa industria degli hedge fund chiude l’anno con rendimenti sempre inferiori a quelli del S&P500, l’indice di riferimento di Wall Street.
Qualsiasi piccolo risparmiatore se ne ren­derebbe conto: se ha affidato una somma a un consulente finanziario per investirla a Piazza Affari, ma quello ogni anno si pre­senta con risultati peggiori di quelli della Borsa significa che c’è qualcosa che non va. Per diverso tempo i fondi hedge sono riusciti a passare per «i più bravi di tutti» nonostante i loro magri risultati. Un po’ ci riescono ancora: con tutto il denaro pompato nel sistema finanziario dal­le banche centrali molti miliardi finiscono anche a loro. Solo tra marzo e lu­glio ne hanno presi in ge­stione altri 40, portando il valore degli asset in por­tafoglio fino al nuovo re­cord di 2.410 miliardi. Ma sono briciole, considerato quanta liquidità sta girando sui mercati. Gli hedge vivono di glorie passate. I loro manager erano davve­ro i migliori di tutti quando, dopo la crisi dei titoli tecnologici del 2001-2002, i mer­cati azionari si sono messi a crescere a rit­mi pazzeschi. In quegli anni i gestori dei fondi più speculativi potevano prendere i soldi dei clienti, darli in pegno a una banca di affari per farsi prestare anche fino a 30 volte la somma e puntare tutto sulle Borse per ottenere guadagni spaventosi. Un ’ef­fetto leva’ molto ampio, che ha assicurato ingenti guadagni. Almeno finché di credito ce n’era per tutti. Molti dei milioni dei clienti finivano direttamente nelle tasche dei gestori, che chiedevano commissioni assai più alte della media per i loro servizi ad alto rischio (il 2% sul denaro investito e il 20% sui profitti realizzati). Così molti manager di fondi hedge sono diventati ce­lebri per il loro shopping folle. Comprava­no elicotteri e jet, quadri di Pollock e Picas­so, invitavano le rockstar a suonare alle fe­ste private nelle loro megaville. Acquista­vano tutto quello che veniva loro in mente, dato che guadagnare anche centinaia di milioni di dollari all’anno era diventato normale, e con il loro stile di vita sono riu­sciti a diventare antipatici in un mondo così poco schizzinoso con la ricchezza esi­bita com’è quello della finanza. Il crollo di Lehman Brothers è stato il pri­mo rossore del tramonto del loro impero.
Giocare a rischiatutto su Borse diventate totalmente imprevedibili non si poteva più e le banche d’affari non avevano più soldi facili da prestare. I fondi speculativi hanno dovuto studiare strategie nuove. Quelle che hanno trovato per ora (e sono cinque anni) non funzionano. Nel 2012, per esem­pio, l’88% dei fondi hedge è andato peggio dell’indice di Wall Street. Quest’anno la storia è ancora la stessa. Certo, ci sono le eccezioni (il fondo Sr Global-Japan, primo nella classifica provvisoria 2013 stilata ogni settimana dalla banca Hsbc ha guadagnato il 43,5%). Ma in media l’industria dei fondi hedge, secondo l’indice generale di Hedge Fund Research, da gennaio a oggi ha gua­dagnato il 3,5%. Pochino, considerato che lo S&P500 nel frattempo è salito del 18%.
Anche quest’anno l’investitore-medio ha quindi guadagnato di più, con le dovute proporzioni, di questi re della speculazio­ne spodestati dai loro stessi errori. I nume­ri dicono questo. Negli spot televisivi che gli sono appena stati permessi gli hedge fund tenteranno ancora a spacciarsi per gli implacabili squali dei mercati che sono stati, ma sarà già molto se riusciranno a non passare per i babbei di turno.